2025-06-06
        Merz va a trattare sui dazi. Ma i numeri danno ragione alla linea della Casa Bianca
    
 
        Friederich Merz e Donald Trump (Getty)
    
Il cancelliere a Washington sviolina Donald Trump: «Solo lui può chiudere la guerra nell’Est». I primi dati sulle tariffe premiano l’amministrazione: deficit commerciale giù del 55%.Pechino insiste: riduciamo la tensione. Il tycoon: «Felice di accogliere studenti cinesi».Lo speciale contiene due articoliI rapporti tra Donald Trump e la Germania non sono mai stati idilliaci. Nel 2017, all’inizio del suo primo mandato, il tycoon si rifiutò di stringere la mano ad Angela Merkel, lasciandola impietrita di fronte ai fotografi. Allora come oggi, del resto, i trumpiani rinfacciavano alla cancelliera le politiche economiche di Berlino: al tempo si parlava soprattutto dei surplus commerciali abnormi della Germania, messi nel mirino - almeno a parole - dalla stessa Bruxelles, in quanto simbolo di concorrenza sleale. E oggi, a pochi mesi dal suo secondo insediamento a Washington, Trump è passato dalle parole ai fatti, varando i tanto temuti dazi, che colpiscono Berlino dove fa più male: nel portafoglio.Se la Merkel si era presentata alla Casa Bianca dopo aver fustigato il candidato repubblicano nella campagna elettorale contro Hillary Clinton, Friedrich Merz è atterrato ieri nella capitale statunitense con credenziali non certo migliori. L’anno scorso, per esempio, affermò pubblicamente di preferire la vittoria di Kamala Harris e, sempre nella stessa occasione, confermò senza indugi ciò che aveva detto di Trump dopo i disordini di Capitol Hill. E cioè che il tycoon sarebbe «un grande e serio pericolo per la democrazia».Le tensioni della vigilia, peraltro, sono aumentate non appena la Casa Bianca ha informato lo staff di Merz di un piccolo ma significativo cambio di programma: la discussione tra i due leader a porte chiuse è stata cancellata poche ore prima dell’arrivo del cancelliere tedesco. Il confronto, insomma, sarebbe avvenuto direttamente nello Studio ovale, di fronte alle telecamere. «Mercoledì sera», ha spiegato il New York Times, «i collaboratori di Trump hanno organizzato una sorpresa: hanno spostato la riunione nello Studio ovale all’inizio della visita, prima del pranzo di lavoro. I funzionari tedeschi si aspettavano che il pranzo si svolgesse prima, come un’occasione per i leader di risolvere eventuali divergenze in privato prima delle riprese». Di qui la preoccupazione di un altro «agguato» di Trump, dopo quelli che il tycoon ha riservato a Volodymyr Zelensky e al sudafricano Cyril Ramaphosa. Se a tutto ciò aggiungiamo le recenti bordate lanciate da JD Vance e Marco Rubio contro l’intera élite politica tedesca, è chiaro che l’incontro di ieri appariva molto delicato. A maggior ragione se, come aveva annunciato la cancelleria tramite canali ufficiosi, Merz aveva tutta l’intenzione di non fare la figura del «mendicante». I dossier sul tavolo dello Studio ovale, d’altronde, erano tutt’altro che banali. Il primo riguardava le spese militari, storico motivo d’attrito tra Washington e Berlino. Eppure, è proprio qui che Merz - come dicono gli anglofoni - aveva fatto i compiti a casa: il neocancelliere ha già fatto tutti i passi necessari, promettendo investimenti per il 5% del Pil tedesco tra produzione bellica (3,5%) e infrastrutture legate alla difesa (1,5%), raggiungendo così il 5% preteso da Trump. Al quale il cristiano-democratico ha pure riservato una sviolinata: è lui la «persona chiave», ha detto, che può far finire la guerra in Ucraina. Secondo dossier: i dazi imposti da Washington, con Merz che si è presentato alla Casa Bianca in veste da pompiere, dato l’enorme volume di esportazioni tedesche che attraversano l’Atlantico. Terzo dossier: la guerra in Ucraina, che vede Trump in cerca di un’intesa con Vladimir Putin e Merz portavoce dei «volenterosi». Malgrado queste tensioni, il confronto tra i due è iniziato in maniera distesa, con il tycoon che ha concesso una lunga stretta di mano al cancelliere, scacciando così gli spettri merkeliani. Accolto nello Studio ovale, poi, Merz ha consegnato in dono a Trump (che ha origini tedesche) il certificato di nascita Frederick Trump, il nonno del presidente degli Stati Uniti emigrato nel Nuovo mondo nel 1885. Il tycoon non solo ha gradito, ma ha anche lusingato il cancelliere lodando il suo ottimo inglese.Terminati i convenevoli, si è quindi passati alle domande dei giornalisti. Che, all’inizio, hanno riguardato prevalentemente la politica interna americana, il rapporto di Trump con Elon Musk e le trattative con la Russia. Alla fine, ha parlato soprattutto il leader repubblicano, con Merz che ha avuto poche occasioni per intervenire veramente nella discussione. Il che non è stato forse un male, viste le premesse della sua visita e i timori di un agguato da parte di Trump. In maniera piuttosto sorprendente, l’ultima domanda della stampa ha riguardato le eventuali sanzioni degli Stati Uniti alla Russia, con il presidente che si è limitato a definire «molto duro» il piano elaborato dal senatore repubblicano Lindsey Graham. In pratica, è stata completamente elusa la delicata questione dei dazi. Il nome di Graham, tuttavia, un