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2024-07-28
Mercenari occidentali al fronte «Ci sono 90 italiani, 33 sono morti»
I russi continuano a parlarne come se fosse scontato ormai da mesi. Per vie ufficiali l’occidente invece continua a negare. Fatto sta che parlare di mercenari coinvolti nel conflitto ucraino oggi non è più un tabù, anzi. E c’è chi fornisce anche nel dettaglio i dati della loro presenza sul territorio, con le nazionalità di appartenenza. Il documento in questione è stato pubblicato dal gruppo RaHDit, conosciuto con il nome di «Evil Russian hackers». Si tratta di una nota organizzazione di criminali informatici russi, già giunti alle cronache per le loro significative violazioni di dati . Nel giugno del 2022 hanno reso pubblici i dati personali di migliaia di agenti segreti della Main intelligence directorate (Gur) del ministero della Difesa ucraino. Schede con informazioni personali, che indicano indirizzi di registrazione, numeri di passaporto, di telefono, di identificazione individuale, indirizzi email e posizioni dei dipendenti del dipartimento, accusandone anche alcuni di fare uso di droghe.
L’autenticità dei dati non è mai stata confermata. Eppure la cosa fece notizia. Ora, gli hacker si fanno avanti con questo nuovo documento, le cui informazioni sono verosimili, secondo fonti autorevoli interpellate dalla Verità.
Gli ultimi dati del ministero della Difesa russo indicherebbero la presenza di un totale di 13.387 mercenari stranieri, che dall’inizio del conflitto hanno partecipato alla guerra in Ucraina. Lo stesso ministero sostiene che, di questi, quasi 6.000 sarebbero stati uccisi. Secondo il documento, il contingente più numeroso di questi mercenari proviene dalla Polonia, che avrebbe impiegato sul territorio 2.960 uomini, di cui più della metà risultano eliminati: 1.497. Dopo i polacchi, sul territorio, come si potrebbe immaginare, spiccano le truppe mercenarie provenienti dagli Stati Uniti. Su 1.193 combattenti ne sono sopravvissuti solo 622. Seguono Georgia e Canada, rispettivamente con 1.042 e 1.005 uomini sul campo. Morti, secondo il ministero russo, fin qui 561 georgiani e 422 canadesi. Per il Regno Unito, inviati 822 militari: 360 sono morti. La vicina Romania ha inviato 784 mercenari, la Francia 356 e la Germania 235. Arrivando all’Italia, secondo questo documento ne sarebbero partiti 90, 33 sarebbero morti.
Poiché non esistono dati ufficiali sul numero di soldati uccisi o feriti, né da parte di Kiev né di Mosca, va da sé che non esistano dati ufficiali nemmeno sui nostri morti nel conflitto. A un certo punto. in una lista di oltre 96.000 ricercati dalle forze dell’ordine russe. spuntarono 25 italiani, tra cui la pilota italiana Giulia Schiff e il giudice Rosario Aitala. La soldatessa italiana è colpevole, secondo le autorità di Mosca, di essersi arruolata per contrastare, accanto agli ucraini, l’invasione nel Donbass. Inoltre Schiff ha sposato un soldato ucraino conosciuto sul campo di battaglia, che oggi risulta impegnato nella guerra tra Israele e Gaza.
All’inizio del conflitto - era ancora il 2022 - si ebbe notizia di tre italiani caduti. Elias Putzolu, 28 anni, foreign fighter italiano di origine sarda, è morto in combattimento il 17 ottobre del 2022. Combatteva insieme ai filorussi. Così come Edy Ongaro, 45 anni, veneto partito nel 2015, morto nell’aprile del 2022. Il miliziano era originario di Portogruaro, in provincia di Venezia, membro del Collettivo Stella Rossa che, nel comunicato della sua morte, lo ha definito «un compagno puro e coraggioso, ma fragile». Sul fronte opposto è morto, sempre in combattimento, nella zona di Kharkiv, Benjamin Giorgio Galli, 27 anni, originario della provincia di Varese, arruolatosi come volontario a fianco degli ucraini.
