2023-10-07
Commissione europea spaccata su Tunisi. Ma sulle Ong l’Italia ricuce con Berlino
Giorgia Meloni e Olaf Scholz a Granada (Ansa)
Borrell prova ad azzoppare la Von der Leyen sul memorandum. No di Ungheria e Polonia al patto sull’asilo. Imbarazzo Sánchez.Il presidente Usa Joe Biden tentenna sullo sblocco degli aiuti alla Tunisia ma, intanto, stringe un discutibile accordo con Caracas per rimpatriare migliaia di profughi venezuelani.Lo speciale contiene due articoli.«L’uso di missioni dell’Unione europea, navali o di terra, per combattere i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo ha bisogno dell’accordo della Tunisia» ha detto ieri il ministro degli Esteri Ue, Josep Borrell, al vertice europeo di Granada. Dove ha però anche detto di voler convocare entro l’anno una riunione del Consiglio di associazione Ue-Tunisia. «Ci sono due modi per lavorare con la Tunisia. Uno è il Memorandum e l’altro è il Consiglio di associazione Ue-Tunisi, che presiedo», ha tenuto a sottolineare rivolgendosi di fatto al presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Da parte sua, la numero uno di Bruxelles ha tenuto il punto spiegando che «l’intesa sul regolamento per crisi migratorie è stato un grande successo, un pezzo importante del puzzle del pacchetto. Ma ci sono anche le azioni operative: agiremo secondo i dieci punti di Lampedusa e nel medio attraverso il Memorandum con la Tunisia», ha aggiunto. «È importante investire in questi Paesi e stabilire dei corridoi legali e umanitari per le migrazioni». Due dichiarazioni che non potrebbero essere più distanti. Commissione spaccata che duplica la tremande rottura tra la stessa Commissione e il Consiglio. Da tempo a loro volta in forte rottura. E non solo per le questioni migratorie. In ballo ci sono i temi green, ma anche il futuro del mercato unico. Il prossimo 12 ottobre si consumerà l’ennesimo incontro per il trilogo relativo alle case green. La Commissione vuole stringere la morsa anche a costo di imporre ai singoli Stati gli oneri di ristrutturazione per le classi sociali più povere. I Paesi membri nicchiano. Temono che si verifichi un effetto Superbonus al quadrato. E hanno ragione. Solo che la Commissione cerca di imporsi per motivi esclusivamente politici e nel tentativo di scardinare gli equilibri democratici. Lo sta facendo attraverso Dg Sante che con la scusa del tabacco vuole delega in bianco dai singoli ministeri con l’obiettivo di legiferare senza passare dal Consiglio né dal Parlamento. Assurdo ma sta succedendo. Come è paradossale che il Consiglio abbia scelto Enrico Letta per studiare il futuro del mercato unico e la Von der Leyen abbia incaricato Mario Draghi per fare lo stesso lavoro. La posizione che prevarrà detterà la linea. È in questo clima da lame affilate che si affronta un tema storico e complesso come quello dei flussi migratori. Ci sarebbe da sorridere se non fosse drammatico. Così il risultato è che Kais Saeid, leader tunisino, alza la posta ribadendo la propria sovranità, mentre i vertici di Ungheria e Polonia si mettono di traverso, guarda caso poco dopo il bilaterale tra Italia e Germania. L’intesa di Granada sui migranti riceve così l’attesa picconata di Polonia e Ungheria che scalfisce l’unità del blocco comunitario sul dossier. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni - dopo aver mostrato a tutti i partner europei la sua solida alleanza con il britannico Rishi Sunak -riallaccia i rapporti con il cancelliere, Olaf Scholz, dopo i dissidi degli ultimi giorni incentrati sulla questione dell’operato delle navi delle Ong che operano nel Mediterraneo. Da segnalare che Scholz se l’è cavata spiegando che a decidere per i fondi alle Ong pro migranti era stato il Parlamento. Non lui. Uno scaricabarile quasi prevedibile. Quanto era prevedibile il parere negativo del premier polacco Mateusz Morawiecki e l’omologo ungherese Viktor Orbán, che mantengono il loro fermo «no» rispetto al Patto su migrazione e asilo e fanno saltare la dichiarazione finale a firma di tutti i 27. Su tutti i temi i leader dei Paesi membri dell’Ue si sono espressi all’unanimità, ma sui migranti Morawiecki e Orbán non hanno mollato un centimetro, costringendo di fatto a una dichiarazione della sola presidenza del Consiglio europeo.A quel punto a reagire con un certo disagio è stato il presidente spagnolo Pedro Sánchez. Malcelato disappunto sulla mancanza di unanimità, ma anche per quello che l’altro ieri il quotidiano El Mundo ha presentato come un eccessivo protagonismo dell’Italia. Meloni è riuscita a portare in cima all’agenda dei lavori il dossier migratorio, uno sviluppo non previsto da Sánchez che, peraltro, è rimasto anche escluso dal «tavolo a sei» sul contrasto ai trafficanti di esseri umani che, per come si è sviluppato, è stato l’evento più importante della due giorni di Granada. Da un formato ristretto a quattro, con Meloni, Sunak e i premier di Paesi Bassi e Albania, Mark Rutte ed Edi Rama, infatti, la riunione ha visto la partecipazione anche del presidente francese Emmanuel Macron e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ma non del padrone di casa. Ad acuire l’indisposizione spagnola rispetto alla riunione anche la dichiarazione congiunta finale in otto punti che, sebbene non vincolante, ha mostrato un nuovo asse che vede la Francia e l’Italia sincronizzate. Insomma, una gran fatica che però non riallinea tutte le stelle. Finché Consiglio e Commissione Ue continueranno a remarsi contro sarà molto difficile essere interlocutori forti e imporre accordi ai Paesi terzi e rimettere ordine nel Sahel.