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2021-06-30
Mezza Australia va in lockdown con zero morti e un solo intubato
Ansa
Tutti pazzi, è proprio il caso di dirlo, per la variante delta. Nella lontana Australia è bastata una manciata di casi per far ripiombare 12 milioni di persone, ovvero metà della popolazione, nella morsa del lockdown. Quattro capitali sono attualmente colpite dal massimo provvedimento restrittivo: Darwin (Territorio del Nord) e Brisbane (Queensland) dovrebbero riacquistare la libertà già il 2 luglio prossimo, e Perth (Australia Occidentale) il giorno successivo, mentre è stata Sydney ad avere la peggio. Gli abitanti della metropoli situata nel Nuovo Galles del Sud, infatti, saranno costretti a rispettare l'isolamento per ben due settimane, vale a dire fino al 9 luglio prossimo.
Nel sistema australiano ogni Stato federato detta le proprie regole. A Sydney, pub e ristoranti rimarranno aperti solo per l'asporto, mentre a chiudere saranno cinema, teatri, palestre, teatri, sale da concerto, piscine, parrucchieri e centri di bellezza, piscine e sale da gioco. Sospese anche le messe, che potranno essere trasmesse solo in streaming. Vietato andare a trovare gli amici, e la mascherina torna obbligatoria in determinate circostanze anche all'aperto. Nello Stato del Queensland, dove si trova Brisbane, negozi e servizi non essenziali abbasseranno la saracinesca, mentre le celebrazioni sono autorizzate solo a numero chiuso: venti persone per i funerali e dieci invitati per i matrimoni.
Una psicosi difficilmente giustificabile sulla base della situazione epidemiologica. Mentre scriviamo, in tutta l'Australia ci sono 294 casi attivi, pari a 1 ogni 100.000 abitanti (che in totale sono poco più di 25 milioni). Giusto per dare l'idea, in Italia ce ne sono 88 volte tanto, ma da noi tutte le Regioni sono in zona bianca. Nelle ultime 24 , i nuovi casi sono stati 25, e zero morti. L'ultimo decesso si è verificato il 19 ottobre del 2020. Quasi nulla la pressione sul sistema sanitario: attualmente 59 persone sono ricoverate, e una sola si trova in terapia intensiva. C'è da dire che la gran parte dei casi riscontrati nell'ultima settimana (136 su 161, pari all'84%) è concentrata su Sydney, ma i numeri assoluti rimangono comunque risibili, e la percentuale di test positivi si attesta in tutti gli Stati allo 0,1% (nel nostro Paese ieri era allo 0,36%).
E allora, perché i canguri sono entrati nel panico? Nel mirino c'è la temutissima variante delta, meno letale ma molto più contagiosa della alfa, dominante nelle ondate precedenti. Secondo alcuni calcoli effettuati sulla base delle telecamere di videosorveglianza diffusi dalla stampa locale, uno dei recenti focolai che ha convinto le autorità a introdurre le nuove restrizioni - quello di Bondi Junction, nei sobborghi di Sydney - sarebbe stato originato da un contatto fugace, durato tra i 5 e i 10 secondi. Qualora verificato, si tratterebbe di un risvolto preoccupante nel decorso della pandemia. Quando non sussiste uno scambio di secrezioni, un contatto stretto viene classificato infatti come una persona con la quale si è avuto un incontro ravvicinato (meno di due metri) per almeno 15 minuti. Se fosse vero, dunque, più che delta sarebbe corretto chiamarla variante «flash». Non tutti gli esperti, però, concordano con questa linea allarmistica. Senza contare che sull'argomento ancora non esistono studi ufficiali. La virologa della Griffith University di Brisbane, Lara Herrero, ha dichiarato all'emittente australiana Abc che il caso catturato dall'impianto a circuito chiuso è stato un incidente. «Dovresti essere così sfortunato, anzi incredibilmente sfortunato», ha spiegato la Herrero, da respirare la stessa aria nella quale il virus è rimasto abbastanza a lungo da essere inalato. Insomma, una cosa è l'attenzione, un'altra il terrore.
