2025-01-02
Migranti, la Cassazione «spinge» la Corte Ue
Gli ermellini hanno ribadito che stabilire i Paesi «sicuri» è compito dei governi e non dei magistrati: difficile che questa linea sia stata adottata senza aver «intuito» che pure in Lussemburgo la pensino uguale. Ma certi pm son già pronti alle barricate.Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneQualcuno potrebbe forse ritenere eccessivi gli entusiasmi manifestati da taluni esponenti politici dell’area di centrodestra a proposito dell’ordinanza n. 34898 del 30 dicembre pronunciata dalla Corte di Cassazione sul ricorso del ministro dell’Interno avverso il diniego di convalida, da parte del tribunale di Roma, del provvedimento con il quale era stato disposto il trattenimento di un migrante egiziano nell’apposito centro allestito, a iniziativa del nostro governo, in Albania. È vero, infatti, che - come criticamente osservato dall’opposto versante politico - con la suddetta ordinanza non è stato accolto il ricorso del ministro ma è stata soltanto rinviata la decisione a quando la Corte di giustizia dell’Unione europea si sarà pronunciata sui quesiti posti dallo stesso tribunale di Roma, nell’ambito di altri procedimenti, circa la corretta interpretazione da darsi ad alcune disposizioni delle direttive europee in materia di designazione di taluni Paesi come «sicuri» ai fini dell’adozione di procedure accelerate per il respingimento di coloro che, da essi provenienti, abbiano presentato domanda di asilo o protezione internazionale. È altrettanto vero, però, che la Cassazione, con l’ordinanza in questione, non si è limitata (come avrebbe potuto) a una asettica e non contestabile affermazione circa la ritenuta necessità del rinvio, ma ha espresso autonome e approfondite valutazioni su taluni dei principali argomenti che, in materia, sono oggetto di discussione. E sono proprio queste valutazioni a rendere comunque giustificabile - al di là di possibili esagerazioni o di imprudenti anticipazioni circa i loro effetti futuri - la soddisfazione espressa negli ambienti governativi. Fra tali valutazioni, il maggior rilievo è stato dato, nei mezzi d’informazione, a quella concernente la ritenuta competenza della sola autorità politica alla designazione dei Paesi da ritenersi «sicuri», fermo restando, tuttavia, il potere-dovere del giudice, in ogni singolo caso, di verificare la legittimità di detta designazione, quando essa assuma la forma del provvedimento amministrativo. Ben più significativa appare, piuttosto, la valutazione operata dalla Cassazione circa l’assunto posto a base dei provvedimenti, oggetto di ricorso da parte del ministro dell’Interno, con i quali era stata negata la convalida del trattenimento dei migranti provenienti in particolare da Egitto e Bangladesh; assunto secondo il quale, avendo la competente autorità qualificato tali Paesi come «sicuri» salvo che per talune, specificate categorie di soggetti, la loro «sicurezza» sarebbe stata da escludere, invece, in assoluto, indipendentemente dall’appartenenza o meno degli interessati a quelle categorie, in base al principio affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 4 ottobre 2024, per cui non potrebbe considerarsi «sicuro» un Paese qualora anche una sola parte del suo territorio sia, invece, insicura. La Cassazione ha recisamente bocciato tale ragionamento, esprimendo il convincimento che la citata sentenza della Corte di giustizia europea vada intesa come riferita «esclusivamente all’incompatibilità della previsione di Paesi sicuri con eccezioni di parti del territorio» e negando, quindi, che essa «abbia dettato un principio di incompatibilità della nozione di Paese sicuro con la presenza di eccezioni personali». Ma di ancor maggiore rilievo appare quanto osservato dalla Cassazione con riguardo al principale dei quesiti posti dal tribunale di Roma alla Corte di giustizia europea: quello, cioè - secondo quanto riportato nella stessa ordinanza di rinvio - se sia o meno consentito, in base alla tuttora vigente direttiva europea n. 32 del 2013, ritenere complessivamente «sicuro» un Paese nel quale vi siano categorie di persone per le quali la sicurezza non possa dirsi operante. La Cassazione, infatti, nel dichiarato intento di «contribuire al dialogo» con la Corte europea, pur nell’attesa della pronuncia di quest’ultima, ha lasciato chiaramente intendere quale, a suo giudizio, dovrebbe essere la risposta al suddetto quesito, affermando essere «ragionevole» - oltre che conforme alla nozione di «sicurezza» desumibile dall’allegato I alla citata direttiva europea - il ritenere «che la designazione del Paese sicuro risponda a un criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza, a condizione, tuttavia, che la presenza di eccezioni soggettive tanto estese nel numero, accompagnata da persecuzioni e menomazioni generalizzate ed endemiche, non incida, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto». Il che, più semplicemente, equivale a dire che la presenza, in un Paese, di condizioni di insicurezza per determinate categorie di persone non dovrebbe impedire, di per sé sola, la qualificabilità di quel Paese come complessivamente «sicuro». Il tutto avvalorato da due ulteriori considerazioni: la prima concernente il fatto che, nel regolamento europeo n. 1348/2024 (che sostituirà, a partire dal 12 giugno 2026, quello n. 32/2013), è espressamente prevista la possibilità che un Paese sia qualificato come «sicuro» salvo che per determinate categorie di persone; la seconda relativa alla presenza, nella normativa europea e nazionale (art. 36 della direttiva n. 32/2013 e art. 2 bis, comma 5, del D.L.vo n. 25/2008) della parimenti espressa previsione che anche chi provenga da un Paese ritenuto totalmente «sicuro», possa far valere, a sostegno di una domanda di asilo o protezione internazionale, eventuali, specifiche ragioni per le quali, nei suoi confronti, quella sicurezza sarebbe da escludere. La Cassazione ha, in tal modo, adottato una linea interpretativa che non si discosta, sostanzialmente - sia consentito annotarlo con un pizzico di soddisfazione - da quanto chi scrive aveva già sostenuto negli articoli comparsi sulla Verità il 22 e il 31 ottobre 2024. Ed è pure da notare che difficilmente la suddetta linea sarebbe stata adottata se non in presenza di una qualche ragione (a noi ignota) sulla base della quale possa darsi per probabile che essa sia destinata a essere condivisa anche dalla Corte di giustizia europea. Nessuno si illuda, tuttavia, che, se così sarà, il fronte immigrazionista operante all’interno e all’esterno della magistratura si rassegnerà alla sconfitta. Ricorrerà, piuttosto, all’inesauribile riserva di tutti gli altri possibili cavilli giuridici e la guerra, con alterne vicende, continuerà a tempo indeterminato.
Nel riquadro: Ferdinando Ametrano, ad di CheckSig (IStock)
Francesca Albanese (Ansa)