Tornando al documento, sarebbero 36 i Paesi europei coinvolti, 24 quelli asiatici, 13 quelli del continente americano; manca il Brasile, come era lecito attendersi.
Tra i Paesi africani, il maggior numero di mercenari proviene dalla Nigeria: 97 (47 dei quali uccisi), seguita dall’Algeria (28 morti si 60 arruolati), mentre, dei 25 australiani partiti per l’Ucraina, ne sono stati uccisi dei 60, insieme a sei dei sette neozelandesi. Inoltre l’Ucraina avrebbe esortato i Paesi vicini a Mosca a impedire che i propri cittadini vengano reclutati dalla Russia, evidenziando casi di combattenti stranieri catturati per sensibilizzare e scoraggiare gli sforzi di reclutamento.
Zelensky: trattiamo. Mosca lo gela
Arrivare alla pace entro novembre 2024. «Ho assegnato un compito in questo senso alla mia amministrazione e alla nostra squadra diplomatica. Penso che il piano sarà pronto per la fine di novembre», ha dichiarato Volodymyr Zelensky in un’intervista alla televisione pubblica giapponese Nhk. Secondo Zelensky i fattori decisivi saranno il rafforzamento dell’esercito ucraino, la pazienza, il sostegno all’Ucraina - in primo luogo degli Stati Uniti - e la pressione diplomatica internazionale sulla Russia. Il presidente ucraino ha poi detto di aver ricevuto proposte non ufficiali per congelare il conflitto, ma ha sottolineato di non poterle accettare. Zelensky ha inoltre aggiunto che la base del piano d’azione sarà la questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina e che questo argomento sarà discusso in modo sostanziale con i Paesi interessati.
L’obiettivo di Zelensky è chiaro e la data non può essere casuale. Proprio a novembre infatti si volta per la Casa Bianca e il candidato repubblicano, Donald Trump, ha promesso, se eletto, che farà finire la guerra il prima possibile. Tradotto: il tycoon intende chiudere i rubinetti a Kiev. Ed è chiaro quindi che se si vuole trattare bisogna farlo prima che si perda qualsiasi leva negoziale. Evidentemente, a Kiev non scommettono su Kamala Harris. O almeno non vogliono vincolarsi a un bis dei dem.
Ad ogni modo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto di esser stato informato dal suo omologo cinese Wang Yi di una conversazione intercorsa con il ministro degli Esteri ucraino, Dmitry Kuleba, nella quale veniva informato sul fatto che per Mosca non ci sarà alcun negoziato basato sulla «formula di pace» di Kiev. «Wang Yi ci ha raccontato come sono andate le sue conversazioni con Kuleba, e abbiamo ritenuto che la posizione cinese rimane invariata. La posizione cinese, lo ripeto, è quella di concentrarsi sulle cause profonde», del conflitto in Ucraina, ha detto Lavrov. «Per quanto riguarda il formato, anche in questo caso la posizione cinese è formulata molto chiaramente nei loro documenti: si può parlare di preparare una conferenza di qualche tipo, una sorta di evento multilaterale solo se i parametri e le condizioni per la convocazione dell’evento sono accettabili per tutte le parti e solo se tutte le iniziative disponibili sono messe in agenda. Si tratta di un rifiuto diretto di lavorare solo sulla base della “formula di pace” di Zelensky, che è una formula utopica e illusoria che non si realizzerà mai. Tutti se ne sono già resi conto, anche se per inerzia l’Occidente sta ancora cercando di menzionarla come un ultimatum», ha aggiunto Lavrov.
Che la Cina stia lavorando a un piano di pace è ormai riconosciuto da tutti. Anche dal ministro degli Affari Esteri dell’Ucraina, Kuleba, che dopo la sua visita a Pechino conferma: «Abbiamo ricevuto un chiaro segnale che la Cina sta lavorando per porre fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina».
