2019-06-10
Mettiti in ordine. Spazzare, riordinare, spolverare: i lavoretti aiutano corpo e mente
In una società in cui le giornate volano tra ufficio e mezzi di trasporto, chi sta attento al fisico punta solo sulla palestra. Invece le faccende domestiche possono migliorarci la salute come i pesi o la zumba. E fanno bene pure alla psiche.Zumba, crossfit, body building, thai boxe, bootcamp? Macché, o meglio, non soltanto. Per tenersi in forma, può bastare anche un'attività che da tempo abbiamo demandato ad altri: pulire la casa. L'Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente riconosciuto due nuovi disturbi: lo stress cronico da lavoro o da disoccupazione e la dipendenza da videogame. Contemporaneamente, esce una serie di studi che riabilitano il potenziale sportivo delle pulizie domestiche. Non è peregrino collegare i due fatti. In entrambi i casi identificati dall'Oms, infatti, i lavori domestici possono rivelarsi utili. Se si torna a casa stanchissimi, magari dedicarsi alle faccende è un peso, ma se la si vede come una sorta di attività antistress per muoversi un po' alleviando i pesi della giornata, allora può diventare una risorsa. Idem per chi è stressato dalla disoccupazione. Reagire alla depressioneAnziché lasciarsi andare alla depressione e a maggior ragione se, in quanto disoccupati, non si hanno denari per iscriversi alla palestra all'ultimo grido, pulire la casa può rappresentare un esercizio e una reazione attiva al non avere lavoro. Stesso discorso per i ragazzi: ribellandosi alla dipendenza da videogame, oltre a fare molto altro di più costruttivo per sé stessi, possono dare una mano in casa e così muoversi un pochino. C'è anche una funzione educativa nell'aiutare i genitori. «Abbiamo escluso i nostri bambini dalle responsabilità domestiche, ma così sforniamo dei giovani adulti che, sul posto di lavoro, invece di prendere l'iniziativa rimangono fermi, in attesa di istruzioni. Questo è inammissibile», scriveva Julie Lythcott-Haims nel saggio contro i genitori-elicottero How to Raise an Adult. Fare responsabilizza e rende indipendenti. Non pensiamo più al valore del pulire la propria abitazione, perché le modalità esistenziali dei tempi nuovi cancellano il modus vivendi del passato. Quando la vita quotidiana richiedeva un deciso impegno fisico, le palestre per esercitare un generico movimento semplicemente non esistevano. Una coppia di campagna anche di soli 80 anni fa, che per spostarsi usava la bicicletta o i piedi, che come professione coltivava i campi, che doveva provvedere con le proprie mani a ogni aspetto di cura della casa e che realizzava la maggior parte del proprio cibo partendo dalla materia prima, magari coltivata e allevata in proprio, non aveva alcun bisogno di tenere in forma muscolatura e circolazione andando a lezione di zumba in una palestra. Inoltre, in virtù di una vita già votata al fitness, la stessa coppia non avrebbe avuto né la forza né il tempo per sudare e faticare svolgendo attività di esercizio fisico voluttuario, a parte sesso e ballo. Nell'economia del lavoro fisico necessario a vivere, impiegare energie per scopi superflui sarebbe stato un insensato spreco. Ma quale oppressioneOggi, invece, sembra che una donna debba quasi vergognarsi di aspirare a fare nella vita la casalinga, moglie e madre. Il messaggio del femminismo più superficiale ci ha raccontato che una donna è emancipata e pari all'uomo soltanto se lavora fuori casa e che farlo in casa è medievale. È una doppia imprecisione, poiché perfino studi femministi seri dimostrano come la donna, in realtà, abbia sempre, fin dall'età antica, lavorato - come l'uomo - fuori casa e in casa. Spiega, per esempio, Evelyne Sullerot in La donna e il lavoro (monumentale analisi pubblicata in Francia nel 1969) come la società più nemica del lavoro femminile, che lo ha