
Mahmoud Mohamed, alla guida di un Tmax senza patente, si è schiantato contro un semaforo durante la fuga. Tensioni all’ospedale, dove i familiari del giovane hanno cercato di irrompere al pronto soccorso.A Milano la notte è una liturgia nera che si ripete sempre con lo stesso copione. Cambiano solo i nomi, come nei registri mortuari. Ramy a novembre. Mahmoud a maggio. Prima un ragazzo, poi un altro. Lo stesso bolide a due ruote: un T-Max. Una volante che appare nel buio, la fuga, lo schianto, la morte. Nessun colpo di scena. Solo la riproposizione, quasi identica, di un dramma suburbano. Mahmoud Mohamed, nato in Libia quasi 21 anni fa ma regolare in Italia (residente a Brembate, in provincia di Bergamo), ha qualche macchia sul curriculum penale da piccole grane per droga. E proprio come il ragazzo che guidava il Tmax dell’incidente fatale per Ramy (Fares Bouzidi) era senza patente, ma aveva un foglio rosa stropicciato in tasca (buono per guidare solo se accanto hai un tutor). Ed era già stato sanzionato lo scorso 7 marzo per essersi messo sulla sella senza licenza di guida. Ma nella notte dell’area sud di Milano spesso i codici non esistono. E lui sale sullo Yamaha Tmax. Da solo. Vaga tra le arterie silenziose con il suo scarico che romba nel punto in cui la città cambia pelle e si fa periferia. Alle 3:30, tra il quartiere Vigentino e il Corvetto, in viale Ortles (un’ampia arteria a doppia carreggiata), vede una pattuglia della polizia di Stato arrivare nel senso opposto di marcia e scappa in direzione di piazza Bonomelli. Nessun segnale di alt. Niente paletta. Ma lui scappa lo stesso. Forse per istinto. O forse, semplicemente, perché ha imparato che quando si incrociano gli sbirri non ci si ferma. Si accelera e si scompare. Anche se i lampeggianti e le sirene sono spenti. Pensava di potersi infilare nei vicoli del Corvetto ed evitare una nuova multa e il sequestro del mezzo, non regolare per la circolazione su strada, visto che sotto la sella gli era stato piazzato il motore rubato da un altro scooter. Ma non arriva lontano. Mentre i poliziotti svoltano per inseguirlo, lui percorre circa 800 metri. E in via Cassano d’Adda, all’altezza dell’incrocio con via Marco D’Agrate, dove il traffico è regolato da semafori e attraversamenti pedonali con ai lati i resti di un’urbanistica incerta (vecchi capannoni riadattati e murales sbiaditi), la corsa finisce. A poche centinaia di metri dal punto in cui la scorsa settimana in uno scontro tra un furgone e uno scooter è morto un altro centauro. Il Tmax di Mahmoud si schianta contro un palo del semaforo. L’impatto deve essere stato particolarmente violento, visto che gli agenti nella volante hanno sentito il botto. Quando sbucano in via Cassano d’Adda Mahmoud è già steso sull’asfalto, privo di sensi, forse già in arresto cardiaco. Arrivano i sanitari, il codice è rosso. Lo caricano sull’ambulanza. All’Humanitas di Rozzano fanno il possibile. Ma Mahmoud muore alle 5:30. Un mese prima del compleanno. Gli agenti della Polizia locale eseguono i rilievi. Un rituale burocratico: numeri, frecce, lettere. Disegnano sul marciapiedi, proprio sotto al semaforo, tre cerchi (uno dei quali indica il punto in cui è stato repertato il casco) seguiti da tre numeri e, con una freccia, indicano il punto dell’impatto. A una certa distanza, poggiato su un fianco, c’è il Tmax con un cartellino con la lettera «A» piazzato sul bordo della sella. E tra il punto dell’impatto e lo scooter ci sono tutti i pezzi saltati via dalla carenatura, a testimoniare, da soli, la violenza della collisione. A terra non sembrano esserci segni di frenata. Gli pneumatici devono aver continuato a mordere l’asfalto fino al palo. Ma questo è uno degli aspetti della dinamica ancora da chiarire. La Procura apre un fascicolo (il pm titolare è Giorgia Villa). Le telecamere confermano: la volante è arrivata dopo lo schianto. Nessun contatto, nessun urto. Nulla che possa innescare le proteste andate in scena dopo la morte di Ramy (anche se le indagini, in quel caso, hanno poi stabilito che non vi fu alcuna condotta di guida illegale da parte delle forze dell’ordine). La dinamica è «autonoma», spiegano gli investigatori. Nell’inquadratura che riprende il punto dell’impatto, infatti, la volante compare alcuni secondi dopo lo schianto. Stando a una prima ricostruzione, Mahmoud avrebbe perso il controllo del motociclo nella prossimità dell’incrocio, forse per la velocità. Forse perché non era esperto. O perché non conosceva bene quel mezzo, preso in prestito da un amico. Per provarlo. Il Tmax, hanno accertato gli investigatori della Polizia locale, delegati per le indagini, è risultato di proprietà di un ragazzo nordafricano di seconda generazione residente al Corvetto. Su disposizione del pm (che procede contro ignoti per omicidio colposo, passaggio fondamentale per poter disporre l’autopsia) è stato sequestrato per gli accertamenti scientifici, come la volante della polizia di Stato. Ieri mattina, fuori dal pronto soccorso dell’ospedale Humanitas si sono radunate una ventina di persone. Amici, parenti, ai quali è stato permesso l’ingresso in modo contingentato. Carabinieri e polizia sono rimasti lì a lungo per contenere la tensione. Secondo alcune fonti ci sarebbe stato un tentativo di superare il cordone di divise, seguito dal lancio di oggetti e da qualche danneggiamento. Le forze di polizia, però, sminuiscono, definendo il clima solo come «teso». Poi la salma è stata trasferita all’obitorio di piazzale Gorini. Anche qui è continuato il presidio delle forze dell’ordine. Un riflesso condizionato, scattato per paura che il caso Ramy potesse avere un sequel.
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