Intanto il New York Times rivela che all’inizio di luglio il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, avrebbe ricevuto una chiamata dal suo omologo russo, Andrei Belousov, che lo avvertiva di un’operazione segreta ucraina individuata da Mosca. Una richiesta insolita da parte del Cremlino. come evidenzia lo stesso New York Times. Belousov ha domandato ad Austin se il Pentagono ne fosse a conoscenza e lo ha informato che il blitz avrebbe inasprito tensioni tra Mosca e Washington. I funzionari del Pentagono sono stati sorpresi dalle accuse e non erano a conoscenza di alcun complotto. Quelli che hanno parlato con il quotidiano newyorkese hanno detto che qualsiasi informazione «è stata presa abbastanza sul serio da indurre gli americani a contattare gli ucraini e a dire, in sostanza: “Se state pensando di fare qualcosa del genere, non fatelo”». È stata la prima telefonata tra i due uomini da quando Belousov, un economista, ha sostituito Sergei Shoigu, il ministro della Difesa russo di lunga data, in una scossa del Cremlino a maggio.
Nonostante la profonda dipendenza dell’Ucraina dagli Stati Uniti per il sostegno militare, di intelligence e diplomatico, i funzionari ucraini «non sono sempre trasparenti con le loro controparti americane riguardo alle loro operazioni militari, specialmente quelle contro obiettivi russi dietro le linee nemiche», scrive ancora il Nyt. Gli ucraini e il Cremlino hanno rifiutato di commentare.
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La lista degli hacker russi: in campo quasi 13.000 volontari stranieri. Dei 1.193 statunitensi, ne restano in vita 622. Giallo sui nostri connazionali: finora, ufficialmente, i caduti erano tre. Due di loro stavano con gli invasori.Il presidente Volodymyr Zelensky punta alla tregua entro novembre, Lavrov scettico. Il «Ny Times»: «Contatti Russia-Usa sui raid ucraini oltreconfine. I loro funzionari sono inaffidabili».Lo speciale contiene due articoli.I russi continuano a parlarne come se fosse scontato ormai da mesi. Per vie ufficiali l’occidente invece continua a negare. Fatto sta che parlare di mercenari coinvolti nel conflitto ucraino oggi non è più un tabù, anzi. E c’è chi fornisce anche nel dettaglio i dati della loro presenza sul territorio, con le nazionalità di appartenenza. Il documento in questione è stato pubblicato dal gruppo RaHDit, conosciuto con il nome di «Evil Russian hackers». Si tratta di una nota organizzazione di criminali informatici russi, già giunti alle cronache per le loro significative violazioni di dati . Nel giugno del 2022 hanno reso pubblici i dati personali di migliaia di agenti segreti della Main intelligence directorate (Gur) del ministero della Difesa ucraino. Schede con informazioni personali, che indicano indirizzi di registrazione, numeri di passaporto, di telefono, di identificazione individuale, indirizzi email e posizioni dei dipendenti del dipartimento, accusandone anche alcuni di fare uso di droghe. L’autenticità dei dati non è mai stata confermata. Eppure la cosa fece notizia. Ora, gli hacker si fanno avanti con questo nuovo documento, le cui informazioni sono verosimili, secondo fonti autorevoli interpellate dalla Verità. Gli ultimi dati del ministero della Difesa russo indicherebbero la presenza di un totale di 13.387 mercenari stranieri, che dall’inizio del conflitto hanno partecipato alla guerra in Ucraina. Lo stesso ministero sostiene che, di questi, quasi 6.000 sarebbero stati uccisi. Secondo il documento, il contingente più numeroso di questi mercenari proviene dalla Polonia, che avrebbe impiegato sul territorio 2.960 uomini, di cui più della metà risultano eliminati: 1.497. Dopo i polacchi, sul territorio, come si potrebbe immaginare, spiccano le truppe mercenarie provenienti dagli Stati Uniti. Su 1.193 combattenti ne sono sopravvissuti solo 622. Seguono Georgia e Canada, rispettivamente con 1.042 e 1.005 uomini sul campo. Morti, secondo il ministero russo, fin qui 