2021-05-12
Il metodo Cartabia ha fatto scuola. Nuovo «ultimatum» al Parlamento
La Corte costituzionale impone l'agenda politica ai partiti sull'ergastolo ostativo.Nel suo novennio alla Corte costituzionale, Marta Cartabia ha sicuramente fatto scuola. Da presidente della Consulta, ha raccolto l'eredità del predecessore, Giorgio Lattanzi, che con la sentenza sul caso Cappato, spianò la strada alla tecnica dell'«ultimatum» al Parlamento. Dalla discussione sull'eutanasia a quella sul reato di diffamazione a quella sulle adozioni gay, questa strategia è poi diventata di moda. Lo stesso copione si è ripetuto con la decisione del 15 aprile scorso, di cui ieri sono uscite le motivazioni, firmate dal relatore Nicolò Zanon: la collaborazione con la giustizia non può essere l'unico modo che ha il detenuto, condannato all'ergastolo ostativo, per ottenere la libertà condizionale. Ma come modificare la disciplina spetta al Parlamento, che ha tempo fino al 10 maggio 2022 per intervenire. Fino ad allora, giudizio sospeso.Ma per effetto di questo modus operandi, la Corte non rischia di finire a imporre l'agenda alla politica? I motivi di allarme sono essenzialmente due. 1 La Corte, com'era successo con il fine vita e la diffamazione, detta i tempi all'organo democratico per eccellenza, il Parlamento. Emette, appunto, un ultimatum. 2 La Corte traccia le coordinate entro le quali si dovrebbe muovere l'azione legislativa. Era accaduto su suicidio assistito ed eterologa compiuta da due donne all'estero, ma questo ulteriore allargamento si registra anche nell'ordinanza sull'ergastolo ostativo. Nel 2018, la Consulta individuò le «situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione», che la legislazione esistente non tutelava. Ciò lasciava quindi intendere su quali direttrici dovesse orientarsi l'auspicata legge, per approvare la quale si concedeva un anno di tempo al Parlamento. Nel 2019, il vuoto lasciato dall'assemblea fu riempito da una sentenza, la quale, a maggior ragione, rappresenterà il punto di riferimento per qualunque futura norma. Il precedente più recente è la sentenza della relatrice Silvana Sciarra, sulla registrazione del figlio delle due mamme. Insomma, Parlamento autonomo, ma solo nella misura in cui segue le linee guida dei giudici e solo finché non siano stati costoro a pronunciarsi al suo posto.Sull'ergastolo ostativo, le motivazioni dell'ordinanza del 15 aprile parlano chiaro. La Corte rifiuta un intervento «demolitorio», temendo che ne scaturiscano «effetti disarmonici sulla complessiva disciplina vigente» e, pur ribadendo che a essa spetta solo la verifica di costituzionalità ex post, suggerisce tuttavia alcune «scelte» cui il Parlamento potrebbe conformarsi: ad esempio, «la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l'introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione».Sono rilevi che prescindono da un giudizio di merito sull'ordinanza, secondo la quale la collaborazione con la giustizia non è garanzia di autentico ravvedimento, come la mancata collaborazione non equivale per forza al mancato pentimento. Dunque, essa non può essere l'unica condizione per l'ottenimento dei benefici da parte dell'ergastolano in regime ostativo. Il requisito, per la Corte, è in tensione con la finalità rieducativa della pena, stabilita dalla Costituzione. Il dubbio, semmai, riguarda il metodo Cartabia. Incluso l'altro lascito dell'ex presidente: l'istituto degli amici curiae. La Corte, infatti, ha esaminato i pareri espressi da una serie di associazioni, quali Antigone, Nessuno tocchi Caino, L'altro diritto Odv. Quando l'attuale Guardasigilli introdusse questa novità, si parlò di positiva «apertura alla società civile». Curiosamente, una «società civile» che viaggia quasi sempre a senso unico.
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