2022-05-03
Palermo: cinquant'anni fa la tragedia aerea di Montagna Longa
True
I resti del Dc-8 Alitalia sulle pendici di Montagna Longa, sopra Punta Raisi (Ansa)
Il 5 maggio 1972 un Dc-8 Alitalia si schiantava sulla montagna sopra Punta Raisi. Le vittime furono 115 e la colpa attribuita subito ai piloti. Una sciagura con molte ombre tra ipotesi di depistaggi, trame nere e mafia negli anni dell'ascesa dei Corleonesi e della «strategia della tensione». Come quella di Ustica, un’altra sciagura aerea nei cieli della Sicilia porta con sé da mezzo secolo una catena di ombre, ipotesi, coincidenze sinistre e presagi di depistaggio. Avvenne la sera del 5 maggio 1972 sui fianchi della Montagna Longa, altura che domina la zona dell’aeroporto di Palermo Punta-Raisi (oggi Falcone-Borsellino). Ancora oggi l’incidente rimane il più grave dell’aviazione civile italiana, con 115 vittime a bordo e nessun superstite. Sarà superato nel 2001 dalla tragedia di Linate, che coinvolse però alcuni addetti a terra e contò un sopravvissuto tra questi ultimi. La strage di Montagna Longa giunse durante uno dei picchi più alti della violenza politica in Italia, già colpita dalle strage di Piazza Fontana e da segnali tangibili di spinte eversive e terrore, alla base degli anni della «strategia della tensione» e della Guerra Fredda. Nel contesto siciliano erano gli anni dell’ascesa dei Corleonesi, del traffico di droga e della cementificazione della costa palermitana che aveva interessato anche il nuovo aeroporto di Palermo, considerato all’epoca uno dei più pericolosi d’Italia dai piloti di linea. Alle ore 21:46 ora italiana sulla pista dell’aeroporto di Roma-Fiumicino rullava il volo Alitalia AZ112 destinazione Palermo con 108 passeggeri a bordo più 7 membri dell’equipaggio. L’aereo era il Douglas Dc-8/43 I-DIWB «Antonio Pigafetta», un jet quadrimotore nella flotta Alitalia dal 1961 ai cui comandi sedevano il comandante Roberto Bartoli (un pilota esperto, con oltre 8.500 ore di volo) il copilota Bruno Dini e il motorista Gino Di Fiore (anche lui in possesso del brevetto di pilotaggio). entrambi i piloti conoscevano bene l’aeroporto di Punta Raisi e lo stesso Bartoli vi era atterrato e ripartito meno di una settimana prima. Le condizioni meteo dello scalo siciliano erano in quel momento ottime, e il volo si svolse senza intoppi fino alla fase di avvicinamento a Punta Raisi quando il Dc-8 comunicava alla torre di controllo di Palermo i dati per la discesa verso la pista 07/25. Sono le ultime parole dell’equipaggio con l’aeroporto, a cui seguì una breve conversazione in inglese con il pilota di un aereo sovietico, un Ilyiushin Il-18 sulle stesse frequenze radio in quei minuti. Poi, tra le 22:23 e le 22: 24 ora locale fu il silenzio. Il Dc-8 I-DIWB si era disintegrato contro le rocce della Montagna Longa, altura che domina l’abitato di Cinisi. Nessuno degli occupanti del Dc-8, che impattò alla velocità stimata di 220 nodi (407 km/h) ebbe scampo. Le ombre sulla sciagura cominciarono all’indomani del difficoltoso recupero delle salme e della scatola nera dell’aereo, mentre si rincorrevano voci su una presunta alterazione dello stato psicofisico dell’equipaggio dovuto all’abuso di sostanze (fatto in seguito categoricamente smentito dall’esame autoptico). Per quanto riguardava invece il cockpit voice recorder le analisi sul reperto evidenziarono una grave anomalia. Il nastro risultava tagliato ad un punto precedente l’ultimo volo del Dc-8, problema che non fu in alcun modo ravvisato dai piloti durante il volo anche se il sistema era dotato di un sistema di segnalazione delle anomalie della scatola nera. Quindi le indagini volsero sempre più rapidamente ad attribuire la colpa esclusiva dell’incidente ad una serie di errori di pilotaggio nell’approccio alla pista di Palermo, che all’epoca avveniva in volo a vista in quanto Punta Raisi non era dotata di sistemi automatizzati per l’atterraggio. Tra le prime considerazioni, l’erronea interpretazione della posizione corretta della pista, che secondo alcuni sarebbe stata scambiata con la luci della zona di Carini. Un’altra ipotesi portata avanti dalle investigazioni fu quella relativa alla posizione del radiofaro di Punta Raisi, che era stato da poco spostato dalla zona aeroportuale alle pendici del Monte Gradara, un’altura nell’entroterra, che avrebbe confuso i piloti sul calcolo della corretta posizione dell’aereo portandoli con una