561 georgiani e 422 canadesi. Per il Regno Unito, inviati 822 militari: 360 sono morti. La vicina Romania ha inviato 784 mercenari, la Francia 356 e la Germania 235. Arrivando all’Italia, secondo questo documento ne sarebbero partiti 90, 33 sarebbero morti. Poiché non esistono dati ufficiali sul numero di soldati uccisi o feriti, né da parte di Kiev né di Mosca, va da sé che non esistano dati ufficiali nemmeno sui nostri morti nel conflitto. A un certo punto. in una lista di oltre 96.000 ricercati dalle forze dell’ordine russe. spuntarono 25 italiani, tra cui la pilota italiana Giulia Schiff e il giudice Rosario Aitala. La soldatessa italiana è colpevole, secondo le autorità di Mosca, di essersi arruolata per contrastare, accanto agli ucraini, l’invasione nel Donbass. Inoltre Schiff ha sposato un soldato ucraino conosciuto sul campo di battaglia, che oggi risulta impegnato nella guerra tra Israele e Gaza.All’inizio del conflitto - era ancora il 2022 - si ebbe notizia di tre italiani caduti. Elias Putzolu, 28 anni, foreign fighter italiano di origine sarda, è morto in combattimento il 17 ottobre del 2022. Combatteva insieme ai filorussi. Così come Edy Ongaro, 45 anni, veneto partito nel 2015, morto nell’aprile del 2022. Il miliziano era originario di Portogruaro, in provincia di Venezia, membro del Collettivo Stella Rossa che, nel comunicato della sua morte, lo ha definito «un compagno puro e coraggioso, ma fragile». Sul fronte opposto è morto, sempre in combattimento, nella zona di Kharkiv, Benjamin Giorgio Galli, 27 anni, originario della provincia di Varese, arruolatosi come volontario a fianco degli ucraini.Tornando al documento, sarebbero 36 i Paesi europei coinvolti, 24 quelli asiatici, 13 quelli del continente americano; manca il Brasile, come era lecito attendersi. Tra i Paesi africani, il maggior numero di mercenari proviene dalla Nigeria: 97 (47 dei quali uccisi), seguita dall’Algeria (28 morti si 60 arruolati), mentre, dei 25 australiani partiti per l’Ucraina, ne sono stati uccisi dei 60, insieme a sei dei sette neozelandesi. Inoltre l’Ucraina avrebbe esortato i Paesi vicini a Mosca a impedire che i propri cittadini vengano reclutati dalla Russia, evidenziando casi di combattenti stranieri catturati per sensibilizzare e scoraggiare gli sforzi di reclutamento. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mercenari-occidentali-fronte-90-italiani-2668827919.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zelensky-trattiamo-mosca-lo-gela" data-post-id="2668827919" data-published-at="1722155299" data-use-pagination="False"> Zelensky: trattiamo. Mosca lo gela Arrivare alla pace entro novembre 2024. «Ho assegnato un compito in questo senso alla mia amministrazione e alla nostra squadra diplomatica. Penso che il piano sarà pronto per la fine di novembre», ha dichiarato Volodymyr Zelensky in un’intervista alla televisione pubblica giapponese Nhk. Secondo Zelensky i fattori decisivi saranno il rafforzamento dell’esercito ucraino, la pazienza, il sostegno all’Ucraina - in primo luogo degli Stati Uniti - e la pressione diplomatica internazionale sulla Russia. Il presidente ucraino ha poi detto di aver ricevuto proposte non ufficiali per congelare il conflitto, ma ha sottolineato di non poterle accettare. Zelensky ha inoltre aggiunto che la base del piano d’azione sarà la questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina e che questo argomento sarà discusso in modo sostanziale con i Paesi interessati. L’obiettivo di Zelensky è chiaro e la data non può essere casuale. Proprio a novembre infatti si volta per la Casa Bianca e il candidato repubblicano, Donald Trump, ha promesso, se eletto, che farà finire la guerra il prima possibile. Tradotto: il tycoon intende chiudere i rubinetti a Kiev. Ed è chiaro quindi che se si vuole trattare bisogna farlo prima che si perda qualsiasi leva negoziale. Evidentemente, a Kiev non scommettono su Kamala Harris. O almeno non vogliono vincolarsi