2024-02-19
Missili, alleanze e corsa all’atomo. L’Iran ridisegna il Medio Oriente
Deboli al proprio interno, dove la situazione economica si sta deteriorando, gli ayatollah aumentano il loro tasso di aggressività nei confronti dei vicini. L’attacco del 7 ottobre a Israele è solo il primo passo.L’esperto Emmanuel Razavi: «I pasdaran sono in partnership con i trafficanti colombiani e messicani e hanno riciclato centinaia di miliardi grazie alla Turchia. Intanto il popolo fa la fame».Lo speciale contiene due articoliAll’alba del 7 ottobre 2023, più di 3.000 terroristi di Hamas, della Jihad Islamica, dei Martiri di al-Aqsa, di Fatah, e centinaia di membri di gruppi minori, hanno dato inizio alla guerra contro Israele. Hanno lanciato migliaia di missili sulle città israeliane, distruggendo gli impianti di sorveglianza e forzando la barriera di protezione del confine in 26 punti con esplosivi e bulldozer. Durante gli attacchi è scattato anche un attacco cyber contro le strutture di sicurezza israeliane che per ore sono rimaste offline ed è certo che a farlo sia stato «un attore statuale». A bordo di pickup, motociclette e parapendii a motore, hanno attaccato le guardie di frontiera e i militari di guardia. Successivamente, hanno invaso le località vicine al confine perpetrando atti di violenza, tra cui omicidi, torture, stupri e rapimenti. Il bilancio delle vittime tra gli israeliani è stato terribile, con oltre 1.200 morti di tutte le età, più di 240 rapiti e circa 5.000 feriti, mentre centinaia di donne sono state vittime di violenza sessuale. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, il comando del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche ha dato il via libera all’operazione in una riunione tenutasi a Beirut qualche giorno prima, alla quale hanno partecipato i leader di Hezbollah e Hamas. Inoltre, circa 500 militanti di Hamas e della Jihad islamica hanno ricevuto un addestramento specializzato al combattimento in Iran sotto la direzione della Forza al-Quds, in preparazione dell’operazione terroristica. È quindi l’Iran, che esporta il terrorismo in tutto il mondo, il mandante delle stragi del 7 ottobre, così come sono i mullah di Teheran i responsabili di tutto quanto accade ad esempio nel Mar Rosso con ciò che ne consegue all’economia mondiale. La strategia iraniana è tipica degli Stati autoritari che, indeboliti al loro interno, diventano automaticamente aggressivi all’esterno. Ovviamente, più la situazione socioeconomica dell’Iran si deteriora, più le autorità assumono una postura bellicosa al di fuori dei propri confini. Sin dall’insediamento dell’amministrazione Biden, l’Iran ha compiuto significativi progressi nell’arricchimento dell’uranio, avvicinandosi al livello dell’83,7%, in prossimità del 90% richiesto per la capacità nucleare. Le implicazioni del possesso di armi nucleari da parte dell’Iran non possono essere sottovalutate né ignorate. Il regime iraniano ha costantemente minacciato l’annientamento di Israele, considerando tale obiettivo un pilastro fondamentale della sua ideologia. Questo impegno affonda le sue radici nelle profezie religiose del fondatore del regime, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, e dell’attuale guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che prevedono l’eliminazione di Israele. Espandendo le numerose preoccupazioni legate al perseguimento delle capacità nucleari da parte dell’Iran, un aspetto cruciale riguarda la prospettiva inquietante che le armi nucleari possano finire nelle mani della vasta rete di alleati del regime. Tale rete include i suoi proxies in Medio Oriente, oltre al regime siriano, agli alleati dell’Iran in Sud America, ai Talebani in Afghanistan e ad al-Qaeda. A proposito di questo, il Gruppo di supporto analitico e monitoraggio delle sanzioni delle Nazioni Unite, che ha pubblicato il suo ultimo rapporto sull’Afghanistan il 29 