2022-09-07
Dopo mesi senza restrizioni, Covid innocuo
L’Italia è tra gli ultimi Paesi ad aver mollato divieti e obblighi. Ci presentiamo all’autunno con più contagi degli anni scorsi, ma l’obiettivo è raggiunto: virus endemizzato e ospedalizzazioni minime. Lo capiranno?Eccoci arrivati a quel punto della storia in cui tutti si chiedono: e adesso, cosa tireranno fuori dal cilindro magico pur di tenere elevata la soglia di allarme? C’è da dire che ai piani alti di Lungotevere Ripa, la sede romana del ministero della Salute, ora hanno altre preoccupazioni. Quella più immediata è di aiutare Roberto Speranza, candidato a Napoli, a far fronte alla valanga di critiche che lo sta investendo. «La nostra azione si è ispirata a due priorità: il diritto alla salute e la centralità dell’evidenza scientifica», ha balbettato il ministro. Tentativo un po’ maldestro di coprire con la cipria l’indelebile cicatrice politica che Speranza ha lasciato al ministero: primo (e auspicabilmente unico) ministro ad aver di fatto adulterato il principio di diritto alla salute trasformandolo in diritto tiranno, in nome del quale i diritti fondamentali (quello al lavoro e quello alla libera circolazione) sono stati a lungo soppressi; e, ancora, primo ministro ad aver ripetutamente disatteso le evidenze scientifiche (a partire da quelle che dicevano sin dal 2020 che le scuole dovevano e potevano riaprire subito, anche senza mascherine in posizione statica) in nome di una ideologia politica, quella del «rischio zero» e del «principio di precauzione», che ha lasciato sul campo numerose vittime, in primis proprio la generazione dei bambini e dei ragazzi usciti a pezzi dopo due anni di restrizioni. Il rischio che ulteriori richieste di «sacrificio», come sempre a carico del cittadino e mai dello Stato, siano d’ora in poi rigettate dalla popolazione, è altissimo, ed era scritto a pagina uno. Saranno respinte all’italiana: in silenzio, così come in silenzio dieci milioni di cittadini con due dosi non si sono fatti la terza e praticamente nessuno la quarta (soltanto il 5,10% della popolazione si è sottoposto al secondo booster). Pour cause: guardando i dati di questi giorni e paragonandoli a quelli dello scorso anno, lo stridore delle misure restrittive imposte per quasi mille giorni della nostra vita, che qualcuno vorrebbe continuare a mantenere, si fa sempre più assordante. Il 6 settembre 2021 i contagi erano stati 5.761, i decessi 60, i pazienti che occupavano le terapie intensive 570 (si tratta di dati in media mobile a 7 giorni a eccezione dei ricoveri). All’epoca, portavamo tutti la mascherina, ovunque; c’erano le quarantene, il governo stava per richiedere l’obbligo di green pass, entrato in vigore già dal 6 agosto, anche sul posto di lavoro (tramite vaccinazione o tampone a carico del lavoratore ogni due giorni), c’era il distanziamento e c’erano ancora le famigerate regioni a colori istituite dall’autunno del 2020. Un anno dopo, i dati diffusi ieri pomeriggio dal bollettino ufficiale, quattro mesi dopo la revoca delle misure restrittive più draconiane (a partire dal green pass), senza mascherine e senza particolari restrizioni, registrano numeri non dissimili: 24.855 nuovi casi (che corrispondono a 17.687 in media mobile a sette giorni) che oggi, alla luce della minore virulenza del virus, non rappresentano neanche più una notizia. Poi ci sono 80 decessi (il dato, in media mobile, diventa di 64) e 185 pazienti ricoverati in terapia intensiva. Soltanto pochi mesi fa ci si interrogava sul numero abnorme di morti. «Occorre una commissione medica di inchiesta che accerti quanti decessi sono realmente legati al Covid», scriveva Matteo Bassetti in quei giorni, mentre le terapia intensive iniziavano l’inversione di rotta, iniziando a svuotarsi. Conclusione: non è vero, come sosteneva qualche illustre virologo a gennaio, che a un aumento dei casi (dovuto alla maggiore trasmissibilità di Omicron) dovesse necessariamente corrispondere un aumento dei ricoveri. Lo spauracchio del «sovraccarico degli ospedali», brandito da quando non si può più dire che «il vaccino anti Covid blocca il contagio», non tiene più. Merito della tanto attesa endemizzazione. Merito di Omicron. Merito dell’infezione naturale, contratta con sintomi lievi dalla popolazione sana. Merito della tanto vituperata immunità di gregge evocata, nel 2020, dai firmatari della Great Barrington declaration, gli stessi che hanno chiamato in giudizio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, e il suo consigliere scientifico Anthony Fauci, immunologo, sostenendo, è il capo d’accusa, che avrebbero «censurato» le evidenze scientifiche non collimanti con le strategie pandemiche del governo. Chissà cosa succederebbe se accadesse anche in Italia. E allora, come faranno le istituzioni a convincere le persone a sottoporsi alla quinta dose in venti mesi? L’appello alla vaccinazione rivolto «a tutti, perché il rischio è basso ma c’è», evocato dalle virostar nostrane e anche da Guido Silvestri, patologo alla Emory University di Atlanta cresciuto nel laboratorio di Anthony Fauci, lascia il tempo che trova. «I vaccini proteggono la comunità, nel senso che si riduce il rischio che gli ospedali vadano in sovraccarico e non si possano curare tutti i pazienti», ha dichiarato il virologo, riconvertito alla filosofia del «rischio zero». L’attitudine, nelle stanze dei bottoni, è sempre quella di imporre la vaccinazione di massa come sola alternativa ai lockdown, che ancora oggi alcuni leader globali minacciano (nel democratico Canada, il premier Justin Trudeau ha evocato «severe restrizioni» se almeno l’80%-90% dei canadesi non si sottoporrà ai vaccini aggiornati): c’è da smaltire le dosi acquistate. Le evidenze scientifiche, però, procedono. E dicono che il Covid può essere curato nella stragrande maggioranza dei casi. Per esempio con gli antinfiammatori, che i corifei ministeriali spergiurano di aver consigliato sin dal 2020.
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)