2023-09-28
Migliaia di profughi in fuga dal Nagorno. Bruxelles se la cava mandando due soldi
L’Ue liquida il problema dei 13.500 che «scelgono» di scappare con 100 euro a testa. Finisce in manette l’ex premier separatista.L’aggressione degli azeri rientra nella strategia, soprattutto americana, che mira ad accerchiare Mosca e isolarla politicamente.Lo speciale contiene due articoliIl grande cuore dell’Unione europea non batte per il Nagorno Karabakh. L’enclave armena è finita nelle mani dell’Azerbaijan dopo una guerra lampo e 45.000 profughi avrebbero già lasciato la regione, dove vivevano 140.000 persone. Ma evidentemente sono profughi di serie B, perché l’Ue ha stanziato appena 5 milioni di euro per l’emergenza, ovvero poco più di 100 euro a testa. Non solo, in una nota Bruxelles parla di persone che «hanno deciso di abbandonare» la regione. Insomma, siamo di fronte a «profughi volontari», una vera primizia. Intanto i militari azeri hanno arrestato alla frontiera con l’Armenia Ruben Vardanyan, l’ex presidente dell’autoproclamata Repubblica di Atsakh, nell’enclave che per gli armeni sarebbe «Armenia meridionale» e per gli azeri «Azerbaijan occidentale». Quella che sta andando in scena nel Nagorno è una guerra a tutti gli effetti, con alcune centinaia di morti, bombardamenti e forze di occupazione in arrivo da Baku. I numeri a disposizione non sono molti, al netto della disinformazione incrociata. L’Ue parla di 13.500 rifugiati che avrebbero già oltrepassato il confine dell’Armenia e di 25.000 persone come possibili destinatari degli aiuti nel paese. La Croce rossa invece fa sapere che sta soccorrendo 60.000 armeni con cibo, cure, vestiti e campi attrezzati. Mentre secondo le autorità di Erevan, capitale dell’Armenia, sarebbero già scappate dal Nagorno Karabakh 45.000 persone. In ogni caso si è di fronte a una situazione drammatica, con un esodo di massa di armeni che tentano di scappare, lasciandosi alle spalle case bruciate e minacce dei soldati azeri. E di fronte a tutto ciò, Mosca, storica alleata dell’Armenia, lascia fare perché con la guerra in Ucraina ha dovuto allacciare stretti rapporti con Baku. Mentre Bruxelles partorisce il classico topolino. In una nota, ieri l’Unione ha fatto sapere di aver stanziato questi 5 milioni di «fondi umanitari» per «la crisi del Nagorno Karabakh», spiegando che con la «crisi» si è creata «una pesante carenza di cibo, di accesso all’elettricità e all’acqua». Per fortuna, c’è anche un impegno diplomatico, che sta andando in scena con una fitta serie di colloqui con le parti in causa, ma al momento lo sforzo maggiore è sul piano umanitario. Janez Lenarcic, commissario per le Crisi, sostiene che «L’Ue è impegnata a coordinare gli sforzi umanitari sul campo per assistere le persone colpite da questo conflitto». Il problema è che con 5 milioni si combina davvero poco. Per non parlare dello scivolone della Commissione di Bruxelles, che su Twitter ha scritto testualmente: «Dobbiamo essere pronti ad aiutare le migliaia di persone che hanno deciso di fuggire dal Nagorno Karabakh». Come se qualcuno non li avesse terrorizzati e come se fosse una libera scelta, quella di caricare vestiti e qualche oggetto sulla macchina e darsi alla fuga. Da tre giorni, fanno il giro del mondo le immagini di queste lunghe colonne di auto di armeni che cercano di lasciare l’enclave, dopo i bombardamenti azeri sulla capitale Stepanakert. L’Azerbaijan ha revocato dopo quasi un anno il blocco sul corridoio di Lachin, che aveva causato penuria di cibo, carburanti e medicine. Ma l’esodo è comunque ostacolato dalla difficoltà di fare benzina e dai controlli a tappeto dei militari, con Baku che sostiene di dover cercare tra i fuggiaschi «eventuali criminali di guerra armeni». Intanto, è stato arrestato il miliardario russo Vardanyan, ex capo del governo della autoproclamata Repubblica di Atsakh, mentre cercava di scappare in Armenia. Sullo sfondo dell’occupazione azera si muovono con grande prudenza Stati Uniti, Russia, Turchia e la stessa Unione europea. Storicamente, Mosca ha sempre appoggiato gli armeni, ma dopo la svolta democratica dell’Armenia ha raffreddato il suo atteggiamento e con l’embargo per la guerra in Ucraina ha invece rinsaldato i rapporti con l’Azerbaigian, che ha a disposizione anche parecchie fonti di energia. Al fianco di Baku è rimasta la Turchia di Recep Erdogan, che lunedì ha incontrato il collega Ilham Aliyev nell’enclave azera di Nakhichevan, tra Armenia, Iran e Turchia, rinnovando accordi militari e collaborazione sui gasdotti. Stati Uniti e Unione europea stanno invece cercando di capire se l’Armenia, che si sente tradita dalla Russia, possa diventare un nuovo alleato dell’Occidente. E intanto annunciano aiuti agli sfollati, anche se in misura ben inferiore all’Ucraina. Emissari della Casa Bianca sono già arrivati in Armenia e a questo punto è assai probabile che arrivi qualche milione in più. Per il resto, la speranza è che non si ripetano gli episodi di pulizia etnica, andati in scena a più riprese negli ultimi trent’anni da entrambe le parti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/migliaia-di-profughi-in-fuga-dal-nagorno-bruxelles-se-la-cava-mandando-due-soldi-2665745662.