2024-11-03
Monoclonale imposto ai neonati sani. Ma lo studio certificava: «È dannoso»
Ignorati i risultati del trial del Nirsevimab di Astrazeneca, che faceva ammalare il 16,9% dei bimbi. Nonostante questa efficacia negativa e i dubbi dell’Iss, le Regioni lo stanno somministrando a tappeto.Sarà che molti medici e ricercatori sono distratti o, con la scusa di avere troppa documentazione da tenere sott’occhio, si affidano solo alle conclusioni di un lavoro, ma è comunque incomprensibile che sia sfuggito il risultato negativo di sperimentazioni sull’anticorpo monoclonale Nirsevimab (Medi8897). Commercializzato da Sanofi e Astrazeneca con il nome di Beyfortus per prevenire le infezioni delle basse vie respiratorie dovute al virus sinciziale (Rsv), i pediatri lo raccomandano a tutti i neonati, anche sani, malgrado il parere negativo dell’Istituto superiore della sanità (Iss). Eppure, quanto veniva segnalato nel 2018 sul Pediatric infectious disease journal, rivista sottoposta a revisione paritaria, doveva scoraggiare il proseguo dei trial. Si tratta di uno studio di fase 1-2, randomizzato in doppio cieco verso placebo, dell’anticorpo monoclonale di Astrazeneca. L’obiettivo principale, in questa fase, è la verifica di una qualche efficacia di un farmaco contro la malattia provocata da un virus. Il lavoro pubblicato non proveniva da voci contrarie all’utilizzo del Nirsevimab, bensì dalla divisione di malattie infettive, dipartimento di pediatria, della State medical university (Suny) del centro di New York ed era sponsorizzato dalla stessa azienda che ha prodotto il farmaco. Lo dichiarano gli autori: «Medimmune, una controllata di Astrazeneca, ha finanziato questo studio ed è stata coinvolta nella progettazione, nella raccolta, nell’analisi e nell’interpretazione dei dati e nella stesura di questo rapporto». Ebbene, risulta che dei 71 neonati prematuri (ma sani) ai quali era stato somministrato Nirsevimab, 10 (il 14%) hanno avuto Lrti cioè Lower respiratory tract infections, la infezione delle basse vie respiratorie o bronchiolite che il farmaco avrebbe dovuto prevenire. Mentre nel gruppo placebo, un neonato su 18 (5,5%) ha sviluppato Lrti. Non solo. Una tabella riporta gli eventi avversi emergenti dal trattamento (Teae) e altri due neonati hanno sviluppato la bronchiolite, dopo aver ricevuto l’anticorpo monoclonale, elevando la percentuale a 16,9% rispetto al 5,5% di creature senza Nirsevimab. Pensate che questo risultato sia stato evidenziato come preoccupante? Niente affatto. Nelle conclusioni non si trova traccia di questa efficacia negativa in clinica. Addirittura, gli autori dichiarano: «I risultati di questo studio supportano l’ulteriore sviluppo clinico di Medi8897 come agente profilattico, una volta per stagione, per la prevenzione di Rsv Lrti in tutti i neonati». Nemmeno il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Ema è stato sfiorato da questi dati, quando a settembre 2022 ha espresso parere favorevole all’autorizzazione all’immissione in commercio del Nirsevimab. E la Commissione europea l’aveva così approvato a novembre di quell’anno. Astrazeneca passò alla fase tre dello studio nonostante i risultati negativi della sperimentazione, che aveva provocato anche un evento serio avverso in ben tre neonati del gruppo che aveva ricevuto il monoclonale, come documentato sul Pediatric infectious disease journal. Nel gruppo placebo, nessun evento grave.«Normalmente, quando uno studio di fase 2 dimostra una non efficacia clinica o peggio, come in questo caso, un’efficacia negativa, non dovrebbe essere concessa l’autorizzazione a ulteriori studi allargati come è invece successo. Perché non sarebbe etico visto che il rapporto beneficio-rischio si mostra sfavorevole», commenta Franco Stocco, una laurea in farmacia, per 35 anni dirigente di Big pharma. Nella sua lunga esperienza in colossi quali Farmitalia Carlo Erba, Aventis Pharma, Sanofi, Msd, Pierre Fabre, sa che se i dati preliminari non sono positivi, lo studio di un farmaco va rivisto, non si procede con sperimentazioni cliniche su più soggetti. In questo caso, su più di 1.000 bambini come avvenuto con lo studio randomizzato di fase 3 «Melody», di Sanofi e Astrazeneca. «È un rischio», osserva Stocco. Invece, sono stati arruolati più piccini per le sperimentazioni malgrado in fase 2 fosse evidente che il farmaco non solo non protegge dall’infezione ma la favorisce. E come segnalano ricercatori giapponesi in uno studio pubblicato dalla rivista Med Check, di cui ha dato conto La Verità, in tre studi randomizzati controllati si sono pure verificati 12 decessi nel gruppo trattato con Nirsevimab rispetto ai quattro in quello trattato con placebo.Pensare che le società scientifiche riunite nel Calendario vaccinale insistono a volerlo dare a tutti i piccini e hanno fatto pressione perché la conferenza Stato Regioni approvasse l’intesa per la copertura finanziaria della campagna di immunizzazione con il monoclonale. Il presidente dell’Istituto superiore della sanità, Rocco Bellantone, aveva dichiarato in una nota di avere perplessità sul darlo ai neonati sani dal momento che è un farmaco «non del tutto privo di rischi». Però quasi tutte le Regioni hanno deciso di somministrare a tappeto il Nirsevimab a tutti i bimbi appena nati prima delle dimissioni dal Centro nascita ospedaliero. Tra queste, il Friuli-Venezia Giulia, con una delibera contestata dal Coordinamento internazionale associazioni per la tutela dei diritti dei minori (Ciatdm), da Comilva e dal Coordinamento danneggiati da vaccino che chiedono «un tavolo di studiosi non in conflitto di interessi», per una decisione che può mettere a rischio la salute dei bambini. «Assieme a un gruppo di esperti, stiamo valutando come procedere perché la comunità scientifica e il ministero della Salute non sottovaluti i rischi del monoclonale a tutti i neonati sani», fa sapere da parte sua Stocco.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.