True
2023-09-21
Novantanove anni fa l’Italia inaugurava la prima autostrada al mondo
True
Pagamento del pedaggio sulla Milano-Varese, anno 1925 (Getty Images)
C'è stato un periodo in cui l'Italia poteva segnare primati mondiali in fatto di infrastrutture. Il 21 settembre del 1924 veniva inaugurato a Lainate il primo tratto, da Milano a Varese (attualmente classificato come A8), di quella che diverrà l'autostrada dei Laghi: era non solo la prima autostrada a pedaggio realizzata in Italia, ma addirittura la prima al mondo. C'è chi ha contestato tale primato citando la Long Island Motor Parkway nello stato di New York, aperta al traffico nel 1908, la Avus nella periferia di Berlino, inaugurata nel 1921, e la Bronx River Parkway nello stato di New York, aperta al traffico nel 1925, ma si tratta di vie pensate a scopo ludico-sportivo o paesaggistico, e non come arteria veloce destinata al traffico automobilistico di massa.
L’opera era stata voluta da Benito Mussolini in persona il quale, con uno dei primi atti dal momento della salita al potere, autorizzò la costruzione del tratto lombardo che dette avvio alla stagione autostradale italiana. Deus ex machina del progetto fu l'ingegnere Piero Puricelli, conte di Lomnago, che concepì l'idea di una strada riservata al traffico veloce, escludendo carri, carrozze, biciclette o pedoni, col pagamento di un pedaggio per coprire le spese di costruzione e di gestione. Data la scarsità di automobili allora circolanti in Italia, era una vera e propria scommessa. Puricelli era un tecnico geniale e ambizioso, amico personale di Mussolini e fervente nazionalista, una di quelle figure spregiudicate e innovative che spesso trovarono spazio nel Regime. Nel 1925 aveva preso la tessera del Partito nazionale fascista, mentre nel 1929 era stato nominato senatore del Regno. C'era la sua mano anche dietro la costruzione dell'autodromo di Monza, progetto che peraltro Mussolini – imbevuto di cultura futuristica e non ancora sedotto dall'idea ruralista – aveva benedetto con un articolo ad hoc sui giornali. Nel 1933 Puricelli incontrò Adolf Hitler a Berlino prospettandogli la sua idea di rete stradale europea cui lavorava dal 1925. Lanciò anche l’idea, apprezzata, di una strada diretta Roma-Berlino, progettò che poi si arenò con lo scoppio della guerra.
Il nastro inaugurale della prima autostrada fu tagliato da una Lancia Trikappa di casa Savoia con a bordo il re in persona Vittorio Emanuele III, accompagnato da Puricelli, e seguita dal lungo corteo di automobilisti invitati. I lavori per la Milano-Varese costarono 90 milioni di lire. Meno di un anno dopo, il 28 giugno 1925, fu inaugurato il tratto da Lainate a Como, per una lunghezza di 24 chilometri e un costo di 57 milioni. Sempre nel 1925 fu realizzato il tratto Gallarate-Sesto Calende, di 11 chilometri. Nel 1932 viene aperta la tratta Torino-Milano. Nel 1933 vengono aperte l'autostrada Firenze-Mare (l'attuale A11) e l'autostrada Padova-Venezia. Nel 1935, dopo 3 anni di lavori, viene aperta la Genova-Serravalle-Scrivia (l'attuale A7). Il pedaggio fissato per le merci è elevato per non penalizzare la ferrovia. Nel 1939 viene approvata la costruzione dell'autostrada Genova-Savona (l'attuale A10).
Nel 1940 l’Italia era arrivata a 545 km di autostrade, all’epoca record europeo, pur non essendo il Paese del continente con più automobili in circolazione. Sotto molti punti di vista, tali progetti arrivarono “troppo presto”, tant'è che la previsione delle entrate fu esageratamente ottimistica mentre le spese furono sottostimate. Eppure, queste infrastrutture posero le basi per il futuro sviluppo. Il grande piano autostradale studiato nel 1934 dalla progenitrice dell’Anas, l’Azienda autonoma statale della strada, fondata nel maggio 1928, trovò per esempio la sua vera attuazione solo nell’epoca del boom.
