2025-01-02
C’è qualche omissione nell’omelia di re Sergio
Il Colle ha avallato per anni i tagli alla sanità e ora se la prende con le liste d’attesa. Delle celle sovraffollate si accorge solo oggi. E di sicurezza sceglie di non parlare.Ogni primo dell’anno i quirinalisti, rara specie di giornalisti incaricati di raccogliere ogni sospiro del presidente della Repubblica, si spellano le mani e, soprattutto, le lingue per esaltare il discorso di Sergio Mattarella. Mai che nei resoconti vengano messe in luce mancanze o incongruenze del sermone di fine anno del capo dello Stato. È vero che l’inquilino del Colle rappresenta la più alta carica della nostra Repubblica, ma finora non ci risulta che goda dell’infallibilità che la Chiesa cattolica riserva al Papa. Come i leader politici, anche chi siede al Quirinale può dimenticare o sbagliare qualche cosa. Per questo ci siamo incaricati di ricordare le omissioni nel saluto che il presidente ha voluto rivolgere agli italiani in vista del 2025.Cominciamo dalle liste d’attesa della sanità, disservizio odioso del nostro sistema che non pare rispettare il dettato dell’articolo 32 della nostra Costituzione, secondo cui ogni cittadino ha diritto a essere curato. Certo, non si può che essere d’accordo con Mattarella. Tuttavia mi domando dove fosse il capo dello Stato negli ultimi dieci anni, quando la maggior parte dei governi, di sinistra, per fare cassa tagliavano i fondi destinati alla salute degli italiani. Sulla Verità abbiamo spesso fatto l’elenco delle sforbiciate del passato con cui si sono vietati investimenti e assunzioni. Fa bene l’uomo del Colle a porre l’accento sulla necessità di consentire a chiunque di accedere ai servizi sanitari, ma come mai queste raccomandazioni non erano presenti quando si votavano le finanziarie che toglievano soldi a ospedali e medici? Tra i passaggi di Mattarella ci ha pure colpito il riferimento alla dignità da riservare ai carcerati. Siamo d’accordo: «Il sovraffollamento contrasta con le norme della Costituzione e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine». Discorso ineccepibile, ma dopo averlo affermato, che si fa? Si scarcerano tutti come si è fatto nel passato? È dai tempi della prima Repubblica che sentiamo parlare di sovraffollamento. Allora, la causa pareva dovuta alle carceri d’oro, ovvero alle ruberie di una classe politica che impediva la costruzione di nuovi penitenziari. Sono trascorsi 37 anni dal giorno in cui lo scandalo travolse Franco Nicolazzi, ministro dei Lavori pubblici per quasi un decennio. E, tuttavia, non ci pare che sia cambiato molto. Mattarella non se n’è accorto negli anni in cui era vicepremier di Massimo D’Alema e ministro di Giulio Andreotti e Ciriaco De Mita? Beh, ma da presidente della Repubblica, forse, un’occhiatina alla situazione dei reclusori la poteva dare anche durante i governi Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi.Oltre alle omissioni riguardanti le liste d’attesa e le carceri, a colpirmi, nel messaggio agli italiani, è stato soprattutto il silenzio sulla situazione vissuta dalle forze dell’ordine, in un anno in cui gli agenti sono stati vittime di numerose aggressioni e violenze. I dati diffusi in coincidenza con la fine del 2024 dal ministero dell’Interno sono impressionanti. Infatti, a differenza di ciò che viene raccontato dalla sinistra, non c’è stata alcuna compressione della libertà di manifestare. Anzi. Negli ultimi 12 mesi le manifestazioni sono state 12.287, il 9,5% in più dell’anno precedente. Purtroppo, ad aumentare è anche il numero degli operatori delle forze dell’ordine rimasti feriti: 266 in totale, con un aumento del 122%. Ha fatto bene Mattarella a definire «patrioti» i medici del pronto soccorso che svolgono servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. E a ricordare gli insegnanti, i volontari, gli anziani, gli imprenditori che lavorano nelle aziende con responsabilità sociale e anche chi studia. Ma gli agenti e i carabinieri? Non sono forse degni di essere definiti patrioti, visto che rischiano l’incolumità per far rispettare le leggi dello Stato? Per di più, il discorso del presidente è cascato proprio nelle ore in cui un immigrato accoltellava a caso persone incontrate per strada e un carabiniere, chiamato d’urgenza, per evitare di essere colpito a sua volta ha sparato, uccidendo lo straniero e finendo indagato per «eccesso di legittima difesa». L’uomo delle forze dell’ordine costretto a premere il grilletto per evitare di essere ferito non merita, forse, di essere definito patriota? Per noi anzi, deve essere definito eroe. Perché per pochi soldi ha rischiato la vita, difendendo cittadini inermi da un pericolo che quello stesso Stato di cui il militare è un servitore non è capace di arginare.E il presidente, il quale non mancò di criticare le forze dell’ordine che respinsero con i manganelli un gruppo di manifestanti che cercavano di forzare un blocco di polizia, forse nel suo messaggio due parole per gli agenti avrebbe potuto o dovuto dirle.Ecco, è di tutto ciò che ci avrebbe fatto piacere sentire parlare Mattarella. Perché è vero che in Italia c’è bisogno di rispetto. Nei confronti delle istituzioni e dei principi della Costituzione. Ma forse è necessario anche il rispetto della realtà e della volontà degli italiani.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)