C'è però un altro fattore che preoccupa le autorità australiane. La campagna vaccinale procede a un ritmo piuttosto blando: nemmeno un quarto della popolazione (24,1%) ha ricevuto almeno una dose, mentre appena il 4,8% degli abitanti ha completato il ciclo di immunizzazione (in Italia siamo al 33,7%). Ora il timore è che, senza la «scudo» offerto dal vaccino, il numero dei casi possa salire improvvisamente e gli ospedali riempirsi in fretta. Non che il siero rappresenti la panacea, tutt'altro. Stando ai dati ufficiali diffusi dalla sanità britannica, più della metà dei 117 decessi legati alla variante delta riguardano vaccinati: ben 50 (pari al 43%) avevano ricevuto entrambi le dosi, e altri 19 la prima da almeno 21 giorni.
Ma l'Australia non è l'unico Paese a essere corso ai ripari. Bangkog, capitale della Thailandia, è entrata in lockdown per un mese, mentre la Malesia ha rinviato la fine delle restrizioni. Domenica il Sud Africa ha istituito il coprifuoco, imposto restrizioni al numero di partecipanti ai raduni e vietato la vendita di alcolici. Il governo del Bangladesh ha disposto da lunedì lo stop ai trasporti pubblici, mentre Taiwan e Hong Kong hanno introdotto limitazioni ai viaggiatori. C'è da scommettere che, di questo passo, la follia della variante delta si diffonderà a macchia d'olio.
Terapie anti Covid, l’Ema si sveglia
Smentiti i gufi della terza dose. I vaccini anti Covid con prodotti scudo a mRna, come Pfizer e Moderna, sembrano in grado di indurre «una risposta persistente delle cellule B del centro germinativo, che consente la generazione di una robusta immunità umorale». Ovvero, la reazione suscitata da questi vaccini nell'organismo potrebbe proteggere per anni contro il coronavirus Sars-CoV-2, se questo patogeno con le sue varianti non si evolverà molto oltre la sua forma di oggi.
È quanto afferma un team di scienziati della Washington University school of medicine di St Louis, negli Usa, attraverso uno studio, particolarmente apprezzato dalla comunità scientifica e pubblicato su Nature. Non solo. Tre giorni fa, la task force scientifica della Confederazione svizzera ha pubblicato un documento in cui si sostiene che i vaccini a mRna, Pfizer e Moderna, proteggono gli adulti da gravi decorsi del Covid per un periodo fino a tre anni, mentre per circa 16 mesi la loro efficacia consente di evitare anche lievi casi di malattia provocati dal coronavirus. Insomma, come evidenziato anche da scienziati italiani, per esempio l'immunologo Mario Clerici, «non è detto che serviranno richiami del vaccino Covid ogni anno».
Gli autori dello studio americano hanno esaminato le risposte delle cellule B specifiche per l'antigene sia nel sangue periferico che nei linfonodi drenanti di 14 persone vaccinate con due dosi di Pfizer. Quello che hanno scoperto è che la risposta che si genera appare essere persistente, cioè è come se la vaccinazione ci dotasse di «fabbriche» di plasmacellule e cellule B durature. I dati di questo studio, secondo Clerici, docente dell'università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, «confermano che dal punto di vista immunologico non vi è nulla di peculiare riguardo a questo virus».
Altra notizia promettente arriva dal fronte farmaci. La Commissione europea ha annunciato ieri l'arrivo di cinque nuovi trattamenti contro il Covid-19. Si tratta di terapie «promettenti» e «che potrebbero essere presto disponibili» in tutta l'Ue. Quattro sono anticorpi monoclonali, attualmente in revisione dei dati clinici da parte dell'Ema; la quinta terapia è un immunosoppressore, già autorizzato per pazienti non Covid e che potrebbe ricevere l'ok anche per il Covid. I cinque prodotti, spiega la Commissione, sono in una fase di sviluppo «avanzato» e hanno un «elevato potenziale» di essere «tra le tre nuove terapie che riceveranno l'autorizzazione entro ottobre 2021», sempre che si rivelino sicuri ed efficaci. Entro la stessa data, la Commissione elaborerà un portafoglio di almeno dieci potenziali terapie. Ricordiamo che i monoclonali sono farmaci specifici contro il Covid-19, autorizzati in via emergenziale e dallo scorso 10 marzo sono disponibili anche in Italia per persone particolarmente fragili, con infezione recente da Sars-Cov-2 e senza sintomi gravi: da allora, 6.101 pazienti Covid hanno ricevuto anticorpi monoclonali.
