2025-09-19
Un ministro inglese vuol legalizzare la sharia
Regno Unito: il ministro dei Tribunali Sarah Sackman
La titolare dei Tribunali, Sarah Sackman, dice in Parlamento: «Le Corti islamiche devono essere accettate in nome della tolleranza anche se la legge coranica non è ammessa nel Regno Unito». E la collega agli Interni insulta chi sventola la bandiera nazionale.«Never explain, never complain». Mai lamentarsi e mai dare spiegazioni era uno dei motti preferiti dalla regina Elisabetta II per esemplificare lo stucchevole (e raramente praticato) stoicismo britannico. È singolare vedere declinata la massima in modo rigoroso dal governo laburista di Keir Starmer, che dovrebbe essere anni luce lontano dalle regole di Downton Abbey eppure né spiega, né accetta critiche ma tira dritto cavalcando in modo surreale il populismo delle minoranze.Ieri l’ultimo esempio di una dissociazione politica a Downing Street destinata ad aumentare la tensione fra i cittadini, soprattutto nel già complicato rapporto con la comunità musulmana. Il ministro dei Tribunali, Sarah Sackman, ha sostenuto in parlamento che «le Corti islamiche devono essere accettate in nome della tolleranza religiosa anche se la Sharia non è ammessa dalla legge inglese». Una contraddizione in termini che si sovrappone a un obbrobrio giuridico: in Gran Bretagna ci sono già 85 tribunali paralleli che decidono sulla legge sacra dell’islam, offrendo consulenze ai musulmani e giudicando casi legati al diritto di famiglia (islamico) per contenziosi di persone che mai si rivolgerebbero a un tribunale britannico.L’esempio è paradigmatico di «non» integrazione, anzi dell’esplicita volontà di incistare dentro un ordinamento secolare principi morali, religiosi e giuridici che derivano direttamente dal Corano. Poiché qualche mese fa un portale di ricerca lavoro ha pubblicato un annuncio nel quale si offriva un posto da consulente di legge coranica per una moschea di Manchester, una deputata del partito di Nigel Farage ha presentato un’interrogazione parlamentare per sapere se tutto ciò fosse legale. La risposta della ministra Sackman, ebrea, ha dato di fatto via libera alla giustizia alternativa suscitando polemiche. «Ciascuna religione ha diritto di giudicarsi le proprie questioni», ha aggiunto attizzando l’incendio. Ovviamente in Inghilterra il diritto di famiglia è uno solo e i reati compiuti in nome di un credo religioso (soprattutto nei confronti delle donne) andrebbero giudicati da un tribunale pubblico e non dall’interpretazione delle sure.Londra è diventata un laboratorio etnico molto interessante per comprendere il declino, se non la decomposizione nel Tamigi, dei valori occidentali. Due giorni prima della brillante uscita del ministro, una sua collega - precisamente il sottosegretario di Stato per gli Affari interni, Shabana Mahmood -parlando in televisione dell’imponente manifestazione anti-immigrati nella capitale, ha affermato senza alcuna remora: «Quelli che vedete manifestare con la bandiera britannica il più delle volte sono uomini bianchi e sono cattive persone». La faccenda è delicata, subito le si è fatto notare che sventolare la Union Jack non è un gesto di cui vergognarsi (per un membro del governo dovrebbe essere scontato). Chiunque lo faccia. E se la bandiera inglese è diventata simbolo di protesta nazionalista attirando l’attenzione della polizia, va detto che quella palestinese va alla grande. Inoltre se un ministro conservatore avesse osato denigrare un corteo di senso avverso, magari pro Pal, sostenendo che chi partecipa è arabo e cattivo, oggi si sarebbe dovuto dimettere. È bizzarro un Paese in cui un commento social bollato come razzista porta in carcere e le violenze islamiche pro Gaza sono le benvenute.Mahmood, musulmana di origine pachistana, non si è sentita in dovere di correggere, spiegare, scusarsi. Nessun problema, ad essere nel torto sarebbero quegli inglesi che difendono identità e tradizione, non lei che li ha insultati dai banchi dell’esecutivo di sinistra. Sackman e Mahmood, figure eminenti del rimpasto che Starmer è stato costretto a fare per non rischiare il fallimento anticipato, sono esempi plastici di quel fanatismo ideologico che ha portato il Labour party a perdere 10 punti nei sondaggi in un solo anno (dal 33,8% al 24%) e a costringere il primo ministro a galleggiare nella mediocrità. Questo nonostante Mahmood fosse definita «la Thatcher di sinistra» per il suo rigore, che sconfina nella diffidenza, nell’affrontare il problema dell’immigrazione. Favorevole ai rimpatri forzati, ligia ai valori della famiglia (islamica), era stata scelta per riequilibrare il progressismo woke che ancora scorre nelle arterie del partito. Fu lei a bocciare le nuove linee guida del Sentencing Council dell’Inghilterra e del Galles, organo indipendente che avrebbe dovuto rendere più coerenti e trasparenti le sentenze valutando il contesto personale dell’imputato (donna incinta, persona appartenere a minoranze etniche o religiose). Poiché i codici si occupano di reati concreti e non di contesto, fu considerato un pericoloso vulnus e ritirato. La cosa non impedì all’opposizione di definire Starmer «two tier Keir» (Keir due pesi e due misure).Per capire meglio l’ipocrisia politicamente corretta che regna fra i banchi del parlamento e dentro la società britannica c’è un aneddoto singolare. Durante i blocchi di Ultima Generazione versione inglese, un elettricista paralizzato nel traffico di Londra con il suo camioncino decise di protestare con gli agenti di Scotland Yard per le perdite di tempo e tentò di sollevare un attivista che si era seduto in mezzo alla strada. I poliziotti arrestarono lui, i magistrati processarono lui. Oggi l’elettricista di Westminster bridge è un piccolo eroe nazionale.
Philippe de Villiers (Getty Images)
Giusi Bartolozzi (Imagoeconomica)