Continua a leggereRiduci
Il tratto Milano-Varese venne voluto da Benito Mussolini e realizzato da Piero Puricelli: fu una scommessa, data la scarsità di auto allora in circolazione, che si rivelò vincente negli anni del «boom».C'è stato un periodo in cui l'Italia poteva segnare primati mondiali in fatto di infrastrutture. Il 21 settembre del 1924 veniva inaugurato a Lainate il primo tratto, da Milano a Varese (attualmente classificato come A8), di quella che diverrà l'autostrada dei Laghi: era non solo la prima autostrada a pedaggio realizzata in Italia, ma addirittura la prima al mondo. C'è chi ha contestato tale primato citando la Long Island Motor Parkway nello stato di New York, aperta al traffico nel 1908, la Avus nella periferia di Berlino, inaugurata nel 1921, e la Bronx River Parkway nello stato di New York, aperta al traffico nel 1925, ma si tratta di vie pensate a scopo ludico-sportivo o paesaggistico, e non come arteria veloce destinata al traffico automobilistico di massa. L’opera era stata voluta da Benito Mussolini in persona il quale, con uno dei primi atti dal momento della salita al potere, autorizzò la costruzione del tratto lombardo che dette avvio alla stagione autostradale italiana. Deus ex machina del progetto fu l'ingegnere Piero Puricelli, conte di Lomnago, che concepì l'idea di una strada riservata al traffico veloce, escludendo carri, carrozze, biciclette o pedoni, col pagamento di un pedaggio per coprire le spese di costruzione e di gestione. Data la scarsità di automobili allora circolanti in Italia, era una vera e propria scommessa. Puricelli era un tecnico geniale e ambizioso, amico personale di Mussolini e fervente nazionalista, una di quelle figure spregiudicate e innovative che spesso trovarono spazio nel Regime. Nel 1925 aveva preso la tessera del Partito nazionale fascista, mentre nel 1929 era stato nominato senatore del Regno. C'era la sua mano anche dietro la costruzione dell'autodromo di Monza, progetto che peraltro Mussolini – imbevuto di cultura futuristica e non ancora sedotto dall'idea ruralista – aveva benedetto con un articolo ad hoc sui giornali. Nel 1933 Puricelli incontrò Adolf Hitler a Berlino prospettandogli la sua idea di rete stradale europea cui lavorava dal 1925. Lanciò anche l’idea, apprezzata, di una strada diretta Roma-Berlino, progettò che poi si arenò con lo scoppio della guerra.Il nastro inaugurale della prima autostrada fu tagliato da una Lancia Trikappa di casa Savoia con a bordo il re in persona Vittorio Emanuele III, accompagnato da Puricelli, e seguita dal lungo corteo di automobilisti invitati. I lavori per la Milano-Varese costarono 90 milioni di lire. Meno di un anno dopo, il 28 giugno 1925, fu inaugurato il tratto da Lainate a Como, per una lunghezza di 24 chilometri e un costo di 57 milioni. Sempre nel 1925 fu realizzato il tratto Gallarate-Sesto Calende, di 11 chilometri. Nel 1932 viene aperta la tratta Torino-Milano. Nel 1933 vengono aperte l'autostrada Firenze-Mare (l'attuale A11) e l'autostrada Padova-Venezia. Nel 1935, dopo 3 anni di lavori, viene aperta la Genova-Serravalle-Scrivia (l'attuale A7). Il pedaggio fissato per le merci è elevato per non penalizzare la ferrovia. Nel 1939 viene approvata la costruzione dell'autostrada Genova-Savona (l'attuale A10). Nel 1940 l’Italia era arrivata a 545 km di autostrade, all’epoca record europeo, pur non essendo il Paese del continente con più automobili in circolazione. Sotto molti punti di vista, tali progetti arrivarono “troppo presto”, tant'è che la previsione delle entrate fu esageratamente ottimistica mentre le spese furono sottostimate. Eppure, queste infrastrutture posero le basi per il futuro sviluppo. Il grande piano autostradale studiato nel 1934 dalla progenitrice dell’Anas, l’Azienda autonoma statale della strada, fondata nel maggio 1928, trovò per esempio la sua vera attuazione solo nell’epoca del boom.
Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
Continua a leggereRiduci
Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
Continua a leggereRiduci
Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
Continua a leggereRiduci
Fabrizio Corona (Ansa)
Il punto di partenza è l’iscrizione sul registro degli indagati di Corona, che ha consentito agli inquirenti di sequestrare foto, video e chat. Nella sua nuova versione da youtuber conduttore di Falsissimo, Corona, ieri, davanti ai pm di Milano ha riempito un verbale e poi si è presentato davanti a telecamere, fotografi e cronisti: «Ho parlato del “sistema Signorini”», ha esordito. Poi ha precisato: «Tre minuti ho parlato del revenge porn e un’ora dei reati (presunti, ndr) commessi da Signorini, ma anche di tutti i suoi giri e di tutte le sue amicizie. Ho più di 100 testimonianze, ho fatto i nomi ai pm e sono già pronte due denunce contro di lui». Una di Antonio Medugno, ex concorrente del Gf Vip, edizione 2021-2022, intervistato nella seconda puntata de «Il prezzo del successo» su Falsissimo. «Anche un altro è pronto a farlo», ha annunciato Corona. Poi ha alzato i toni: «Se prendono il cellulare a Signorini trovano Sodoma e Gomorra». E ha sfidato la Procura: «Se dopo la querela non vanno a fargli una perquisizione io mi lego qua davanti al tribunale».
Corona ha precisato che la sua «non è» una «vendetta». Ma l’innesco è personale: «Dopo che gli ho visto presentare il suo ultimo libro ho detto «ci vuole un bel coraggio» e ho cominciato a fare telefonate e ho recuperato questo materiale, ne ho un sacco, ho delle fotografie sue clamorose».
Il «sistema», dice, lo ha messo nero su bianco nell’interrogatorio richiesto da lui stesso, assistito dall’avvocato Cristina Morrone dello studio legale di Ivano Chiesa. L’obiettivo dichiarato è ribaltare il tavolo e trasformare l’ennesima inchiesta a suo carico in quello che lui definisce il «Me too italiano». «Il problema», ha detto Corona, «è che lui ricopre un ruolo così importante e con quel ruolo non puoi cercare di adescare e proporre l’ingresso in un programma televisivo, che deve passare per dei casting, ci sono delle regole. Pagherà per quello che fa».
Corona, in sostanza, durante il suo interrogatorio, ha cercato di spostare l’attenzione dalle modalità con cui foto e chat sono state mostrate, su ciò che quelle chat potrebbero raccontare. Nel frattempo il fronte si è allargato: il Codacons, insieme all’Associazione utenti dei servizi radiotelevisivi, ha fatto sapere di aver depositato un esposto ai pm milanesi, all’Agcom e al Garante per la privacy.
Ora tocca alle autorità decidere, o meno, se entrare nel backstage mediatico.
Continua a leggereRiduci