2018-06-17
Le donne che si nascondono dietro il sesso
Virginia Raggi si difende sostenendo che l'attaccano perché femmina e Repubblica la contesta: «Una frase pericolosa». Ma da anni le politiche di sinistra usano la stessa scusa per gridare alla persecuzione e mettere a tacere chi le critica.Ci inchiniamo - e speriamo che non lo prenda come un gesto machista - al cospetto di Michela Marzano. Ieri, su Repubblica, ha firmato un editoriale di eccezionale importanza. Titolo di prima pagina: «Essere donna non può essere uno scudo». La filosofa ha contestato le parole pronunciate da Virginia Raggi a Porta a porta. Il sindaco di Roma, riguardo alla vicenda giudiziaria che coinvolge Luca Lanzalone e amici, ha dichiarato: «Mi attaccano perché sono donna». In realtà, la frase era più articolata, ma il concetto era esattamente quello. Secondo la Marzano, si tratta di affermazioni pericolose. «Il fatto di essere donna può esimerla dall'assumersi responsabilità dal proprio ruolo di sindaca di Roma?», si chiede l'intellettuale. Ovviamente, la domanda è retorica. Infatti, poche righe dopo, la Marzano affonda la lama: «Quando ci si nasconde dietro il proprio sesso invece di mostrarsi all'altezza del ruolo che si ricopre, come ha fatto ieri sera la sindaca Raggi - e come aveva già fatto Maria Elena Boschi quando, durante una puntata di Otto e mezzo, era stata contestata da Marco Travaglio sulla questione di Banca Etruria - significa di fatto squalificare le battaglie di tutti coloro che, da anni, cercano non solo di abbattere “il soffitto di cristallo" che impedisce a tante donne, a parità di merito, di rivestire posizioni di responsabilità, ma anche e soprattutto di costruire un mondo dove le differenze sessuali non si traducano inesorabilmente in disuguaglianze e discriminazioni». La filosofa procede senza pietà: «Non si può cercare la solidarietà femminile quando, nascondendosi dietro il proprio essere donna, non si risponde nel merito e ci si trova a corto di argomenti». Siamo totalmente d'accordo, Michela Marzano ha ragione fin nel midollo, e ha mostrato pure un certo coraggio nell'esprimere idee del genere. Bene ha fatto anche Repubblica a concederle la prima pagina. Il problema, tuttavia, è la tempistica dell'intervento. Ora che è Virginia Raggi, esponente del Movimento 5 stelle, ha utilizzare la scusa «mi attaccano perché sono donna», il giornale progressista dà spazio all'indignazione. Certo, nell'articolo della Marzano si cita pure il caso di Maria Elena Boschi, che usò le stesse argomentazioni della Raggi. Solo che, all'epoca (era il dicembre del 2017) Repubblica si guardò bene dal criticare. Anzi, in più occasioni difese il ministro Boschi dal «sessismo» esibito da vari giornali. Anche il Pd (di cui la Marzano ha fatto parte), per bocca di Emanuele Fiano, si scagliò contro il vignettista Mario Natangelo per una striscia intitolata «Il cosciometro» che sbertucciava la Boschi e il suo abbigliamento. Il mondo progressista ha mantenuto un totale e deferente silenzio anche di fronte alle ripetute sparate di Laura Boldrini. Una che, nel settembre 2017, se ne uscì con la dichiarazione imprescindibile: «Perché mi attaccano? Sono vittima di odio perché donna e perché rappresento le istituzioni». Di «attacchi sessisti» hanno parlato a ripetizione pure altre pasionarie di sinistra come Alessia Morani e Alessandra Moretti del Partito democratico. E, ogni volta, i giornali si sono precipitati a prestare soccorso. Oddio, anche i pentastellati hanno le loro incoerenze. Sia Alessandro Di Battista che Paola Taverna contestarono con decisione le affermazioni di Maria Elena Boschi. «Ritengo che trincerarsi dietro l'essere donna quando si riceve un attacco politico in merito a fallimenti politici sia piuttosto stomachevole. E questo atteggiamento rafforza le discriminazioni», ebbe a dire Dibba nel 2017. Insomma, è evidente che l'utilizzo della femminilità come scudo contro attacchi che sono tutti politici (e non sessisti) viene accettato a corrente alternata. Se è la compagna di schieramento a trincerarsi dietro l'odio maschilista, allora ci si indigna. Se è l'avversaria a gridare alle discriminazioni, invece, la si può fare a pezzi. Viene da pensare che, forse, le donne impegnate in politica e quelle che ricoprono ruoli istituzionali - a prescidere dallo schieramento - dovrebbero rinunciare una volta per tutte a recitare la parte di quelle dileggiate per via del sesso. Perché quando lo fanno risultano semplicemente ridicole. Da quanto è esplosa la bolla del Me too con relativa psicosi antimolestie, i maschi occidentali vengono costantemente accusati di ogni nefandezza. Eppure nemmeno si sognano di atteggiarsi a perseguitati. Vengono definiti intrinsecamente violenti, predatori, affamati di sesso e via di questo passo. Ma nessuno monta campagne «contro l'odio». Sui politici, poi, l'accanimento è particolarmente brutale. Provate per un attimo a ribaltare la prospettiva. Se Matteo Salvini si chiamasse Marisa e fosse femmina, credete davvero che l'Espresso la sbatterebbe in prima pagina scrivendo che non è un essere umano? Vero è che con le donne di destra i media progressisti non ci sono mai andati per il sottile. Ma non c'è paragone con il trattamento che hanno riservato agli uomini. Oggi le donne vengono trattate come una categoria iper protetta, gli equilibri di potere stanno cambiando a loro favore, il maschio è sotto processo a ogni latitudine. L'accusa di sessismo rivolta agli uomini viene utilizzata da molte come un volano per la carriera. Chi osi criticare le intemerate di certe attiviste furenti - come ha notato perfino la femminista Alice Schwarzer - viene accusato di razzismo e altre simili baggianate. Dunque, care signore, basta con i piagnistei: alla femmina odierna non si addicono proprio.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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