gennaio 2024, racconta che nelle province di Herat, Farah e Helmand, al-Qaeda «mantiene case sicure per facilitare il movimento dei membri tra l’Afghanistan e la Repubblica islamica dell’Iran», così come case sicure a Kabul. Il gruppo di monitoraggio ha osservato che «individui che viaggiano per fornire collegamento tra il leader de facto di al-Qaeda, Saif al-Adel, nella Repubblica islamica dell’Iran e figure di alto livello di al-Qaeda in Afghanistan, tra cui Abdul Rahman al-Ghamdi». L’intricata rete di alleanze e interessi condivisi crea uno scenario in cui il regime iraniano potrebbe estendere la propria influenza fornendo tali capacità ad alleati e gruppi affiliati. La creazione di impianti di produzione di armi all’estero da parte dell’Iran e lo sviluppo di missili balistici avanzati, specialmente quelli con guida di precisione, sottolineano l’urgenza della situazione. Questo aggiunge un ulteriore livello di complessità alla sicurezza globale, aumentando la posta in gioco e sottolineando la necessità immediata di una strategia globale per affrontare non solo la minaccia nucleare imminente dell’Iran, ma anche le più ampie implicazioni della potenziale proliferazione all’interno della sua rete di agenti e alleati. Per affrontare queste preoccupazioni emergono due considerazioni politiche cruciali. In primo luogo, l’opzione militare occupa un ruolo di rilievo nell’orizzonte strategico. Ciò implica un maggior controllo sugli attacchi alle infrastrutture nucleari dell’Iran, interrompendo così la sua capacità di proseguire il programma nucleare. In secondo luogo, emerge come un imperativo politico la completa e fondamentale rivalutazione degli impegni diplomatici ed economici dell’Occidente con l’Iran. La pratica prevalente di premiare il regime con ingenti incentivi finanziari, pari a miliardi di dollari, e di instaurare relazioni commerciali aiuta solo a finanziare le ambizioni nucleari dell’Iran e a esportare il terrorismo. Pertanto, è necessario un cambiamento urgente delle politiche occidentali, ivi compresa l’imposizione di sanzioni economiche strategiche e la cessazione delle relazioni diplomatiche che alimentano le aspirazioni nucleari del regime. Le implicazioni si estendono ben oltre il quadro geopolitico immediato. Le azioni attuali o l’inerzia dell’Occidente determineranno la capacità delle potenze globali di plasmare un ordine internazionale che sostenga i valori democratici o ceda al dominio di gruppi terroristici e dittature. L’incapacità di adottare posizioni risolute contro l’ascesa dell'Iran come Stato sponsor del terrorismo con capacità nucleare possono solo aprire la strada a un mondo in cui regimi autocratici e fazioni terroristiche dettano il corso degli affari internazionali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/missili-alleanze-e-corsa-allatomo-liran-ridisegna-il-medio-oriente-2667307772.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="stato-mafia-fondato-sulla-droga" data-post-id="2667307772" data-published-at="1708244482" data-use-pagination="False"> «Stato-mafia fondato sulla droga» Specialista del Medio Oriente e reporter senior per le redazioni di Paris Match, Franc-Tireur e Politique Internationale, Emmanuel Razavi è autore di numerosi lavori su settori legati all’islamismo. Nel suo libro La face cachée des mollahs. Le livre noir de la République islamique d’Iran, lei parla delle attività illegali dei Guardiani della Rivoluzione, in particolare di quelle legate al traffico di droga. «Le Guardie rivoluzionarie, create nel 1979, hanno assunto tutta la loro importanza paramilitare durante la guerra Iran-Iraq, per poi salire ai massimi livelli del sistema politico nel 2005, sotto la presidenza di Mahmood Ahmadinejad. I pasdaran controllano non solo l’arsenale di sicurezza dell’Iran, ma anche il 60% della sua economia. Attraverso gli Hezbollah sciiti libanesi, che sono la loro filiale in