a un bis dei dem. Ad ogni modo, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto di esser stato informato dal suo omologo cinese Wang Yi di una conversazione intercorsa con il ministro degli Esteri ucraino, Dmitry Kuleba, nella quale veniva informato sul fatto che per Mosca non ci sarà alcun negoziato basato sulla «formula di pace» di Kiev. «Wang Yi ci ha raccontato come sono andate le sue conversazioni con Kuleba, e abbiamo ritenuto che la posizione cinese rimane invariata. La posizione cinese, lo ripeto, è quella di concentrarsi sulle cause profonde», del conflitto in Ucraina, ha detto Lavrov. «Per quanto riguarda il formato, anche in questo caso la posizione cinese è formulata molto chiaramente nei loro documenti: si può parlare di preparare una conferenza di qualche tipo, una sorta di evento multilaterale solo se i parametri e le condizioni per la convocazione dell’evento sono accettabili per tutte le parti e solo se tutte le iniziative disponibili sono messe in agenda. Si tratta di un rifiuto diretto di lavorare solo sulla base della “formula di pace” di Zelensky, che è una formula utopica e illusoria che non si realizzerà mai. Tutti se ne sono già resi conto, anche se per inerzia l’Occidente sta ancora cercando di menzionarla come un ultimatum», ha aggiunto Lavrov. Che la Cina stia lavorando a un piano di pace è ormai riconosciuto da tutti. Anche dal ministro degli Affari Esteri dell’Ucraina, Kuleba, che dopo la sua visita a Pechino conferma: «Abbiamo ricevuto un chiaro segnale che la Cina sta lavorando per porre fine alla guerra della Russia contro l’Ucraina». Intanto il New York Times rivela che all’inizio di luglio il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, avrebbe ricevuto una chiamata dal suo omologo russo, Andrei Belousov, che lo avvertiva di un’operazione segreta ucraina individuata da Mosca. Una richiesta insolita da parte del Cremlino. come evidenzia lo stesso New York Times. Belousov ha domandato ad Austin se il Pentagono ne fosse a conoscenza e lo ha informato che il blitz avrebbe inasprito tensioni tra Mosca e Washington. I funzionari del Pentagono sono stati sorpresi dalle accuse e non erano a conoscenza di alcun complotto. Quelli che hanno parlato con il quotidiano newyorkese hanno detto che qualsiasi informazione «è stata presa abbastanza sul serio da indurre gli americani a contattare gli ucraini e a dire, in sostanza: “Se state pensando di fare qualcosa del genere, non fatelo”». È stata la prima telefonata tra i due uomini da quando Belousov, un economista, ha sostituito Sergei Shoigu, il ministro della Difesa russo di lunga data, in una scossa del Cremlino a maggio. Nonostante la profonda dipendenza dell’Ucraina dagli Stati Uniti per il sostegno militare, di intelligence e diplomatico, i funzionari ucraini «non sono sempre trasparenti con le loro controparti americane riguardo alle loro operazioni militari, specialmente quelle contro obiettivi russi dietro le linee nemiche», scrive ancora il Nyt. Gli ucraini e il Cremlino hanno rifiutato di commentare.
L’Indonesia è un gigante che sfiora i 300 milioni di abitanti ed è il più grande arcipelago del mondo. La sua capitale Jakarta è la città più popolosa del globo con quasi 42 milioni di abitanti e nel 2025 ha superato Dacca e Tokyo in questa classifica. Adagiata sulla costa dell’isola di Giava, questa città è diventata un conglomerato incontrollabile che sta lentamente affondando sotto il peso della sua popolazione. L’Indonesia ha il maggior numero di musulmani con quasi 250 milioni di fedeli e secondo alcune proiezioni come quelle della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale potrebbe diventare una delle quattro principali economie internazionali entro il 2050. Jakarta nel 2024 è entrata a far parte del gruppo economico dei Brics, guidato da Cina, Russia ed India, ma non ha mai smesso di attirare investimenti statunitensi e ad avere un rapporto diplomatico diretto con Washington.
