2021-05-18
Storia del medico che ha scoperto che la felicità è una cosa seria
Esce oggi il libro di Marco Bardazzi dedicato a Enzo Piccinini, grande chirurgo scomparso a 48 anni e ora servo di Dio. La passione, le intuizioni scientifiche, il metodo di cura nati grazie alla paternità di don Giussani.Non è puttana, la felicità, checché se ne canti. Spendere per lei una vita, consumarla con veemente letizia, concluderla - qui sulla terra, almeno - in una notte lungo l'autostrada, non è un cammino cieco finito nel rimpianto di anni che non sono stati. Enzo Piccinini, straordinario medico, servo di Dio e brusco trascinatore d'uomini, è morto 22 anni fa, ma la sua vita è una lama di luce presente, nella parabola che pare digradante della pandemia. Ho fatto tutto per essere felice (Bur, 230 pagine, 16 euro) racconta la sua storia. Il libro è disponibile da oggi, ma le prevendite online hanno già suggerito all'editore una ristampa. Marco Bardazzi, giornalista e poi pezzo grosso in Eni, l'ha raccolta con ordine e nitore. Il risultato è un inno alla felicità, che prende una dimensione agli antipodi di quella del testo della canzone dei Thegiornalisti. Non dura un minuto, e porta botte di vita più forti di una morte brutale a neppure 50 anni.emilia paranoicaEmiliano (nasce a Scandiano, provincia di Reggio), Piccinini trascina il suo temperamento non tiepido nei roventi anni '70 su uno spartiacque tra l'estremismo di sinistra (sfiorato) e il cattolicesimo, tendenza CL. Scrive l'autore: «Nel cuore di una Reggio Emilia divisa come ai tempi della guerra, cinquecento metri separavano la scelta marxista da quella cristiana. Tutto si è giocato in quelle poche strade, dove Enzo decise di imboccare un percorso che non avrebbe lasciato mai più». Quel cammino ha il volto, la voce grattata e la fede di don Giussani, anch'egli oggi servo di Dio. L'incontro con il fondatore di Comunione e Liberazione è la scoperta di un secondo padre. L'impegno cristiano si tramuta nell'opposto di ciò che uno sguardo superficiale può immaginare: un'unità di vita in cui cultura, studi e poi professione di medicina, affetti, letture, amicizie, testimoniano una sete di felicità cui nulla poteva e doveva rimanere estraneo. La crescita professionale del Piccinini chirurgo accompagna infatti i sempre più numerosi impegni nel Movimento. Il racconto del metodo costruito da Enzo nell'affronto del paziente, fusione italiana di interdisciplinarietà appresa in America, talento cristallino e passione per la ricerca, prende nel libro una sconvolgente attualità a causa del Covid: momento insopportabilmente dilatato in cui è più difficile trascurare la domanda altrimenti obliata su cosa siano la vita, la morte, la salute, la medicina, il dolore. L'uomo Piccinini ha un'ipotesi, spalancata dalla fede ma in qualche modo umanamente accessibile a tutti, quantomeno per il fascino di una personalità non riconducibile né riducibile ai fattori geografico-culturali di provenienza. Il cuore del libro è forse nei dialoghi con Giussani, più volte raccontati in pubblico da Piccinini e divorati da tanti su alcuni filmati di Youtube, ma qui legittimati e vivificati. Come quello in cui Enzo perde un amico, più volte da lui inutilmente operato. «Ero lì in corridoio, Giussani si avvicina e dice: “Come va?". Io dico: “Non c'è male". Lui si ferma: “Come, non c'è male? Cosa c'è?". Dico: “No, stupidaggini. Dopo quello che abbiamo detto prima lì all'incontro, queste sono stupidaggini. Dai, andiamo, non importa". Lui si è fermato di colpo, era stanchissimo: “Ma scusami, Enzo, con tutte le stupidaggini che ci diciamo, quando c'è una cosa che conta davvero non ne parliamo?". Io rimango inchiodato e dico: “Scusami, guarda, non volevo, ma m'è successo questo e mi do un po' di colpe, insomma, non riesco più a dormire. E anche mia moglie è