2023-07-17
«Metto in scena Guareschi contro il politically correct»
Emrico Beruschi (Vincenzo Lombardo/Getty Images)
L’artista Enrico Beruschi: «Lo leggo ovunque, lo farò anche al Meeting. L’incontro con Fra Modestino mi cambiò: ho testimoniato per la sua beatificazione. Qualche idea per Mediaset l’avrei».Nel caldo torrido di Milano, le serate di Enrico Beruschi, classe 1941, sono ben più frizzanti di quelle dei coetanei, ma pure di chi è ben più giovane di lui. Racconta di aver visto pochi giorni fa sia Cochi che Renato - furono compagni di scuola prima di colleghi al Derby - alla Pasticceria Gattullo a Porta Lodovica, ritrovo degli artisti di allora «ed è stata una festa». Reduce dal compleanno di Roberto Vecchioni - «erano tutti musicisti, ma mi consideravano uno di loro perché una volta ho fatto il Festival di Sanremo, nel 1979» - e dall’ascolto di un quintetto di ottoni della Filarmonica della Scala allo storico Spirit de Milan - «pienone, doveva vedere quanti giovani c’erano» -, lo raggiungo durante qualche giorno di riposo sul lago di Lecco, ad Abbadia Lariana, tra le sue mete preferite fin da bambino. Ché il padre era così appassionato delle scalate sulla Grignetta «che mia madre era fin gelosa della “Rosalba”, dove andava sempre, ma era semplicemente il nome del suo rifugio preferito». Acconsente a una lunga chiacchierata solo a patto che non titoliamo come ha fatto qualcuno di recente sulle donne del Drive In, «che mia moglie ci è rimasta male».Su sua moglie c’è questo giallo da sempre: si dice - e internet segue le dicerie - lei sia sposato con la collega attrice Margherita Fumero, ma…«È semplicemente una carissima amica. Mia moglie si chiama Adelaide. Era una segretaria alla Galbusera, dove lavoravo come vicedirettore commerciale. Era la più bella. Una volta la feci piangere con la mia severità, e per farmi perdonare la riaccompagnai in stazione e… siamo sposati da 49 anni e abbiamo avuto due figli».Un po’ un cliché, il capoufficio e la segretaria…«Nemmeno per sogno: quando le cose si fecero serie tra noi, lei lasciò l’azienda. Mia moglie è forse l’unica donna che ha messo in soggezione uno come Beppe Grillo, sa?».Racconti.«Erano gli anni Ottanta. A cena dopo una mia prima teatrale, lui mi dice davanti a tutti che mi vuole bene. La guarda e le chiede: “Perché, Adelaide, non credi che io voglia bene a Enrico?”. Lei, gelida: “Anche le vipere hanno dei sentimenti?”».Tostissima. Ma non eravate amici, con lui?«Lo siamo stati, sì, ci conoscevamo bene. Abbiamo fatto anche Luna Park insieme. Nel 1977 io ero a Non Stop, lui a Secondo voi con Pippo Baudo. Ed eravamo l’uno la riserva dell’altro: folcloristico, no? La cosa diciamo strana per allora era che avevamo entrambi la barba: due comici con la barba non si erano mai visti, perché da tradizione teatrale il comico deve essere permeabile al travestimento». Mai litigato?«Due screzi, questione di soldi, ma non glieli racconto».Lo sente ancora?«No, e non sono per nulla d’accordo su quel che ha fatto poi in politica».E di Berlusconi che ricordo ha? Si può dire che fu grazie a lui, se è diventato così famoso?«Lo conoscevo già, ma quel giorno lo incontrai a un concerto di Liza Minnelli con la moglie, Veronica Lario. La conoscevo come attrice, bellissima. Berlusconi mi disse: “Hai visto che ho messo sul serio in piedi una tv? Cosa aspetti a presentarti?”. Fui tra la prima decina di personaggi a cui chiese l’esclusiva. Mi tolse dal mercato».Guadagnò molto, grazie a lui?«Devo dirle in sincerità che la cifra iniziale fu di cinque volte superiore a quel che mi dava la Rai. Ma quei soldi le assicuro che me li sono guadagnati, e gliene ho fatti fare ben di più».Con Drive In in particolare. Fu lei a idearlo, con Antonio Ricci e Gian Carlo Nicotra. «Lo inventammo in un ufficio di Milano 2. Ma il grande merito va soprattutto ad Antonio Ricci. Portammo la prima pellicola - un oggetto alto mezzo metro - in via Rovani e in tanti ci avrebbero voluto boicottare. Ma Berlusconi ci mandò a pranzo e poi Ricci scoprì che aveva fatto guardare il programma alle impiegate e pure agli uomini della sicurezza e a quelli delle pulizie: voleva vederne la reazione. Piacque anche a lui. Era in grado di prendere decisioni da fior di milioni in pochi minuti».Oggi il figlio Pier Silvio sta portando cambiamenti a Cologno.«Mi ricordo di quando lo festeggiammo per i suoi 18 anni con una scenetta in tv. Mi piacerebbe incontrarlo ancora. Fino a qualche anno fa ho provato a far proposte per Mediaset, ma credo mi considerino troppo vecchio per certe cose. Eppure un paio di idee e di suggerimenti li avrei». La fama fu a un certo punto travolgente, per voi del Drive In?