
Fausto Montini, nipote di Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, racconta tanti aneddoti sulla vita del santo. «Cambiò la Chiesa, ma dopo l'enciclica si beccò del retrogrado».«Gennaio 1922, lo zio era a Roma e scrisse a casa per raccontare l'agonia di papa Benedetto XV. Nella lettera esordì così: “Carissimi, ritorno ora da San Pietro, perché a San Pietro ci si va anche a pregare". Se non aveva il senso dell'umorismo quell'uomo lì...».Parole insolite sulla bocca di qualsiasi sacerdote; ancor più se riferite a Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI, canonizzato il 14 ottobre scorso. A leggere l'insolita frase è il nipote del pontefice, Fausto Montini, avvocato, classe 1941, figlio di Lodovico, fratello maggiore del santo e senatore della Dc. La Verità lo ha incontrato a Concesio, nella casa dove il Papa bresciano nacque.Che cosa si provava in famiglia sapendo che il vicario di Cristo era uno di voi?«Guardi, non era tanto la carica raggiunta, quanto la scelta di farsi sacerdote a inorgoglirci. A 28 anni mio padre gli scrisse: “Sarai la luce della casa". Avere un figlio prete era una gioia».Quali sono i suoi primi ricordi dello zio?«Il primo è la vista del colonnato di piazza San Pietro dal suo appartamento, nel 1950. Lavorava intensamente, ma era sempre affettuoso, sentiva molto il legame familiare. Ricordo che le cerimonie duravano un'eternità: con Pio XII arrivavano anche a sei ore. E ricordo le 100 guardie nobili, spada al fianco: quando l'ufficiale comandava di inginocchiarsi al momento della consacrazione e le spade colpivano il pavimento, si sentiva un unico tac. Questa era la disciplina».Fu suo zio ad abolirle.«Aveva un'assoluta idiosincrasia per gli orpelli rituali della «Chiesa trionfante». Ma distingueva l'esteriorità dalla liturgia, che è dedicata al Padre Eterno: nulla è troppo grandioso per rivolgersi a Lui».Saranno anche state un orpello, ma ho sentito ammirazione nella sua voce.«Non solo per loro. Durante la cerimonia d'investitura a vescovo, erano presenti i due principi assistenti al Soglio. Passarono sei ore in piedi con un'enorme clava d'argento su una spalla, ma non batterono ciglio. Cominciavano a fare allenamento a 6 anni. Questo le dice quanto fossero fedeli e devoti».Alcuni preferivano la vita mondana. Come Filippo Orsini, sollevato dall'incarico nel 1958 per la sua relazione extraconiugale con l'attrice Belinda Lee.«Fu anche per quella vicenda che lo zio tolse le prebende ai nobili».Ebbe occasione d'incontrarlo solo in Vaticano?«No, in estate veniva a trovarci a Ponte di Legno. Era sempre affabile, ma il suo sguardo aveva un che di misterioso: occhi intensi che ti leggevano dentro. È un'impressione che mi è stata confermata da tutti quelli che l'hanno conosciuto. Parlargli ti dava la sensazione di aver veramente condiviso qualcosa».Il 21 luglio 1963 fu eletto pontefice. Lo trovò cambiato?«Non era più la stessa persona. Credo veramente che lo Spirito Santo l'avesse penetrato. Nondimeno, restava il referente della famiglia: qualsiasi scelta di rilievo si dovesse prendere, gli andava comunicata. Quando decisi di fidanzarmi, i miei genitori portarono me e la mia ragazza dallo zio per presentargliela, nonostante fosse impegnato nel Concilio Vaticano II».Paolo VI portò a conclusione il Concilio voluto da Giovanni XXIII. Fu stupito dalle polemiche che ne seguirono?«La nuova liturgia, il passaggio dal latino all'italiano, il prete che celebra messa rivolto ai fedeli: erano grosse rivoluzioni, fu naturale che venissero contestate. I fedeli temettero che da quel punto in poi si sarebbe liberalizzato tutto».Oggi c'è una riscoperta della messa in latino.«La condivido in pieno. La messa è liturgia e il latino è una forma di rispetto. Anch'io quando posso ci vado».Eppure fu suo zio a sospenderla.«Non fu sospesa. E non era sua intenzione che scomparisse quasi del tutto. È una questione di cultura religiosa: se non ne hai, la messa in latino cosa può dirti? Ricordo i fedeli in campagna che biascicavano il rosario senza capirne neanche vagamente il significato. È pietà anche questa. È stato un modo per renderli partecipi. L'uomo è un concreatore, è chiamato a dare la vita, a collaborare con Dio».Nel 1964, il viaggio in Terrasanta: fu il primo pontefice a salire su un aereo e a visitare i luoghi della vita di Cristo.