Intanto continuano a calare i numeri del bollettino quotidiano diramato dal ministero della Salute: nelle scorse 24 ore sono risultati positivi al test del coronavirus 679 italiani e i decessi sono stati 42 (di cui 22 vittime arrivano dal ricalcolo della Regione Campania sul periodo compreso tra novembre 2020 e maggio 2021). Sono stati invece 190.635 i tamponi molecolari e antigenici effettuati con un tasso di positività dello 0,3%, in lieve calo rispetto allo 0,5% di lunedì, ma il più basso da quando a gennaio sono stati aggiunti i test rapidi nel calcolo di questo valore. Prosegue anche il calo delle ospedalizzazioni: i posti letto occupati nei reparti Covid ordinari sono in totale 1676 mentre in terapia intensiva sono 270. In particolare, Friuli, Basilicata, Molise, Valle d'Aosta e la Provincia di Trento hanno le terapie intensive completamente vuote.
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Riduci
Psicosi da variante delta: «Ci si contagia in 5-10 secondi». Una studiosa smentisce. Gli inglesi annunciano: «Tra i deceduti, oltre la metà erano vaccinati». Nuove restrizioni pure in Sud Africa e nel Sud Est asiaticoL'Agenzia approverà quattro monoclonali e un immunosoppressore entro ottobre Ricerca Usa: «I farmaci a mRna proteggono per anni, basta la doppia inoculazione»Lo speciale contiene due articoliTutti pazzi, è proprio il caso di dirlo, per la variante delta. Nella lontana Australia è bastata una manciata di casi per far ripiombare 12 milioni di persone, ovvero metà della popolazione, nella morsa del lockdown. Quattro capitali sono attualmente colpite dal massimo provvedimento restrittivo: Darwin (Territorio del Nord) e Brisbane (Queensland) dovrebbero riacquistare la libertà già il 2 luglio prossimo, e Perth (Australia Occidentale) il giorno successivo, mentre è stata Sydney ad avere la peggio. Gli abitanti della metropoli situata nel Nuovo Galles del Sud, infatti, saranno costretti a rispettare l'isolamento per ben due settimane, vale a dire fino al 9 luglio prossimo. Nel sistema australiano ogni Stato federato detta le proprie regole. A Sydney, pub e ristoranti rimarranno aperti solo per l'asporto, mentre a chiudere saranno cinema, teatri, palestre, teatri, sale da concerto, piscine, parrucchieri e centri di bellezza, piscine e sale da gioco. Sospese anche le messe, che potranno essere trasmesse solo in streaming. Vietato andare a trovare gli amici, e la mascherina torna obbligatoria in determinate circostanze anche all'aperto. Nello Stato del Queensland, dove si trova Brisbane, negozi e servizi non essenziali abbasseranno la saracinesca, mentre le celebrazioni sono autorizzate solo a numero chiuso: venti persone per i funerali e dieci invitati per i matrimoni.Una psicosi difficilmente giustificabile sulla base della situazione epidemiologica. Mentre scriviamo, in tutta l'Australia ci sono 294 casi attivi, pari a 1 ogni 100.000 abitanti (che in totale sono poco più di 25 milioni). Giusto per dare l'idea, in Italia ce ne sono 88 volte tanto, ma da noi tutte le Regioni sono in zona bianca. Nelle ultime 24 , i nuovi casi sono stati 25, e zero morti. L'ultimo decesso si è verificato il 19 ottobre del 2020. Quasi nulla la pressione sul sistema sanitario: attualmente 59 persone sono ricoverate, e una sola si trova in terapia intensiva. C'è da dire che la gran parte dei casi riscontrati nell'ultima settimana (136 su 161, pari all'84%) è concentrata su Sydney, ma i numeri assoluti rimangono comunque risibili, e la percentuale di test positivi si attesta in tutti gli Stati allo 0,1% (nel nostro Paese ieri era allo 0,36%).E allora, perché i canguri sono entrati nel panico? Nel mirino c'è la temutissima variante delta, meno letale ma molto più contagiosa