In questo quadro economicamente positivo però sono scoppiate una serie di proteste che hanno fortemente contestato il governo del presidente Prabowo Subianto. Questo ex generale, conosciuto per la ferocia con cui ha sempre represso ogni tipo di dissenso, ha stravinto le elezioni utilizzando un avatar che lo ha trasformato in un nonno amorevole. Durante la campagna per le presidenziali, il suo staff ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale come Midjourney per creare un'immagine carina e amichevole ("gemoy", un termine gergale indonesiano per "carino" o "coccoloso") di Prabowo, rivolta in particolare agli elettori più giovani sui social come TikTok. Questa mossa ha avuto un enorme successo portando molti giovani alle urne e consegnando oltre il 60% delle preferenze al vecchio generale. Il nuovo presidente aveva promesso un miracolo economico puntando ad una crescita dell’8% annuale, che però si è fermata intorno al 5,2%. Intanto il costo della vita è sensibilmente cresciuto così come la disoccupazione, mentre la rupia indonesiana ha continuato a svalutarsi arrivando ad un cambio con il dollaro a 16600 ad 1.
Contemporaneamente i cittadini indonesiani hanno visto una progressiva perdita di potere d’acquisto che ha portato ad una stagnazione dei consumi delle famiglie. Ad ottobre l’inflazione è arrivata al 2,75%, massimo livello dalla primavera del 2024, e la gente è scesa in strada per chiedere le dimissioni di tutto il governo. Se internamente le cose stanno andando male per Prabowo Subianto, l’ex generale, ha puntato tutto sulla proiezione internazionale del suo paese, dichiarando più volte di volerlo far diventare una potenza geopolitica regionale. Il ruolo indonesiano nel sud-est asiatico è in crescita e negli anni si sono rafforzati i rapporti con le nazioni vicine, soprattutto con la Malesia. Più complessi i tentativi di avvicinamento con le Filippine, fortemente schierate nell’orbita statunitense, mentre con l’India le relazioni sono sempre state piuttosto altalenanti. L’Indonesia si trova anche spettatore nel latente scontro indo-pacifico fra Pechino e Washington, nel quale per ora Jakarta ha scelto una linea politica basata sull’equidistanza. Con la Cina l’Indonesia ha siglato un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle acque contese, per evitare una disputa diretta, anche perché Pechino è il suo primo partner economico e commerciale, con gli scambi nel 2025 sono stimati in 160 miliardi di dollari. Jakarta sta cercando di diversificare le sue relazioni commerciali per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Cina, intensificando gli scambi anche con l’Unione Europea. L’interscambio con la Ue nel 2024 ha superato i 27 miliardi di euro con l’Europa che importa olio di palma, tessuti, calzature, minerali (nichel e rame), mentre esporta nella nazione asiatica latticini, carni, frutta, macchinari e farmaceutici. Gli Usa restano comunque un partner cruciale per l’Indonesia in ambito di difesa e sicurezza, con esercitazioni congiunte e acquisto di armi, delle quali Washington è il secondo fornitore. L’attivismo di Prabowo Subianto si è visto anche nella questione mediorientale, con il presidente, unico leader del sud-est asiatico, presente in Egitto alla firma della tregua a Gaza.