«Non credo mi abbia mai travolto. Con le donne, ad esempio, le possibilità a un certo punto aumentarono, ma non ho mai voluto risvegliami con al fianco una signorina che per quanto bella credesse di aver abbracciato un televisore. Ho sempre cercato di difendere le più belle, anzi, da vero uomo. Cerco di insegnare oggi a mia nipote che occorre sempre ragionare con la propria testa. Capiterà di perder qualcosa di superficiale, ma poi ci si può sentire davvero soddisfatti di come ci si è comportati. Meglio seguire le passioni, quelle vere».Che oggi per lei sono…«Giovannino Guareschi e la lirica su tutte».La musica lirica?«L’opera, sì, fatta a mio modo. Il regista teatrale e televisivo Massimo Scaglione, che oggi non c’è più, mi diede una bella idea che ho poi sviluppato quando mi chiamò a Trieste per la Giuditta di Franz Lehár. Così come allora, nelle mie regie io prendo ciò che è buffo nel testo e lo racconto con tre o cinque cantanti, e uno strumento come ad esempio il pianoforte». Dissacrante, per i melomani, no?«Ma i teatri si riempiono, glielo assicuro. Come quel giorno a Chieti che invece di tre repliche ne mettemmo in scena cinque».Porta nei teatri anche Guareschi?«E pure nelle sale degli oratori, ovunque mi chiamino. Ultimamente - con il maestro Marcello Rota - mi è successo di leggerlo tra un tempo e l’altro della sinfonia di Cicognini, l’autore delle musiche del film di don Camillo. È sempre un successo. Prossimamente voglio leggerlo con intermezzi di due pianisti».Come è nata?«Con Il Candido (settimanale umoristico fondato dal giornalista e scrittore, ndr) ho imparato a leggere ben prima di andare a scuola e mai l’ho abbandonato, riscoprendo un fascino sempre maggiore con gli anni».Fascino per…?«C’è tanto, in quell’autore. Che era così controcorrente che oggi forse sarebbe inaccettabile per il politically correct. Rappresenta il piacere, la gioia della libertà».Nell’attuale dibattito sugli autori e sulla cultura «di destra» mi pare se lo siano dimenticato. «Vero, anzi lo hanno messo in soffitta. Peccato. A sinistra tentarono in tutti i modi di portarselo dalla loro parte, ma senza successo. E allora lo osteggiarono. Alla morte L’Unità scrisse che era uno scrittore mai nato. Il fatto è che se uno ama così tanto la libertà come la amò lui, non può stare a sinistra».Dichiarazioni pericolose, Beruschi, al giorno d’oggi.«Che vuole che le dica, mi è uscita di getto. Mica sono un intellettuale, io. È un po’ come dirle che oggi c’è il sole e il cielo è sereno».Lancia un appello perché si ricordino di Giovannino?«Chissà se lo faranno. Diede pure una mano al Paese portando voti alla Dc anche se era dichiaratamente monarchico: non voleva che l’Italia entrasse nel blocco sovietico».Lei intanto continua a portare le letture di don Camillo e Peppone in giro per il Belpaese.«Ad agosto tornerò anche al Meeting di Rimini per metterlo in scena. Deve vederla la gente, quando si legge Guareschi: attenta e divertita, riesce ad attrarre anche i più giovani. Tutto nacque da una scommessa con alcuni cabarettisti, a cui assicurai che Guareschi era stato maestro di umorismo. A metà degli anni Settanta chiesi il permesso ai suoi figli - Carlotta e Alberto - di trasformare un suo racconto del Corrierino delle famiglie in un pezzo di cabaret ne La sberla su Rai 1».C’è pure la fede, dentro questo suo autore.«Sono sempre stato uno dalla fede normale, di chi ha fatto la Comunione e la Cresima e va a messa la domenica. Per qualche anno forse mi sono un po’ distratto, perché non sono mica un santo, ma l’incontro con Fra Modestino è stato molto importante per me».Era il frate cappuccino che visse per 28 anni accanto a padre Pio.«Sì, ho fatto da testimone nella sua causa di beatificazione che è in corso».Venne a conoscenza di miracoli?«In qualche occasione ne ho avuto testimonianza diretta, sì, da amici e conoscenti. Come da quell’amica che rimase incinta quando tutti i dottori dicevano che non sarebbe stato possibile».Eravate amici, con Modestino?«Era nata una bella amicizia, lo chiamavo al telefono. Lo conobbi grazie a mia moglie, la prima volta che la portai a San Giovanni Rotondo. Lei ci teneva, io meno, ma volevo farla contenta. Il frate mi accolse a braccia aperte dopo una notte in cui non era stato bene, raccontandomi lui - pensi - delle barzellette. Mi disse: prima ridiamo, che fa bene, e poi parliamo di Dio».
Jose Mourinho (Getty Images)