della alfa, dominante nelle ondate precedenti. Secondo alcuni calcoli effettuati sulla base delle telecamere di videosorveglianza diffusi dalla stampa locale, uno dei recenti focolai che ha convinto le autorità a introdurre le nuove restrizioni - quello di Bondi Junction, nei sobborghi di Sydney - sarebbe stato originato da un contatto fugace, durato tra i 5 e i 10 secondi. Qualora verificato, si tratterebbe di un risvolto preoccupante nel decorso della pandemia. Quando non sussiste uno scambio di secrezioni, un contatto stretto viene classificato infatti come una persona con la quale si è avuto un incontro ravvicinato (meno di due metri) per almeno 15 minuti. Se fosse vero, dunque, più che delta sarebbe corretto chiamarla variante «flash». Non tutti gli esperti, però, concordano con questa linea allarmistica. Senza contare che sull'argomento ancora non esistono studi ufficiali. La virologa della Griffith University di Brisbane, Lara Herrero, ha dichiarato all'emittente australiana Abc che il caso catturato dall'impianto a circuito chiuso è stato un incidente. «Dovresti essere così sfortunato, anzi incredibilmente sfortunato», ha spiegato la Herrero, da respirare la stessa aria nella quale il virus è rimasto abbastanza a lungo da essere inalato. Insomma, una cosa è l'attenzione, un'altra il terrore.C'è però un altro fattore che preoccupa le autorità australiane. La campagna vaccinale procede a un ritmo piuttosto blando: nemmeno un quarto della popolazione (24,1%) ha ricevuto almeno una dose, mentre appena il 4,8% degli abitanti ha completato il ciclo di immunizzazione (in Italia siamo al 33,7%). Ora il timore è che, senza la «scudo» offerto dal vaccino, il numero dei casi possa salire improvvisamente e gli ospedali riempirsi in fretta. Non che il siero rappresenti la panacea, tutt'altro. Stando ai dati ufficiali diffusi dalla sanità britannica, più della metà dei 117 decessi legati alla variante delta riguardano vaccinati: ben 50 (pari al 43%) avevano ricevuto entrambi le dosi, e altri 19 la prima da almeno 21 giorni.Ma l'Australia non è l'unico Paese a essere corso ai ripari. Bangkog, capitale della Thailandia, è entrata in lockdown per un mese, mentre la Malesia ha rinviato la fine delle restrizioni. Domenica il Sud Africa ha istituito il coprifuoco, imposto restrizioni al numero di partecipanti ai raduni e vietato la vendita di alcolici. Il governo del Bangladesh ha disposto da lunedì lo stop ai trasporti pubblici, mentre Taiwan e Hong Kong hanno introdotto limitazioni ai viaggiatori. C'è da scommettere che, di questo passo, la follia della variante delta si diffonderà a macchia d'olio.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mezza-australia-va-in-lockdown-con-zero-morti-e-un-solo-intubato-2653592393.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="terapie-anti-covid-lema-si-sveglia" data-post-id="2653592393" data-published-at="1624995958" data-use-pagination="False"> Terapie anti Covid, l’Ema si sveglia Smentiti i gufi della terza dose. I vaccini anti Covid con prodotti scudo a mRna, come Pfizer e Moderna, sembrano in grado di indurre «una risposta persistente delle cellule B del centro germinativo, che consente la generazione di una robusta immunità umorale». Ovvero, la reazione suscitata da questi vaccini nell'organismo potrebbe proteggere per anni contro il coronavirus Sars-CoV-2, se questo patogeno con le sue varianti non si evolverà molto oltre la sua forma di oggi. È quanto afferma un team di scienziati della Washington University school of medicine di St Louis, negli Usa, attraverso uno studio, particolarmente apprezzato dalla comunità scientifica e pubblicato su Nature. Non solo. Tre giorni fa, la task force scientifica della Confederazione