qualche collegamento con le tariffe ce l’ha eccome. In una recente intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il senatore aveva pubblicamente suggerito a Merz, in vista dell’incontro di ieri, di assecondare Trump sulle spese militari e, per quanto concerne i dazi, di assicurare al presidente americano «che la Germania è disposta a pagare; che l’Europa è disposta a sopportare un po’ di sofferenze». Insomma, per Merz non sarà semplice convincere Trump a fare qualche passo indietro su una tematica così strategica per il suo secondo mandato. Anche perché ieri sono arrivati alla Casa Bianca i primi dati ufficiali sugli effetti della nuova politica tariffaria. Da aprile a oggi, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti è passato dal record negativo di marzo, ossia 140,5 miliardi di dollari, agli attuali 61,6 miliardi. Il disavanzo, in pratica, si è più che dimezzato (-55%). Trump può sorridere. Merz, probabilmente, no. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/merz-trattativa-dazi-trmp-cina-2672321754.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="the-donald-chiama-xi-daccordo-su-terre-rare-e-nuovi-colloqui" data-post-id="2672321754" data-published-at="1749210800" data-use-pagination="False"> The Donald chiama Xi: «D’accordo su terre rare e nuovi colloqui» Sono stati i media statali cinesi a dare per primi la notizia, nel pomeriggio di ieri, della telefonata intercorsa tra il leader cinese, Xi Jinping, e il presidente americano, Donald Trump. Le agenzie cinesi ci hanno tenuto a precisare che la telefonata è avvenuta su richiesta di Trump. Si tratta del primo contatto diretto tra i due leader da quando il tycoon si è insediato alla Casa Bianca. I due si erano sentiti a gennaio, ma prima della cerimonia del giuramento. Trump aveva poi lasciato intendere di avere già parlato con Xi Jinping nei giorni scorsi, ma la notizia era stata smentita seccamente da Pechino. Trump aveva affermato in passato che solo un contatto diretto tra leader avrebbe potuto sbloccare la situazione, mentre Xi Jinping si mostrava più incline a lasciare le questioni ai negoziatori. Secondo un comunicato apparso sui media cinesi, nel corso della telefonata di ieri Xi ha chiesto di rimuovere le misure che aggravano le tensioni tra i due Paesi e ha concordato di avviare nuovi colloqui. Xi ha detto che la Cina ha rispettato l’accordo siglato a metà del mese scorso a Ginevra e ha affermato che i due Paesi devono impegnarsi per ridurre le incomprensioni. Trump, dal canto suo, ha pubblicato su Truth il proprio commento alla telefonata con un post dai toni insolitamente sorvegliati: «Ho appena concluso un’ottima telefonata con il presidente cinese Xi, per discutere di alcuni aspetti complessi del nostro recente accordo commerciale, che abbiamo poi concordato. La chiamata è durata circa un’ora e mezza e si è conclusa in modo molto positivo per entrambi i Paesi. Non dovrebbero più esserci dubbi sulla complessità dei prodotti derivati dalle terre rare. I nostri rispettivi team si incontreranno a breve in una sede da definire. Saremo rappresentati dal segretario al Tesoro Scott Bessent, dal segretario al Commercio Howard Lutnick e dal rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, l’ambasciatore Jamieson Greer. Durante la conversazione, il presidente Xi ha cortesemente invitato me e la first lady a visitare la Cina, e io ho ricambiato». Trump ha poi detto che la conversazione si è concentrata quasi interamente sul commercio: «Non si è parlato di Russia/Ucraina o dell’Iran. Informeremo i media sulla programmazione e sul luogo del prossimo incontro». Qualche giorno fa, il presidente americano aveva mostrato un misto di ammirazione e frustrazione, a proposito del leader cinese, su Truth: «Mi piace il presidente Xi della Cina, mi è sempre piaciuto e mi piacerà sempre, ma è molto duro (tough, ndr), ed è estremamente difficile fare un accordo!!!», con le ultime frasi a caratteri cubitali. A metà dello scorso mese, Cina e Stati Uniti avevano deciso di sospendere i dazi reciproci per un periodo di 90 giorni. Ma Trump, pochi giorni fa, aveva denunciato il comportamento della Cina, che sta frenando l’export di minerali critici e terre rare, necessari soprattutto all’industria dell’auto e della difesa. La Cina ha sottolineato le misure restrittive americane sui chip per l’Intelligenza artificiale, sul software e sui visti per gli studenti. Pochi giorni fa, Trump ha raddoppiato i dazi su acciaio e alluminio in arrivo negli Usa da qualunque Paese. Le restrizioni sull’export dalla Cina di materiali critici stanno frenando alcune attività industriali negli Stati Uniti, dove diverse fabbriche stanno rallentando la produzione e uno stabilimento della Ford ha bloccato le attività. Ieri, Trump è tornato anche sulla questione della revoca dei visti per gli studenti stranieri negli atenei Usa: «I cinesi stanno venendo», ha precisato, «son onorato di averli».
        Alberto Stefani (Imagoeconomica)
    
        
    (Arma dei Carabinieri)
    
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina. 
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi.  Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo. 
Continua a leggereRiduci