Odorico da Pordenone, un Marco Polo meno noto che raccontò l'Indonesia nel secolo XIV
Non solo Marco Polo ed il suo «Milione», il resoconto sull’Estremo Oriente forse più famoso al mondo. Altre importanti testimonianze scritte di viaggi «meravigliosi» attraverso l’Asia sono giunte a noi dal Medioevo. Grandi protagonisti delle esplorazioni e dello scambio interreligioso (con le missioni) ma anche di quello geopolitico, furono i francescani. Come afferma il Prof. Luciano Bertazzo, storico francescano e direttore del Centro Studi Antoniani di Padova, contattato dalla Verità. «A fianco di Marco Polo esiste tutta una letteratura non meno interessante in cui il mondo francescano non fu solo portatore di evangelizzazione, ma anche di una spinta all'internazionalizzazione». Già alla metà del Duecento, la presenza della Chiesa cattolica in Estremo Oriente intersecava l'Europa all'Asia. I resoconti dei frati alimentarono il "Meraviglioso" nei racconti di viaggio (detti anche odeporici) sulla scia della «Vita di Alessandro Magno», che inaugurò il connubio tra scientia e mirabilia».
Ai tempi delle crociate, i frati minori assunsero un ruolo «diplomatico» all’interno di un mondo in forte fermento. Erano gli anni della «cattività» del Papato ad Avignone, dell’espansione dell’Islam verso oriente e del potentissimo regno dei Mongoli discendenti di Gengis Khan. Nel mosaico delle forze dominanti i francescani, attivi nell’opera di evangelizzazione alla base dei loro viaggi, furono anche incaricati dal Papato e dai sovrani occidentali di riportare notizie sullo stato dei popoli dell’estremo Oriente per cercare di misurarne la potenza politica e militare unito ad un intento più diplomatico, con il proposito di esplorare una possibile alleanza in funzione anti islamica. I religiosi italiani erano già presenti in Asia fino dalla metà del XIII secolo, come testimoniano i resoconti del francescano Giovanni di Pian del Carpine, che alla metà del Duecento scrisse una «Historia Mongalorum» dopo essere giunto fino a Kharakorum, ricca di informazioni strategico-militari sulla potenza dell’impero mongolo che premeva verso Occidente. Anche Giovanni da Montecorvino, francescano campano, giunse fino in Cina alla corte di Kubilai Khan, morto appena prima dell’arrivo del frate italiano. Qui fondò la prima missione cattolica della Cina e la prima chiesa nel 1305 e fu nominato arcivescovo da Clemente V.
A pochi anni dal viaggio di Giovanni da Montecorvino si colloca la spedizione di Odorico da Pordenone, che toccherà anche l’Indonesia, allora praticamente sconosciuta al mondo occidentale. Nato sembra intorno al 1280, fu ordinato frate a Udine ancora giovanissimo, secondo le poche notizie giunte a noi. Il suo viaggio in Oriente, con destinazione Cina, si colloca attorno al 1318 e seguì un itinerario da Venezia a Trebisonda, quindi dalla penisola arabica via nave fino all’India, dove a Thana (attuale Mumbai) raccolse le spoglie dei francescani martirizzati dai musulmani nel 1321. La tappa successiva fu l’Indonesia, una terra praticamente inesplorata fino ad allora. Nella sua Relatio, Odorico dedica spazio alla descrizione di usi e costumi dell’arcipelago. Lamori è il primo abitato dell’Indonesia che il frate friulano descrisse, dipingendolo come una terra non proprio ospitale. Così Odorico dipinse quella che è ritenuta essere un antico regno situato nella parte settentrionale di Sumatra: «Cominciai a perdere la tramontana quando toccai quella terra. In questa regione il calore è enorme e sia gli uomini che le donne vanno in giro nudi, senza coprirsi nessuna parte del corpo. Essi mi deridevano, perché dicevano che Dio aveva creato Adamo nudo e io invece volevo essere vestito contro la volontà di Dio. In questo paese tutte le donne sono messe in comune fra tutti, cosicché nessuno può dire «questa è mia moglie», oppure «questo è mio marito». Quando poi una donna partorisce un figlio o una figlia, lo dà o la dà a chi vuole tra uno di quelli con i quali ha avuto rapporti intimi, e quel bimbo o bimba lo considera il proprio padre. Anche tutto il terreno è in comune fra tutti gli abitanti, cosicché nessuno può dire: «questa o quella parte di terra è mia». Le case invece sono ognuna per conto proprio. Questa gente è pestifera e malvagia: infatti mangiano carne umana, come qui da noi si mangia la carne bovina o quella delle pecore. Tuttavia di per sé questa è una terra buona, che ha grande abbondanza di carni, di biade e di riso, inoltre vi si trova oro in abbondanza[…]».