svizzera ha pubblicato un documento in cui si sostiene che i vaccini a mRna, Pfizer e Moderna, proteggono gli adulti da gravi decorsi del Covid per un periodo fino a tre anni, mentre per circa 16 mesi la loro efficacia consente di evitare anche lievi casi di malattia provocati dal coronavirus. Insomma, come evidenziato anche da scienziati italiani, per esempio l'immunologo Mario Clerici, «non è detto che serviranno richiami del vaccino Covid ogni anno». Gli autori dello studio americano hanno esaminato le risposte delle cellule B specifiche per l'antigene sia nel sangue periferico che nei linfonodi drenanti di 14 persone vaccinate con due dosi di Pfizer. Quello che hanno scoperto è che la risposta che si genera appare essere persistente, cioè è come se la vaccinazione ci dotasse di «fabbriche» di plasmacellule e cellule B durature. I dati di questo studio, secondo Clerici, docente dell'università di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, «confermano che dal punto di vista immunologico non vi è nulla di peculiare riguardo a questo virus». Altra notizia promettente arriva dal fronte farmaci. La Commissione europea ha annunciato ieri l'arrivo di cinque nuovi trattamenti contro il Covid-19. Si tratta di terapie «promettenti» e «che potrebbero essere presto disponibili» in tutta l'Ue. Quattro sono anticorpi monoclonali, attualmente in revisione dei dati clinici da parte dell'Ema; la quinta terapia è un immunosoppressore, già autorizzato per pazienti non Covid e che potrebbe ricevere l'ok anche per il Covid. I cinque prodotti, spiega la Commissione, sono in una fase di sviluppo «avanzato» e hanno un «elevato potenziale» di essere «tra le tre nuove terapie che riceveranno l'autorizzazione entro ottobre 2021», sempre che si rivelino sicuri ed efficaci. Entro la stessa data, la Commissione elaborerà un portafoglio di almeno dieci potenziali terapie. Ricordiamo che i monoclonali sono farmaci specifici contro il Covid-19, autorizzati in via emergenziale e dallo scorso 10 marzo sono disponibili anche in Italia per persone particolarmente fragili, con infezione recente da Sars-Cov-2 e senza sintomi gravi: da allora, 6.101 pazienti Covid hanno ricevuto anticorpi monoclonali. Intanto continuano a calare i numeri del bollettino quotidiano diramato dal ministero della Salute: nelle scorse 24 ore sono risultati positivi al test del coronavirus 679 italiani e i decessi sono stati 42 (di cui 22 vittime arrivano dal ricalcolo della Regione Campania sul periodo compreso tra novembre 2020 e maggio 2021). Sono stati invece 190.635 i tamponi molecolari e antigenici effettuati con un tasso di positività dello 0,3%, in lieve calo rispetto allo 0,5% di lunedì, ma il più basso da quando a gennaio sono stati aggiunti i test rapidi nel calcolo di questo valore. Prosegue anche il calo delle ospedalizzazioni: i posti letto occupati nei reparti Covid ordinari sono in totale 1676 mentre in terapia intensiva sono 270. In particolare, Friuli, Basilicata, Molise, Valle d'Aosta e la Provincia di Trento hanno le terapie intensive completamente vuote.
John Elkann (Ansa)
Fatta la doverosa e sincera premessa, non riusciamo a comprendere perché da ieri le opposizioni italiane stiano inondando i media di comunicati stampa che chiamano in causa il governo Meloni, al quale si chiede di riferire in aula in relazione a quella che è una trattativa tra privati. O meglio: è sacrosanta la richiesta di attenzione per la tutela dei livelli occupazionali, come succede in tutti i casi in cui un grande gruppo imprenditoriale passa di mano: ciò che si comprende meno, anzi non si comprende proprio, sono gli appelli al governo a intervenire per salvaguardare la linea editoriale delle testate in vendita.