virata di 180° a colpire Montagna Longa. Tra i primi a dubitare su questo aspetto furono i piloti colleghi delle vittime, che sottolinearono come Bartoli fosse a conoscenza dei cambiamenti della radionavigazione essendo da poco atterrato a Palermo. A poca distanza in linea d’aria era in funzione il radar militare di Trapani-Birgi che avrebbe dovuto registrare le tracce del Dc-8. In fase processuale i registri non furono mai richiesti e dopo 15 anni furono distrutti secondo la normativa vigente. I testimoni Uno degli aspetti più controversi della sciagura del 1972 riguarda i testimoni, che videro passare sopra le loro teste il Dc-8 poco prima dell’impatto. Mentre il processo si svolgeva a Catania con tempi inusualmente rapidissimi durante le cui udienze si delineò la responsabilità esclusiva dell’equipaggio, le testimonianze ponevano diversi interrogativi. I-DIWB fu visto negli ultimi istanti di volo da diverse persone, tra cui una pattuglia della Polizia di Stato e il farmacista di Carini, il primo a dare l’allarme dopo lo schianto. Tutte le testimonianze concorderebbero a smontare la ricostruzione della rotta tracciata dalla commissione di inchiesta nominata da Oscar Luigi Scalfaro e affidata al colonnello Francesco Lino, che in sole due settimane giunse al punto finale incolpando i piloti deceduti di gravi negligenze. Poco dopo le conclusioni della commissione i resti dell’aereo furono rapidamente rottamati. Sui corpi delle vittime, ad eccezione di quelli dell’equipaggio, non fu disposta alcuna autopsia per verificare l’eventuale presenza di materiale esplosivo. Alcuni oggetti reperiti sul luogo della sciagura risultavano tuttavia compatibili con gli effetti di una deflagrazione. I passeggeri del volo AZ112 A Fiumicino salirono sul Dc-8 108 passeggeri. Molti di loro scendevano a Palermo per votare alle elezioni politiche del 1972, una tornata elettorale che segnò un cambio di marcia nella compagine di governo italiana, con il tramonto di un decennio di esecutivi del centro-sinistra e la forte avanzata del Movimento Sociale unito ai monarchici nell’Msi-Destra Nazionale. Sui sedili dell’aereo sedevano persone il cui ruolo professionale contribuì ad alimentare le ombre sul complotto. In primis sul volo c’era il magistrato palermitano Ignazio Alcamo, che poco prima aveva chiesto i domiciliari per Francesco Vassallo e Ninetta Bagarella (futura moglie di Totò Riina e sorella del boss Leoluca) per il cosiddetto «sacco di Palermo», la grande speculazione edilizia per mano mafiosa degli anni Sessanta. Sui sedili del Dc-8 sedevano anche il comandante della Guardia di Finanza di Palermo Antonio Fontanelli e una giovane giornalista siciliana, Angela Fais. Organica allo storico quotidiano palermitano «L’Ora», nei mesi che precedettero la tragedia di Montagna Longa stava indagando su legami tra il terrorismo nero e la mafia in Sicilia assieme al collega Giovanni Spampinato, che rimarrà ucciso in un agguato mafioso il 27 ottobre 1972. Spampinato aveva inoltre condotto sul quotidiano una dettagliata campagna accusatoria nei confronti di Roberto Campria, figlio del Presidente del tribunale di Ragusa e vicino ad ambienti della destra eversiva. Quest’ultimo era accusato dal giornalista di avere ucciso il commerciante d’arte Angelo Tumino per questioni legate al traffico di stupefacenti e di armi in combutta con elementi di estrema destra come il terrorista nero Pierluigi Concutelli. Trama nera? Esercitazione Nato? Proprio Giovanni Spampinato sulle pagine de «L’Ora» aveva scritto della anomala presenza in Sicilia di elementi legati all’eversione nera, con un filo che riconduceva al fallito golpe borghese della fine del 1970. Secondo gli elementi raccolti dal cronista in particolare nella provincia di Ragusa si sarebbero costituiti in quei mesi veri e propri nuclei paramilitari pronti ad entrare in azione nel periodo immediatamente precedente le elezioni e nella città iblea sarebbe stata segnalata la presenza del terrorista nero (allora latitante) Stefano Delle Chiaie. La tesi di Spampinato era quella dei preparativi di un golpe militare sul modello del regime dei colonnelli greci partendo dalla Sicilia. Tra i presenti a Ragusa nei primi giorni di maggio del 1972 anche Vittorio Quintavalle, ex Decima Mas e sodale di Junio Valerio Borghese. Tra Angela Fais e Spampinato vi fu uno scambio di informazioni che avrebbero indicato il coinvolgimento dei terroristi neri nel