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="loccidente-sacrifica-larmenia-per-fiaccare-la-russia" data-post-id="2665745662" data-published-at="1695839704" data-use-pagination="False"> L’Occidente sacrifica l’Armenia per fiaccare la Russia Al di là dell’Ucraina, non sembra vi sia altra aggressione nel mondo, per quanto efferata e brutale possa essere, che riesca a suscitare lo sdegno e la reazione dell’Occidente: oltre alcune esternazioni di circostanza sulla condanna dell’uso della forza e qualche enunciato di mera, algida solidarietà, i governi europei, e la stessa Casa Bianca, non si sono esposti più di tanto nel condannare la barbara aggressione messa a segno in queste ore dall’Azerbaijan con l’obiettivo di spegnere le ultime resistenze armene nella ormai estinta Repubblica dell’Artsakh. Il dramma, possiamo tranquillamente ammetterlo, non è ora la sconfitta sul piano militare, bensì su quello umanitario. A migliaia oggi gli armeni del Karabakh si ammassano nei luoghi non ancora espugnati, per sfuggire alle persecuzioni e alle atrocità di cui gli azeri già in passato si son fatti autori. È la popolazione civile ora il bersaglio di Baku. Le sparute presenze militari armene sono state debellate, le miniere d’oro di Kalbajar, Kashan e Zangilan già conquistate e vendute agli inglesi e le poche armi rimaste in qualche caserma consegnate al vincitore. Ora restano esposti al secolare odio del nemico solamente i civili, le famiglie incolpevoli, gli anziani, le donne e, come sempre accade, i bambini. Gli uomini vengono rastrellati nei villaggi, uccisi o incarcerati con l’accusa, falsa e pretestuosa, di banditismo o addirittura di terrorismo. Come in altri precedenti storici, l’Armenia ancora una volta paga oggi per la sua collocazione in un contesto geopolitico critico e sensibile. Conteso nei secoli passati tra le potenze confinanti, il Paese si è trovato confrontato dalla dissoluzione dell’Urss con un vicino di casa che, scopertosi un giorno a galleggiare su un mare di gas e di petrolio, è riuscito a sfruttare tale opportunità a tutto vantaggio delle proprie ambizioni territoriali e a beneficio di un’unica famiglia, gli Aliyev, che da decenni governa il Paese in modalità autocratica, sostenuta da un dispotismo funzionale solo alla repressione del dissenso interno e al guadagno personale. La situazione cui oggi l’Armenia è giunta, è certamente intricata, complessa nelle dinamiche e ambigua nella sostanza. Fattori geopolitici peserebbero sul suo futuro. E ciò in presenza tra l’altro di una condizione interna del Paese divenuta, con la perdita dell’Artsakh, particolarmente instabile. Se fino a un decennio addietro il conflitto tra Yerevan e Baku poteva definirsi in termini di un scontro ideale tra il principio di integrità territoriale perseguito dall’Azerbaijan e quello di autodeterminazione dei popoli sostenuto dall’Armenia per il Nagorno Karabakh, ora è divenuto scenario in uno scontro ben più ampio che potremmo contestualizzare nel quadro di quelle azioni che gli Stati Uniti, e per essi la Nato, hanno inteso condurre e mettere in atto con l’obiettivo di singolarizzare la Russia sul piano internazionale, accerchiandone il territorio e dispiegando armi strategiche per tutto il perimetro dei suoi confini occidentali dal Baltico al Caucaso. Ben sappiamo d’altronde che l’oggetto di questa contesa non è il diritto alla libertà di qualche sprovveduta nazione, o lo spassionato, quanto filantropico, impegno a garantire la democrazia a qualche regime politico perplesso, bensì l’obiettivo, nefando già di per sé, di conseguire una egemonia sul mondo prima che certi Paesi oggi emergenti possano contrastare con la loro crescita l’affermarsi della leadership a stelle e strisce a livello planetario. Ecco allora che la crisi del Nagorno Karabakh acquista in chiarezza e intelligibilità divenendo, in questa prospettiva, e soprattutto sulla scia della guerra in Ucraina, un altro tassello della strategia occidentale, e americana più in particolare, volta a esercitare un ulteriore condizionamento sul Cremlino. *Già ambasciatore d’Italia, presidente onorario dell’associazione Italo-armena per il commercio e l’industria