Un ritratto di una società primitiva e ostile, quella che Odorico raccontò nella sua prima tappa indonesiana. Tutt’altra impressione il frate ebbe della tappa successiva, Giava. Secondo le fonti storiche, nel periodo in cui l’isola fu visitata da Odorico l’isola viveva l’ultimo periodo prospero prima dell’arrivo dell’Islam dall’India, quello del regno Majapahit che, sotto il comandante militare e consigliere dei regnanti Gajah Mada, riuscì nell’espansione territoriale con la conquista di Bali. A Giava l’Islam non era ancora giunto quando Odorico fece visita al palazzo reale, e le religioni principali erano il buddhismo, l’induismo e l’animismo. La descrizione che il friulano fece dell’isola era a dir poco entusiastica: «Quest’isola è abitata molto bene ed è la seconda isola più bella che ci sia al mondo. In essa nasce la canfora e vi crescono cubebe (pepe di Giava), melaghette (nota come melegueta o grani del Paradiso, della famiglia dello zenzero con sentore di zenzero e cardamomo) e noci moscate e molte altre specie di erbe preziose. Vi è grande abbondanza di vettovaglie, a eccezione del vino. Il re di quest’isola possiede un palazzo davvero meraviglioso». E più avanti, nel capitolo dedicato all’arcipelago indonesiano, Odorico sottolineava la potenza militare di Giava, che seppe resistere alla potenza della Cina di Kubilai Khan. «Il Gran Khan del Catai fu molte volte in guerra contro questo regno di Giava, ma questo re riuscì sempre vincitore e lo superò».
Lasciata l’Indonesia, passando forse per il Borneo e probabilmente dalle Filippine, Odorico sbarcò finalmente in Cina dal porto di Canton. Poi via terra riuscì a raggiungere Khambaliq (Pechino), dove lasciò le spoglie dei confratelli martiri e risiedette per tre anni prima di intraprendere il viaggio di ritorno via terra in compagnia del francescano frate Giacomo d’Irlanda attraverso il Tibet, la Persia e di nuovo da Trebisonda fino a Venezia. Odorico tornò nel 1330, dopo 12 anni. A Padova scrisse la sua Relatio, di fronte a frate Guido, ministro provinciale, e allo scriba Guglielmo da Solagna. La destinazione del resoconto di Odorico era Avignone, dove si ipotizza che il frate avrebbe dovuto recarsi per relazionare le meraviglie d’Oriente e dei suoi popoli al Pontefice. Odorico da Pordenone non la raggiungerà mai. Morirà a Udine si presume il 14 gennaio 1331 stroncato da una grave forma di enfisema dovuto alle esalazioni di monossido di carbonio respirate nelle tende dei «Tatari». La fama di santità seguirà immediatamente dopo la morte. A Udine fu realizzata una splendida arca dove riposavano le spoglie. Il processo di canonizzazione iniziò solamente nel 1755 ma fu interrotto. Due volte ancora fu ripreso ed interrotto nel 1931 e nel 1956. Nuovamente istruito negli anni Duemila, l'iter è attualmente in corso.
Per un approfondimento sul viaggio di Odorico da Pordenone si consiglia la lettura di Racconto delle cose meravigliose d'Oriente (Edizioni Messaggero Padova), basato sull'opera critica di riferimento a cura di Annalia Marchisio Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum (Sismel-Edizioni del Galluzzo).
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(Totaleu)
Lo ha detto l’eurodeputato di Forza Italia a margine della sessione plenaria di Strasburgo.