L’agitazione in casa dem tocca livelli di puro umorismo: «Di fronte a quanto sta avvenendo nelle redazioni di Repubblica e Stampa», dichiara il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, «il governo italiano non può restare silente e fermo. Chigi deve assumere un’iniziativa immediata di fronte a quella che appare come una vera e propria dismissione di un patrimonio della democrazia italiana. Per la tutela di beni e capitali strategici di interesse nazionale viene spesso evocato il Golden power. Utilizzato da questo governo per molto meno». Secondo Boccia, il governo dovrebbe bloccare l’operazione oppure intervenire direttamente ponendo condizioni. Siamo, com’è ben chiaro, di fronte al delirio politico in purezza, senza contare il fatto che quando il governo ha utilizzato il Golden power nel caso Unicredit-Bpm, il Pd ha urlato allo scandalo per l’«interventismo» dell’esecutivo. Come abbiamo detto, sono sacrosante le preoccupazioni sul mantenimento dei livelli occupazionali, molto meno comprensibili invece quelle su qualità e pluralismo dell’informazione, soprattutto se collegate alla richiesta al governo di riferire in aula firmata da Pd, Avs, M5s e +Europa.
Cosa dovrebbe fare nel concreto Giorgia Meloni? Convocare gli Elkann e Kyriakou e farsi garantire che le testate del gruppo Gedi continueranno a pubblicare gli stessi articoli anche dopo l’eventuale vendita? E a che titolo un governo potrebbe mai intestarsi un’iniziativa di questo tipo, senza essere accusato di invadere un territorio che non è di propria competenza? Con quale coraggio la sinistra che ha costantemente accusato il centrodestra di invadere il sacro terreno della libertà di stampa, ora si lamenta dell’esatto contrario? Non si sa: quello che si sa è che quando il gruppo Stellantis, di proprietà degli Elkann, ha prosciugato uno dopo l’altro gli stabilimenti di produzione di auto in Italia tutto questo allarme da parte de partiti di sinistra non lo abbiamo registrato.
Ma le curiosità (eufemismo) non finiscono qui. Riportiamo una significativa dichiarazione del co-leader di Avs, Angelo Bonelli: «La vendita de La Repubblica, La Stampa, Huffington, delle radio e dei siti connessi all’armatore greco Kyriakou», argomenta Bonelli, «è un fatto che desta profonda preoccupazione anche per la qualità della nostra democrazia. L’operazione riguarda una trattativa tra l’erede del gruppo Gedi, John Elkann, e la società ellenica Antenna Group, controllata da Theodore Kyriakou, azionista principale e presidente del gruppo. Kyriakou può contare inoltre su un solido partner in affari: il principe saudita Mohammed Bin Salman Al Saud, che tre anni fa ha investito 225 milioni di euro per acquistare il 30% di Antenna Group». E quindi? «Il premier», deduce con una buona dose di sprezzo del ridicolo Sherlock Holmes Bonelli, «all’inizio di quest’anno, ha guidato una visita di Stato in Arabia Saudita, conclusa con una dichiarazione che auspicava una nuova fase di cooperazione e sviluppo dei rapporti tra Italia e il regno del principe ereditario. Se la vendita dovesse avere questo esito, si aprirebbe un problema serio che riguarda i livelli occupazionali e, allo stesso tempo, la qualità della nostra democrazia. La concentrazione dell’informazione radiotelevisiva, della stampa e del Web sarebbe infatti praticamente schierata sulle posizioni del governo e della sua presidente». Avete letto bene: secondo il teorema Bonelli, Bin Salman è socio di Kyriakou, Bin Salman ha ricevuto Meloni in visita (come altre centinaia di leader di tutto il mondo), quindi Meloni sta mettendo le mani su Repubblica, Stampa e tutto il resto.
