2023-08-16
Milano: ottant'anni fa i grandi bombardamenti di agosto
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Corso Vittorio Emanuele dopo i bombardamenti dell'agosto 1943 (Getty Images)
Tra l'8 e il 16 agosto 1943 la città lombarda subì violentissime incursioni notturne da parte della Raf. Bombardamenti a tappeto, con l'intento di terrorizzare la popolazione e spingere l'Italia alla resa.I danni furono gravissimi ma Milano fu resiliente. Colpiti migliaia di edifici pubblici e privati, alcuni dei quali furono persi per sempre.Lo speciale contiene due articoli.Usciti dal rifugio, dopo il bombardamento, si correva a casa per vedere che cosa fosse successo. Recuperato mio padre di 4 anni dai nonni, tutti sopravvissuti, già prima di voltare l'angolo tra corso San Gottardo e via Giuseppe Lagrange, zona di porta Ticinese, mia nonna Alba Chierico, impiegata, aveva capito che la casa non esisteva più. Neppure qualche ora dopo erano tutti sfollati a Monte Olimpino, Como, a poche decine di metri dal confine svizzero, presso una caserma dei Carabinieri che accolse provvisoriamente lei altre famiglie. Sono certo che tra i lettori milanesi non mancheranno racconti simili, perché i bombardamenti su Milano dell'agosto 1943 suonarono come un accanimento, una punizione che andava oltre la ricerca degli obiettivi di guerra. Il premio Nobel per la letteratura 1959 Salvatore Quasimodo, scosso dalla ferocia degli avvenimenti scrive Milano, agosto 1943 “Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. È morta: s’è udito l’ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l’usignolo è caduto dall’antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi, lasciateli nella terra delle loro case, la città è morta, è morta”. Pubblicata nella raccolta Mondadori “Giorno dopo giorno – i poeti allo specchio” del febbraio 1947, è un breve poema nel quale Quasimodo non allude a una perdita in particolare, ma descrive in modo grezzo quanto efficace il fatto che non ci fosse più acqua potabile, fatto che costringeva a correre ai pozzi, rendendo il grande senso di impotenza innanzi a ciò che dei cadaveri emergeva dalle rovine degli edifici.Dal 1940 in poi Milano fu obiettivo dell'aviazione inglese. Bersagli come l'Alfa Romeo, le Officine Galileo, Magneti Marelli, Borletti, la Tecnomasio Italiana Brown Boveri, Isotta Fraschini, Falck, Pirelli, Ansaldo, Breda, Caproni, erano ritenuti fondamentali così come gli scali ferroviari a est della città da via Farini a Lambrate e fino a Novegro. E poi c'era l'urbanistica a rendere ancora più letali i bombardamenti: lo schema monocentrico con vie molto strette, che determinavano crolli a catena quando veniva centrato un palazzo. Venti minuti, mezzora prima che i bombardieri arrivassero sulla città le sirene annunciavano l'imminente attacco e c'era soltanto quel tempo per raggiungere i rifugi. Ma in quell'agosto di 80 anni fa anche i bombardieri erano diversi: gli Armstrong Witworth Whitley, che dovendo imbarcare molto carburante per tornare in Inghilterra, non potevano trasportare più di 1.800 kg di bombe incendiarie, avevano lasciato il posto ai più grandi quadrimotori Halifax, Wellington e Stirling, con carichi bellici che andavano da 5.800 a 6.500 kg, nonché in seguito velivoli della Mediterranean allied air force, i B-17 Fortezza volante e B-24 Liberator che partivano dal sud Italia liberato. E mentre all'inizio del conflitto le incursioni erano prevalentemente notturne, in seguito gli attacchi si verificarono a tutte le ore, con i bombardieri che decollavano dalla Puglia e risalivano lo Stivale dall'Adriatico.Già nel febbraio del 1943 mezza Milano fu fortemente danneggiata, compresa la Centrale del Latte, il deposito tramviario di via Messina e praticamente tutte le fabbriche. Oltre duecento le case distrutte e altrettante quelle danneggiate, con incendi che durarono giorni per i quali fu necessario richiamare vigili del Fuoco da Bologna. L'ufficio comunale registrò oltre 10.000 senzatetto. Dopo l'arresto di Mussolini, 25 luglio, nella notte tra il 7 e l'8 agosto 1943 su Milano si scatenò l'inferno: attorno all'una i Lancaster inglesi colpirono porta Venezia e Garibaldi, corso Sempione, Magenta e Ticinese. Fu centrato l'ospedale Fatebenefratelli, distrutto il teatro Filodrammatici, la sede del Corriere della Sera, il Castello, palazzo Sormani e la Villa Reale. Seicento edifici rasi al suolo, circa duecento le vittime, in un inferno che si ripeterà la notte del 12, con un numero enorme di velivoli, oltre 500, arrivati con lo scopo di annientare la città come stava accadendo in Germania, con la tattica del “vortice di fuoco”. Mezzanotte e trenta, suonano le sirene, le bombe colpiscono il centro della città, viene centrato Palazzo Marino, la Questura, bruciano le chiese di San Fedele e Santa Maria delle Grazie, il Duomo. La Raf rade al suolo metà dei quartieri Ticinese, Sempione, Garibaldi. Sembra una striscia dall'alto, una cicatrice che rimarrà visibile fino a metà anni Cinquanta. La mattina dopo a rendere peggiori le cose è il vento, che alimenta e propaga le fiamme, tanto che dalle alture di Como, verso sera, la scena è quella che in mezzo alla pianura l'inferno dantesco sia divenuto realtà. Nessuno tra coloro che l'ha visto lo dimentica, tramandando storie di famiglie intere in fuga accolte nei paesi fino sui laghi di Como e sul Maggiore.Nell'aria irrespirabile i milanesi organizzano trasporti per sfollare i sopravvissuti, lasceranno la città 245.000 persone che faranno ritorno soltanto anni dopo. Ferragosto: a mezzanotte e mezza una formazione di 138 bombardieri sfrutta il bagliore degli incendi ancora attivi per prendere la mira, e vengono colpiti ancora il Castello e le zone dei teatri Dal Verme e Verdi ed anche il Palazzo Reale. Manca l'acqua, che servirebbe per limitare gli incendi ed eliminare almeno i focolai, perché le tubazioni dell'acquedotto di via Crema sono saltate in aria. La notte successiva, più o meno alla stessa ora, le bombe cadono sul Duomo, sul teatro alla Scala, sulla Rinascente che viene del tutto distrutta, sulle stamperie dei principali giornali. Il censimento comunale del 30 agosto riporta che la metà delle case di Milano non sono abitabili, gli sfollati oltre 300.000, l'ospedale Cà Granda è stato centrato da diverse bombe, la cupola di Santa Maria delle Grazie è danneggiata ma il Cenacolo si salva, impacchettato da un muro si sabbia messo apposta per proteggerlo. Nell'inverno successivo furono abbattuti migliaia di alberi appartenenti al piano urbanistico Beruto per alimentare le stufe, riducendone il numero da circa 80.000 a meno di 30.000. Nulla rispetto a quanto stiamo facendo oggi per un temporale. Il 1944 non fu migliore per Milano, ma la grande quantità di sfollati limitò relativamente le perdite umane. Gli ultimi attacchi che si ricordino avvennero il 12 e 13 aprile 1945, a opera di caccia alleati che mitragliarono a bassa quota la via Manzoni e Lambrate. Al termine del conflitto la città aveva subito 61 attacchi aerei e dalla grande quantità di macerie rimosse dalle zone colpite nasce la Montagnetta di San Siro.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)