2024-01-01
Siamo tutti figli di Cthulhu. Perché i miti di Lovecraft non cessano di spaventarci
LO scrittore Howard Phillips Lovecraft
Un saggio ricostruisce vita e poetica dello scrittore del fantastico, considerato misogino e razzista da certi commentatori. Ma la sua influenza è stata colossale.In un suo scritto del 2019 in cui cavalcava l’attuale ondata teorica anti antropocentrica e intitolato Chthulucene. Sopravvivere in un mondo infetto (Not editore) la filosofa cyberfemminista Donna Haraway ha tessuto l’elogio delle creature ctonie «piene di tentacoli, antenne, dita, cavi, code a frusta, zampe da ragno e chiome arruffate» che «sguazzano nell’humus multispecie, ma non vogliono avere nulla a che fare con l’Homo che se ne sta lì a scrutare il cielo». Il nome scelto per indicare questa nuova totalità geosociale che, secondo la teorica statunitense, seppellirà definitivamente l’Antropocene, risulta abbastanza bizzarro da attirare l’attenzione, ma non suonerà del tutto nuovo agli appassionati di letteratura fantastica. Esso richiama infatti alla mente Cthulhu, l’orripilante entità semidivina che dorme gorgogliante nella perduta città di R’lyeh, partorita dalla mente dello scrittore Howard Phillips Lovecraft. Ma, sorpresa, alla Haraway il visionario di Providence non piace neanche un po’. Lo Chthulucene, scrive senza troppa credibilità, non ha «nulla a che fare con Cthulhu, quel mostro misogino da incubo razziale creato dallo scrittore di FS H.P. Lovecraft». La stessa grafia parzialmente diversa da quella che identifica il personaggio dei romanzi è del tutto voluta, «per evitare la morsa letale dello Cthulhu di Lovecraft». In questa bizzarria filosofica sta tutta la parabola dello scrittore americano, creatore di un immaginario troppo potente per non farsi largo nella selva delle mitologie contemporanee ma allo stesso tempo abbastanza politicamente scorretto da subire periodiche crisi di rigetto. A ben vedere, si tratta di un destino che accomuna Lovecraft a un altro scrittore fantasy, pure diversissimo da lui per toni, ambientazioni, valori di riferimento, ovvero John Ronald Reuel Tolkien. È la stessa portata intrinsecamente politica del fantastico che qui è in ballo, e che ha fatto dannare le scorse settimane i commentatori pigri di mezzo mondo, pensosi di fronte alla mera circostanza di un governo cattolico e conservatore come quello italiano che promuove una mostra su un autore cattolico e conservatore. Ebbene, nel pieno dell’affaire Tolkien giunge sugli scaffali un elegante volumone, ricco di documenti e illustrazioni, di Sebastiano Fusco, Il grande libro di H. P. Lovecraft. La vita e le opere del solitario di Providence (Mondadori). Fusco - una vecchia conoscenza per gli appassionati del fantastico, autore anche di molte opere insieme a Gianfranco De Turris - coglie bene questa centralità lovecraftiana nello spirito del tempo. Scrive: «Di fatto, anche se voi non lo sapete, Lovecraft ha cambiato la vostra vita. La vita di tutti, in realtà, perché attraverso le sue opere, che hanno rinnovato completamente la narrativa del fantastico e dell’orrore, ha inciso in modo profondo sull’estetica, sul gusto, sui simboli e sul modo di pensare della civiltà occidentale contemporanea».Ma chi era, Lovecraft? Nato nel 1890 a Providence, capitale dello Stato del Rhode Island, Howard Phillips ha un’infanzia difficile, segnata dalla morte in manicomio del padre e da incubi ricorrenti che non lo abbandoneranno mai più, forse provocati dall’atteggiamento iperprotettivo della madre. Anche il resto della sua vita fu tutt’altro che idilliaco, tra problemi economici frequenti, disturbi di salute, un matrimonio fallito e molta solitudine. Dopo un periodo trascorso a New York, tornò nella sua Providence, dove nel 1937 morì per un tumore all’intestino. Alla sua morte, Lovecraft aveva pubblicato un solo romanzo e una quarantina di racconti, caduti per lo più nell’oblio. Per molti anni, il suo nome circolò solo fra una ristretta cerchia di appassionati. Poi, con il tempo, le sue opere, raccolte da un gruppo di amici fidati, giunsero in Europa e da qui cominciò il suo successo planetario. Oggi la sua influenza può dirsi sterminata, dalla letteratura ai fumetti, dal cinema alla musica. Pensiamo solo al brano The Call of Ktulu dei Metallica o a film come Il seme della follia, di John Carpenter. Possiamo tranquillamente dire che tutto il genere horror sarebbe profondamente diverso da come lo conosciamo senza l’influenza lovecraftiana. La poetica dell’autore di Providence insiste su alcuni temi ricorrenti. Dietro la facciata perbenista di città borghesi e occidentali emerge prepotentemente l’influsso terribile e oscuro di potenze arcane, di esseri semidivini, malefici e idioti, di un male radicato in ere geologiche lontanissime, rispetto alle quali la centralità dell’uomo evapora. L’esempio più tipico di questa mitologia alternativa e orrorifica è appunto Cthulhu, un essere gigantesco con la testa simile a quella di un polpo, contornata da tentacoli, occhi che osservano tutto e niente, enormi ali membranose. Cthulhu dorme nelle profondità degli abissi, ma nel suo sonno governa comunque il mondo, comunicando tramite i sogni degli uomini visioni di catastrofe. Una cosmologia disperante, ma che per molti aspetti riprende il cuore di certa filosofia moderna (pensiamo solo alle critiche di Nietzsche all’umanismo e al finalismo).Un tasto dolente, almeno alla luce della sensibilità contemporanea, è sicuramente quello su brani e lettere dal contenuto razzista, relative soprattutto alla giovinezza dello scrittore. Considerazioni figlie dello spirito del tempo, e comunque in seguito riviste da Lovecraft. Scrive a tal proposito Fusco che, nella sua fase matura, lo scrittore «sosteneva che non esistono gerarchie antropologiche di natura biologica, ma vi sono specificità culturali che costituiscono prezioso patrimonio di ogni gruppo nazionale». Il che, a dirla tutta, non lo rende certo maggiormente assimilabile alle ossessioni livellanti ed etnocide della società contemporanea.
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