Quello che sfugge a Bonelli è che Bin Salman è, come è arcinoto, in eccellenti rapporti con Matteo Renzi, e guarda caso La Verità è in grado di rivelare che il leader di Italia viva starebbe giocando, lui sì, un ruolo di mediazione in questa operazione. Renzi avrebbe pure già in mente il nuovo direttore di Repubblica: il prescelto sarebbe Emiliano Fittipaldi, attuale direttore del quotidiano Domani, giornale di durissima opposizione al governo. In ogni caso, per rasserenare gli animi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione, Alberto Barachini, ha convocato i vertici di Gedi e i Cdr di Stampa e Repubblica, «in relazione», si legge in una nota, «alla vicenda della ventilata cessione delle due testate del gruppo».
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Riduci
Il premier, intervenendo alla prima edizione dei Margaret Thatcher Awards, evento organizzato all’Acquario Romano dalla fondazione New Direction, il think tank dei Conservatori europei: «Non si può rispettare gli altri se non si cerca di capirli, ma non si può chiedere rispetto se non si difende ciò che si è e non si cerca di dimostrarlo. Questo è il lavoro che ogni conservatore fa, ed è per questo che voglio ringraziarvi per combattere in un campo in cui sappiamo che non è facile combattere. Sappiamo di essere dalla parte giusta della storia».
«Grazie per questo premio» – ha detto ancora la premier – «che mi ha riportato alla mente le parole di un grande pensatore caro a tutti i conservatori, Sir Roger Scruton, il quale disse: “Il conservatorismo è l’istinto di aggrapparsi a ciò che amiamo per proteggerlo dal degrado e dalla violenza, e costruire la nostra vita attorno ad esso”. Essere conservatori significa difendere ciò che si ama».
Pier Silvio Berlusconi (Getty Images)
Forza Italia, poi, è un altro argomento centrale ed è anche l’occasione per ribadire un concetto che negli ultimi mesi aveva già espresso: «Il mio pensiero non cambia, c’è la necessità di un rinnovamento nella classe dirigente del partito». Esprime gratitudine per il lavoro svolto dal segretario nazionale, Antonio Tajani, e da tutta la squadra di Forza Italia che «ha tenuto in piedi il partito dopo la scomparsa di mio padre, cosa tutt’altro che facile». Ma confessa che per il futuro del partito «servirebbero facce nuove, idee nuove e un programma rinnovato, che non metta in discussione i valori fondanti di Forza Italia, che sono i valori fondanti del pensiero e dell'agire politico di Silvio Berlusconi, ma valori che devono essere portati a ciò che è oggi la realtà». E fa una premessa insolita: «Non mi occupo di politica, ma chi fa l’imprenditore non può essere distante dalla politica. Che io e Marina ci si appassioni al destino di Forza Italia, siamo onesti, è naturale. Tra i lasciti di mio padre tra i più grandi, se non il più grande, c’è Forza Italia». Tajani è d’accordo e legge nelle parole di Berlusconi «sollecitazioni positive, in perfetta sintonia sulla necessità del rinnovamento e di guardare al futuro, che poi è quello che stiamo già facendo».
In qualità di esperto di comunicazione, l’ad di Mediaset, traccia anche il punto della situazione sullo stato di salute dell’editoria italiana, toccando i tasti dolenti delle paventate vendite di Stampa e Repubblica, appartenenti al gruppo Gedi. La trattativa tra Gedi e il gruppo greco AntennaUno, guidato dall’armatore Theodore Kyriakou, scatena l’agitazione dei giornalisti. «Il libero mercato è sovrano, ma è un dispiacere vedere un prodotto italiano andare in mano straniera». Pier Silvio Berlusconi elogia, invece, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: «Cairo è un editore puro, ormai l’unico in Italia, e ha fatto un lavoro eccellente: Corriere e Gazzetta hanno un’anima coerente con la loro storia».
Una stoccata sulla patrimoniale: «Non la ritengo sbagliata, ma la parola patrimoniale, secondo me, non va bene. Così com’era sbagliatissima l’espressione “extra profitti”, cosa vuol dire extra? Non vuol dire niente e mi sembra onestamente fuori posto che in certi momenti storici dell’economia di particolare fragilità, ci possano essere delle imposte una tantum che vengono legate a livello di profitto delle aziende».