sfruttato e disprezzato, sia proprio quella capitalistica. Secondo la Sullerot, il mancato riconoscimento di un valore femminile nel lavoro starebbe innanzitutto nel fatto che «la questione del lavoro della donna esiste nell'opinione pubblica soltanto nella misura in cui questo lavoro si presenta in forme e in condizioni che si avvicinano a quelle consuete per gli uomini». Ancora. Il lavoro della donna è sempre stato inserito in un modello produzione-consumo e, con il passaggio progressivo dall'economia feudale a quella capitalistica, caratterizzata da un'estrema separazione tra produzione e consumo, il gap tra lavoro femminile e lavoro maschile si è amplificato ancora di più: «La donna che lavora in casa non può più essere chiamata produttrice: si è trasformata in consumatrice di prodotti manufatti e, per il resto, destinata a compiti di manutenzione». Le lotte femministe contemporanee continuano in questa direzione, tendendo a far subentrare la donna nei ranghi maschili (la donna camionista, la donna astronauta, la donna politico, la donna direttrice di giornale). E, se questo può certamente avere un senso, resta che al contempo si disconosce sempre meno il valore del lavoro domestico. Una donna, per il femminismo che spesso banalizza questioni complessissime, ha orgoglio solo se vuol prendere il posto di un uomo: se ama stare in casa a pulire e fare marmellate mentre cresce i figli sarebbe una sorta di donna degenere. Ma torniamo al punto. In una società nella quale il lavoro serve direttamente alla sopravvivenza (coltivo ciò che mangio, cucino ciò che ho coltivato, costruisco la mia casa, cucio ciò che indosso e così via), occorre molto meno denaro per sopravvivere perché non ho bisogno di acquistare tutto. Ma se il mio necessario lavoro fuori casa mi costa otto ore del mio tempo, più un'ora di tempo per andare e tornare, si capisce che non ho molto tempo né energia per svolgere attività di produzione di ciò che consumerò, figuriamoci per la manutenzione della casa. In un'economia ipercapitalistica e globalizzata, che paga sempre meno il lavoro fisico, declassandolo, mi conviene pagare un'addetta alle pulizie, tipicamente straniera, perché le tre ore che costei impiega a pulire la mia casa al posto mio posso utilizzarle per correre a fare la spesa, per stare con i figli, oppure per rilassarmi - anche giustamente - dopo una settimana di lavoro e stress. Ma in questo modo, affermando una cultura e una prassi per le quali la donna moderna rifugge come la peste il lavoro domestico, si perde, come abbiamo detto, anche la cultura dell'autogestione domestica. Tutto si deve comprare: il lavoro domestico, i prodotti per il lavoro domestico, l'attività fisica che non si svolge più in casa per contrastare la sedentarietà che danneggia salute e benessere. Prodigi misurabiliNaturalmente, ciò che una donna vuol fare della propria vita è affar suo. Per altro, il lavoro casalingo, seppur sia stato sempre considerato esclusiva femminile, trova molti «esecutori» anche presso gli uomini. Infine, sono molti coloro che lavorano sia fuori casa sia dentro casa, perché non possono oppure non vogliono ricorrere a un aiuto a pagamento. Concediamoci quindi un focus sui benefici dei lavori domestici. Il Daily Mail ha pubblicato i risultati di uno studio statunitense su un campione multietnico di 6.000 donne tra 63 e 99 anni, non proprio l'età nella quale si passa la giornata a fare free-climbing e party con Dan Bilzerian. Accessoriate di un sensore dinamico, le donne fornivano informazioni sulle attività domestiche che svolgevano durante il giorno. Ebbene, con soli 30 minuti di attività leggera, come spazzare il pavimento o pulire le finestre, esse diminuivano il rischio di decesso precoce del 12%. Con un'attività appena più sostenuta, come camminare abbastanza velocemente o pedalare