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/migranti-europa-granada-2665822739.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="biden-tratta-col-dittatore-maduro" data-post-id="2665822739" data-published-at="1696628309" data-use-pagination="False"> Biden tratta col dittatore Maduro Per qualcuno i diritti umani sembrano valere a fasi alterne. L’amministrazione Biden ha deciso di rimpatriare gli immigrati illegali venezuelani nel loro Paese. A tal proposito, il governo di Caracas ha reso noto di aver raggiunto un accordo con Washington. «Abbiamo deciso che è sicuro rimpatriare i cittadini venezuelani arrivati negli Usa dopo il 31 luglio e che non hanno una base legale per rimanere qui», ha dichiarato dal canto suo il segretario americano alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas. La stretta è arrivata appena poche settimane dopo che la stessa amministrazione Biden aveva concesso lo status di protezione temporanea ad alcune centinaia di migliaia di immigrati illegali venezuelani, già presenti in territorio statunitense da prima del 31 luglio, con l’obiettivo di ridurre la pressione sui centri di accoglienza di città come Chicago e New York. Non è d’altronde un mistero che la situazione sia sempre più difficilmente sostenibile anche alla frontiera meridionale (nel solo mese di settembre sono stati intercettati in loco oltre 200.000 clandestini). E, nel frattempo, l’inquilino della Casa Bianca è stato bersagliato non solo dalle critiche dei repubblicani ma anche da quelle di alcuni sindaci e governatori dem. L’accordo con Caracas va quindi inserito in questo travagliato contesto. Tuttavia non si può non scorgere un problema di rispetto dei diritti umani. Il regime venezuelano di Nicolas Maduro è una delle dittature più spietate al mondo. A marzo 2021, un funzionario dell’amministrazione Biden disse alla Cbs che il Paese non era sicuro e che non era quindi possibile effettuarvi dei rimpatri. Secondo Amnesty International, in Venezuela si verificano repressione del dissenso, torture, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni extragiudiziali. Inoltre, nelle scorse ore, le autorità venezuelane hanno emesso un mandato d’arresto ai danni di uno dei principali oppositori politici di Maduro, Juan Guaidò. E pensare che Joe Biden aveva promesso una politica estera al servizio dei diritti umani e della promozione della democrazia! D’altronde parliamo dello stesso Biden che, nonostante l’influenza che può esercitare sul Fmi, non ha ancora fatto nulla di concreto per sbloccare il prestito da 1,9 miliardi di dollari che era stato negoziato per la Tunisia. Risultato: il Paese nordafricano continua a essere instabile e questo favorisce l’incremento dei flussi migratori diretti verso le nostre coste. Perché il presidente americano non agisce? Perché è preoccupato per la situazione della democrazia in Tunisia e, spinto anche da alcuni esponenti del Partito democratico statunitense, non vede di buon occhio il leader tunisino, Kais Saied. Un leader che certamente non è un esempio di liberaldemocrazia. Ma allora, se il parametro è quello della liberaldemocrazia, come la mettiamo con Maduro? Eh sì, perché, al di là della barbarie riportata da Amnesty e del mandato d’arresto contro Guaidò, è il Democracy Index del 2022 a fotografare un quadro piuttosto eloquente: in una scala di democrazia che va da uno a dieci, la Tunisia ha un punteggio di 5,51, mentre il Venezuela è a quota 2,23 punti. Ne consegue che, se il parametro da seguire è quello del rispetto della democrazia, risulta molto meno controverso il nostro memorandum con Tunisi rispetto all’accordo di Biden con il governo di Caracas. Qualcuno replicherà dicendo che il presidente americano è stato costretto a quest’intesa dalla crisi migratoria. Ma allora il ragionamento dovrebbe valere anche per l’Italia. Sarebbe interessante infine sapere che cosa pensi dell’accordo venezuelano il Pd: un partito che, da sempre schierato con Biden, ha ripetutamente criticato il memorandum tunisino. D’altronde, oltre a Biden, i dem nostrani hanno anche un altro mito: il presidente del Brasile Inacio Lula che, a maggio, si è incontrato con Maduro per celebrare «la piena ripresa delle relazioni bilaterali con il Venezuela». Scusate: e i diritti umani?
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)