Un tema di stretta attualità, specialmente dopo le dichiarazioni di Donald Trump, è il ruolo dell’Europa nel mondo. «Di sicuro ciò che è stato fatto fino a oggi non è sufficiente, ma l’Europa deve riuscire a esistere, ad agire e a difendersi. Di questo sono certo. Prima di tutto da cittadino italiano ed europeo e ancor di più da imprenditore italiano ed europeo».
Quanto al controllo del gruppo televisivo tedesco ProSieben, Pier Silvio Berlusconi assicura che «in Germania faremo il possibile per mantenere l’occupazione del gruppo così com’è, al momento non c’è nessun piano di licenziamento». Ora Mfe guarda alla Francia? «Lì ci sono realtà consolidate private come Tf1 e M6: entrare in Francia sarebbe un sogno, ma al momento non vedo spiragli».
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Il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov (Ansa)
Il governo svolgerà le sue funzioni fino all’elezione del nuovo consiglio dei ministri. «Sentiamo la voce dei cittadini che protestano […] Giovani e anziani, persone di diverse etnie, di diverse religioni, hanno votato per le dimissioni», ha dichiarato Zhelyazkov. Anche gli studenti si erano uniti nell’ultima protesta antigovernativa di mercoledì, a Sofia e in altre città bulgare, contro la proposta di bilancio del governo per il 2026, la prima in euro. La prima proposta senza il coordinamento con le parti sociali e la prima a prevedere un aumento delle tasse e dei contributi previdenziali.
All’insegna del motto «Non ci lasceremo ingannare. Non ci lasceremo derubare», migliaia di dimostranti «portavano lanterne come segno simbolico per mettere in luce la mafia e la corruzione nel Paese», riferiva l’emittente nazionale Bnt. Chiedevano le dimissioni dell’oligarca Delyan Peevski e dell’ex primo ministro Boyko Borissov, sanzionato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito per presunta corruzione. Borissov mercoledì avrebbe dichiarato che i partiti della coalizione avevano concordato di rimanere al potere fino all’adesione della Bulgaria all’eurozona, il prossimo 1° gennaio.
Secondo Zhelyazkov, si trattava di una protesta «per i valori e il comportamento» e ha dichiarato che il governo è nato da una complessa coalizione tra partiti (i socialisti del Bsp e i populisti di Itn), diversi per natura politica, storia ed essenza, «ma uniti attorno all’obiettivo e al desiderio che la Bulgaria prosegua il suo percorso di sviluppo europeo». Mario Bikarski, analista senior per l’Europa presso la società di intelligence sui rischi Verisk Maplecroft, aveva affermato che le turbolenze politiche e il ritardo nel bilancio «creeranno incertezza finanziaria a partire da gennaio».
La sfiducia nel governo in realtà ha radici anche nel diffuso malcontento per l’entrata del Paese nell’eurozona, ottenuta a giugno dopo ripetuti ritardi dovuti all’instabilità politica e al mancato raggiungimento degli obiettivi di inflazione richiesti. Secondo i risultati di un sondaggio dell’Eurobarometro, i cui risultati sono stati pubblicati l’11 dicembre, il 49% dei bulgari è contrario all’euro, il 42% è favorevole e il 9% è indeciso. Guarda caso, la maggioranza degli intervistati in cinque Stati membri non appartenenti all’area dell’euro è contraria all'euro: Repubblica Ceca (67%), Danimarca (62%), Svezia (57%), Polonia (51%) e appunto Bulgaria.
Quasi la metà dei bulgari teme la perdita della sovranità nazionale, è contro la moneta unica e rimane affezionata alla propria moneta, al lev, che secondo Bloomberg rappresenta «un simbolo di stabilità» dopo la grave crisi economica di fine anni Novanta.
Se la Commissione europea ha ripetutamente messo in guardia contro le carenze dello stato di diritto in Bulgaria, affermando a luglio che il livello di indipendenza giudiziaria in quel Paese era «molto basso» e la strategia anticorruzione «limitata»; se per Transparency International è tra Paesi europei con il più alto tasso di percezione della corruzione ufficiale da parte dell’opinione pubblica, resta il fatto che i bulgari non scalpitano per entrare nell’eurozona.
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