lentamente (magari per andare a far la spesa), quel rischio diminuisce del 39%. Secondo l'indagine, si dedica alle faccende domestiche con le proprie mani il 55% delle donne statunitensi, mentre secondo un sondaggio condotto dalla Nielsen tre anni fa, in Italia, le donne che puliscono sono il 56%. In soldoni, siamo lì e anche le statistiche europee, con il 49% di donne che puliscono - nonostante molta stampa progressista abbia letto questi dati, inferiori solo del 5%, come conseguenza di una società patriarcale tutta italiana - confermano la tendenza. Tornando al potenziale di allenamento di quello che potremmo chiamare cleaning fitness, tre ore di pulizie corrispondono a tre chilometri di jogging. Abbiamo detto che manutenere la casa funzionerebbe un po' come una palestra gratuita, ma ciò che colpisce di più è «calcolare» non il denaro, ma le calorie che possiamo bruciare in un'ora. Accatastare legna o verniciare: 435 calorie. Diserbare o piantare: 400. Spalare neve: 408. Falciare il prato a mano: 395 (con il tagliaerba elettrico, 296). Cucinare? Tra le 168 e le 348 calorie. Pulire il bagno, piastrelle comprese: 260. Passare l'aspirapolvere e lavare i pavimenti: tra 220 e 250. Lavare i vetri: 197. Spolverare, lavare i piatti, portare fuori l'immondizia, cambiare le lenzuola: 164. Stirare: 151. Altro aspetto al quale non si penserebbe è il beneficio delle pulizie sull'umore. La casa è una proiezione e, insieme, un'estensione di noi stessi. Arredarla vuol dire esprimersi e prendersene cura vuol dire prendersi cura di sé. Tra i vari studi che sono stati dedicati a questo rapporto tra l'essere umano e il suo «nido», quello che più fa riflettere ha registrato che stato l'88% delle persone depresse, poco prima di sentirsi guarite, iniziavano a riordinare la casa. Di converso, vivere nel disordine può testimoniare un abbandono della gestione di sé e della propria vita. un viaggio dentro di noiLa casa e le cose che contiene sono collegate con la nostra interiorità: soprammobili e fotografie sono ricordi, ordinarli e spolverarli vuol dire effettuare un veloce viaggio, magari inconscio, dentro di essi. E, in generale, il gesto del pulire e ridisporre cose, così come quello ritmico del fare avanti e indietro con la scopa, con l'aspirapolvere, con il ferro da stiro, grazie alla loro ripetitività quasi ipnotica, hanno il potere di rilassare la psiche. Pulire la casa fa bene anche all'anima: oltre che un cleaning fitness è una cleaning therapy, perché occuparsi del proprio habitat è un rito il cui effetto si rispecchia simbolicamente su sé stessi. Lo dice perfino Aleandro Jodorowsky nella sua psicomagia: «L'inconscio accetta la realizzazione simbolica, metaforica, pertanto una fotografia non rappresenta ma è la persona ritratta». E così, parti del nostro spazio domestico sono anche parti di noi: fare il cambio di armadio per la nuova stagione, gettando via ciò che non ci piace più e sistemando i nuovi acquisti, vuol dire anche dichiarare come vogliamo essere nella nuova stagione. Il decluttering, la pratica scandinava di eliminare l'accumulato inutile che fa il paio con il «magico potere del riordino» della giapponese Marie Kondo, si estende dalle cose all'impalpabile: se non voglio avere spazzatura materica intorno a me, non vorrò averla nemmeno mentale dentro di me. In virtù di queste connessioni simboliche, spesso inconsapevoli, anche cambiare arredamento vuol dire cambiare sé stessi. Fare il bucato, anche in lavatrice, simbolicamente vuol dire occuparsi di ciò che richiede cura e, in effetti, non esiste persona che non sia soddisfatta quando ripone un bucato infine pulito, piegato e profumato. Ogni momento che riguarda attività casalinghe può essere sfruttato come un momento di meditazione: basta concentrarsi esclusivamente su quello che si sta facendo. Lo dice la mindfulness.