«Oggi è dato quasi per scontato, ma fu un evento straordinario. I suoi viaggi hanno sconvolto la gente, muovendo milioni di persone. Fece molto scalpore anche l'abbraccio con il patriarca ortodosso Atenagora I. Aveva una visione chiarissima dell'assurdità della separazione tra cattolici e ortodossi, che durava dal Grande Scisma del 1054».Concluso il Concilio, con il Sessantotto si aprì una fase ostica per la Chiesa. Paolo VI dichiarò: “Aspettavamo la primavera, ed è venuta la tempesta".«Nel 1968, in un incontro con lui, feci un commento sulla difficile situazione. Rispose: “Tu vedi le cose al tuo livello, ma da dove le osservo io, vedo tanto bene". Spaziava in un mondo che era ben più vasto di quello investito dal Sessantotto. Noi invece ne eravamo travolti. Pensi che il 27 maggio 1980 risposi al telefono dell'ufficio di mio padre in sua assenza: a cercarlo era Walter Tobagi. Il giorno dopo lo avrebbero ucciso. Mio zio guardava a queste persone: cattolici valenti indirizzati al bene, come Tobagi e Aldo Moro».Fu molto colpito dalla stagione del terrorismo.«È così, anche se forse lo si è fatto diventare più amico di Moro di quanto non fosse».E l'appello «in ginocchio» alle Brigate rosse per la liberazione dello statista? E l'omelia al rito funebre? Un evento senza precedenti nella storia della Chiesa.«Fu molto impressionato da un attacco così forte a un'istituzione in cui credeva profondamente e per la quale il fratello si era impegnato tutta la vita. Per Moro nutriva sicuramente una grande stima, ma non credo ci fosse un rapporto stretto tra i due».Tornando al 1968, fu l'anno dell'enciclica Humanae vitae, in cui suo zio ribadiva l'inscindibilità di atto coniugale e procreazione, e dichiarava l'illiceità di aborto e contraccezione.«Dopo il Concilio, lo accusarono di essere di sinistra e progressista. Dopo l'enciclica, gli diedero del retrogrado perché non accettava la famiglia disordinata».Provocò un ampio dissenso. Si disse che il Papa si era isolato dal mondo.«Non si era isolato: venne isolato. È vero, aveva una forte sensibilità verso l'idea che l'ascetismo sia la sola preghiera. Non mi stupirebbe se, dopo le apparizioni pubbliche, dopo aver visto che con l'esterno i contatti si erano modificati, avesse deciso di concentrarsi sulla propria interiorità. Ma non per chiudersi in sé stesso. È l'approccio dei media a influenzare la percezione pubblica del Papa. Per conoscere davvero Paolo VI bisognerebbe leggere ciò che ha scritto. C'è però un problema». (Indica tre grossi volumi da migliaia di pagine). «Quella è la raccolta di discorsi e scritti del periodo milanese».Tre volumi solo per i nove anni da arcivescovo?«Le sole lettere ai familiari ne occupano due. Lo zio ha scritto tantissimo. Ma oggi chi lo leggerebbe? Peccato, perché aveva uno stile splendido. E se si leggono le sue lettere ai genitori, da lì all'Humanae vitae il passaggio è naturale».I critici iniziarono a chiamarlo Paolo Mesto.«Che fosse mesto, lo escludo. Riflessivo, piuttosto. Ma, quando aveva deciso, nessuno era capace di smuoverlo. Si disse che tentennava: quando mai! Era inamovibile nelle sue decisioni. Anche quando subì l'attentato nelle Filippine, volle proseguire il programma nonostante la ferita».Qui nella casa natale si può vedere il kriss, il pugnale con cui fu colpito a Manila nel 1970. Fu il primo attentato a un papa.«Il gesto di uno squilibrato. Persino io sono stato perseguitato in quel periodo. Un marcantonio americano entrò nel giardino di casa e cercò di afferrare mio figlio. Sosteneva di aver parlato con Dio, il quale gli avrebbe svelato che il Papa era stato rapito ed era tenuto prigioniero nelle segrete del Vaticano». Forse era un giovane Dan Brown. Papa Francesco ha definito «profetica» l'Humanae vitae. Com'è cambiata la famiglia da allora?«Più che la famiglia, è cambiata la società. Non c'è più senso del dovere, senso di appartenenza. Un tempo, anche chi non era cattolico era pronto a morire per la Patria. Mio padre m'aveva insegnato a preferire i valori della vita alla vita: vuol dire essere pronti a morire per difenderli. Ma oggi c'è il dogma della scelta».Che cosa pensa dei recenti scandali che stanno colpendo il Vaticano?«Un sacerdote mi ha detto che la prova che la Chiesa rappresenta il corpo mistico di Cristo è che sopravvive da 2.000 anni nonostante i suoi ministri. Il mondo non è cambiato molto. Lo zio già nel 1972 aveva dichiarato che in Vaticano era entrato “il fumo di Satana". Fece scandalo perché allora del demonio non si parlava. Ora lo stiamo constatando. Io credo che il Papa ben presto dovrà cominciare a mettere paletti ineliminabili, altrimenti i fedeli finiranno per costruirsi un Padreterno a loro misura. Se non lo farà, ci sarà il rischio che nella Chiesa restiamo in pochi».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.