delitto Tumino. Quella tragica sera di mezzo secolo fa, inoltre, era in corso proprio come nel caso di Ustica di otto anni più tardi. Si trattava dell’operazione Nato «Dawn Patrol», che altri piloti di linea quel giorno fecero oggetto di lamentele con le autorità per l’avviso tardivo sullo svolgimento dell’esercitazione nei cieli della Sicilia. Altra ipotesi: una bomba? Il fatto che l’ultimo minuto di volo dell’AZ112 sia avvolto dal mistero e per le incongruenze registrate nelle simulazioni della possibile rotta prima della collisione con la montagna, ha lasciato spazio alla formulazione di un’altra ipotetica causa della sciagura: una piccola carica esplosiva a tempo sarebbe esplosa poco prima dell’impatto, rendendo il Dc-8 ingovernabile e condannato alla collisione. Questa principalmente rappresenta la tesi di un’indagine parallela svolta per conto dei familiari delle vittime dal professor Rosario Ardito Maretta, docente di aerodinamica e dinamica dei fluidi all’Università di Palermo. Secondo l’esperto i rilievi e i calcoli svolti cinquant’anni fa con i mezzi dell’epoca furono imprecisi e superficiali, aspetto che lasciò libero il campo all’attribuzione dell’incidente all’errore umano. Gli strumenti informatici odierni e le tecniche avanzate avrebbero portato alla conclusione (mai considerata dal Tribunale di Catania, che negli anni ha respinto numerose istanze di riapertura del caso dall’associazione dei parenti delle vittime) che la prova dell’attentato risieda in tre fori notati sull’ala in una fotografia scattata dopo l’impatto che farebbero pensare ad una microcarica posta nei pressi del condotto di scarico del carburante. Un dossier dimenticato Un altro aspetto che ha alimentato i dubbi sulle indagini e le responsabilità della tragedia di Montagna Longa è quello legato alla sparizione di un rapporto d’indagine stilato nel 1977 dall’allora vicequestore di Trapani Giuseppe Peri partì da una serie di sequestri a fini di autofinanziamento messi a segno da terroristi neri nel 1972 a Trapani e Alcamo per arrivare alla tesi della bomba a bordo. Questo attentato, secondo il vicequestore, avrebbe dovuto avere uno scopo dimostrativo come anello delle trame legate alla «strategia della tensione». La bomba avrebbe dovuto esplodere dopo l’atterraggio con il Dc-8 ormai vuoto. Ma il ritardo di 25 minuti all’imbarco e l’ipotesi di aver dato la precedenza all’aereo russo in fase di decollo avrebbero fatto sì che l’esplosione avvenisse in volo provocando anche la morte dell’attentatore. Il rapporto Peri fu ignorato e fatto sparire nei mesi successivi. Una copia verrà ritrovata soltanto anni dopo grazie alla caparbietà di Maria Eleonora Fais, sorella della giornalista perita nello schianto. Ad aiutarla nelle ricerche negli archivi della Procura di Trapani fu il giudice Paolo Borsellino. Giuseppe Peri sarà trasferito ad un incarico non operativo da Trapani a Palermo da Giuseppe Varchi (capo gabinetto del questore di Trapani), mentre il dossier verrà archiviato in via definitiva dal giudice istruttore di Marsala Franco Cassata. Entrambi i nomi sarebbero poi comparsi nelle liste della loggia P2 ritrovate nel quartier generale di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Tra i presenti sul luogo della sciagura di cinquant'anni fa anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, responsabile del recupero dei resti del Dc-8, ucciso dalla mafia dieci anni dopo. Con lui, sui pendii impervi di Montagna Longa, il colonnello dell'Arma Giuseppe Russo a cui fu affidato il recupero della scatola nera e la consegna ai laboratori Alitalia per la decodifica. Russo fu ucciso da Cosa nostra nel 1977. A raccogliere le prime deposizioni dei testimoni fu Domenico Signorino, allora sostituto procuratore a Palermo. A seguito di alcune dichiarazioni di pentiti che lo indicavano come colluso con la mafia si tolse la vita nel 1992, esattamente 20 anni dopo la sciagura del Dc-8. Alla lista dei decessi di persone legate alle indagini si aggiunse anche il medico legale Paolo Giaccone che affettuò i primi esami autoptici sui piloti. Fu ucciso per volontà di Totò Riina dieci anni dopo. Forse tutte queste morti sono state coincidenze sinistre, che alimentano ancora di più il «giallo» di Montagna Longa. Nessuna coincidenza invece per le 115 vittime e per le 50 vedove e i 98 orfani che quello schianto di mezzo secolo fa creò in un minuto di volo ancora oggi sconosciuto.