Libano, hanno stretto partnership con i cartelli colombiani e messicani. Sono entrati nel campo della droga con loro, ma anche con il regime siriano. Hanno anche creato una rete di traffico di armi. Riciclano i proventi di questo traffico utilizzando sistemi e reti sofisticate, come gli uffici di cambio in Turchia. Il denaro riciclato in Turchia viene inviato in Svezia, Svizzera e Canada, spesso passando attraverso i conti bancari dei familiari dei dignitari della Repubblica islamica. Ma si usano anche i casinò in Asia, ad esempio. Mohsen Sazegara, il cofondatore delle Guardie rivoluzionarie che ho intervistato, mi ha detto lui stesso: i pasdaran sono una mafia. Hanno trasformato la Repubblica Islamica dell’Iran in un vero e proprio sistema mafioso». Quanto valgono in dollari tutte queste attività? «Parliamo di cifre colossali. I servizi segreti occidentali e israeliani parlano di diverse centinaia di miliardi di dollari accumulati negli ultimi 45 anni. Secondo una fonte iraniana che ho intervistato e che era coinvolta in questo sistema, sappiamo che almeno 100 miliardi di dollari sono stati depositati in conti bancari in tutto il mondo. Ma parte del denaro viene anche riciclato in progetti immobiliari in Turchia e in beni di ogni tipo, oltre che in paradisi fiscali dove i flussi sono molto difficili da tracciare. Parte dell’oro iraniano viene investito anche in Sud America, in particolare in Venezuela». L’ex presidente Ahmadinejad si è sempre descritto come un uomo religioso, lontano dal lusso e dallo sfarzo. Eppure nel suo libro lei rivela che gestisce una serie di uffici di cambio in Turchia che riciclano il denaro dei pasdaran. È davvero così? «Ahmadinejad è un ideologo mistico, un ex membro delle Guardie rivoluzionarie, che ha partecipato a operazioni terroristiche contro gli oppositori. Ma è anche un uomo intelligente. Sa di godere di una forte immagine tra le classi popolari meno abbienti e favorevoli al regime. È il suo mestiere. Come la Guida Suprema Ali Khamenei, che regna su un patrimonio di almeno 95 miliardi di dollari, coltiva l’immagine di un uomo modesto con uno stile di vita sobrio. In realtà, è un politico che è un maestro della narrazione. È infatti una delle figure chiave del sistema di riciclaggio di denaro. Ha un controllo sicuro sugli uffici di cambio della Turchia». Nel suo libro lei scrive che l’Iran è la più grande organizzazione criminale del mondo. Il regime può cadere a fronte della crisi che vive il Paese? «Il terrorismo, la diplomazia degli ostaggi, il traffico di armi, di droga e di esseri umani hanno permesso ai mullah e ai pasdaran di creare questo sistema mafioso e di stringere legami con le mafie russe e con i cartelli sudamericani, come documenta la mia inchiesta. Il problema è che hanno rovinato l’economia iraniana, che dovrebbe essere una delle più forti del Medio Oriente grazie al petrolio e al gas. L’Iran è quindi alle prese con una serie di crisi: economica, sociale, ambientale, sanitaria e, naturalmente, politica. Il sistema non funziona più e la corruzione è ovunque. I mullah possono resistere solo attraverso un regime di terrore. L’inflazione in Iran è quasi del 60%. Metà degli iraniani fatica a nutrirsi più di una volta al giorno. I due terzi del Paese soffrono di siccità, rendendo estremamente difficile l’accesso all’acqua potabile. Tutto ciò significa che, secondo diversi studi, l’80% degli iraniani non vuole più il regime dei mullah. L’età media in Iran è di 32 anni. La maggioranza dei giovani non vuole più l’islam politico. Questa frattura generazionale, sommata alle crisi sistemiche, dimostra che il regime dei mullah è destinato a crollare prima o poi. I diplomatici occidentali, che conoscono poco la sociologia iraniana, non si stanno preparando abbastanza a questi cambiamenti. È un peccato, perché gli iraniani aspettano il loro sostegno».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)