preoccupata". Lui mi guarda e mi dà una risposta che era la più impensata in assoluto, non potevo neanche immaginarla: “Ma Enzo, proprio tu", ma con una faccia delusa: “Proprio tu ti comporti come se Cristo non ci fosse? È come se tutto dipendesse dalle tue mani: ma come credi di poter andare avanti così? Non farai mai più niente di quello che fai, farai come tutti: cercare quello che meno ti ferisce, che ti mette a posto. Non rischierai più". Poi fa: “Comunque, in ogni caso, io ne voglio riparlare. Puoi venire appena puoi?". Figurati! Due giorni dopo ero su. Così, ci vediamo a pranzo e dice: “Allora, racconta di nuovo". Ho accennato, però gli ho detto: “Senti, Giussani, guarda io non voglio rubarti del tempo, perché poi adesso ho capito. Guarda, da me c'è una cappellina e adesso io prima di andare in sala operatoria vado lì e dico una preghiera e le cose si rimettono insieme. Sono più tranquillo". Lui scatta: “Enzo, ma che pregare e pregare! Il problema non è pregare, è che tu non sai offrire. Il tuo problema è che non sai offrire, e offrire significa che la realtà non è una cosa che hai in mano tu, non è tua, e che tutto quel che si fa è come se avesse dentro la domanda che il Signore, padrone di questa realtà, si riveli, perché è così che si vive, e tu, guarda - te l'ho detto, ma te lo ridico un'altra volta - smetterai di fare quel che fai e avrai paura di rischiare". E infatti era vero, era impressionantemente vero, erano due mesi che dicevo ai miei due assistenti: “Ragazzi, basta fare questi interventi: io devo far carriera, meno problemi ho e meglio è"». amare i figliIn un'altra circostanza citata da Bardazzi, Piccinini investe don Giussani con una domanda su una vita, la propria, troppo «strapazzata». «Ma tu vuoi bene ai tuoi figli?», chiede il sacerdote di Desio: «Fammi un esempio». Vinto l'imbarazzo, Enzo racconta dei suoi rientri notturni, con i quattro bambini a letto da ore: «Mi prende una tenerezza infinita nel veder questi gomitoli lì sul letto. Allora io furtivamente vado dentro, ne prendo su uno, e qualche volta si svegliano: “Papà!". “Sssttt! Se no la mamma...". Li stringo un po', me li sbaciucchio... Insomma, mi sembra di volergli bene». «Non è mica così che si vuol bene», è la spiazzante replica. Ma l'apparente anaffettività sfocia in un abbraccio dilatato nel tempo e oltre il tempo: «Guarda, il modo vero di voler bene è che proprio quando questa tenerezza è intensa, vera e trascinante, umanamente trascinante, dovresti fare un passo indietro, guardarli e dire: “Che ne sarà di loro?". Perché voler bene è capire che hanno un destino, che non sono tuoi, sono tuoi e non sono tuoi, che hanno un destino e che è proprio guardando la drammaticità che il destino impone nel rapporto e nelle cose, nel futuro e nel presente, che tu li rispetterai, gli vorrai bene, sarai disposto a fare tutto per loro, non ti farai ricattare se ti obbediranno o no».Questa passione per il destino umano, per la statura e il mistero che covano dentro ciascuno, dal più eroico dei condottieri all'ultimo dei pazienti terminali, è la cifra dominante che emerge dalla biografia di Piccinini. Una cifra che, in università e negli ospedali, trascina e fa crescere un piccolo esercito di medici, specializzandi, chirurghi, pazientemente stanati da Bardazzi a conforto del racconto. La sua «scuola», in cui è impossibile distinguere umanità e scienza, tecnica e improvvisazione, metodo e desiderio di successo, è viva tuttora, anche in chi non documenta un'esperienza di fede. avevi dubbi?Il più clamoroso evento della vita pubblica di Piccinini è forse un'operazione complicatissima compiuta su una paziente ritenuta inoperabile. Consultatosi con don Giussani, il chirurgo decide di procedere, in accordo con la donna. «Enzo lasciò passare qualche giorno per essere sicuro che la situazione si stabilizzasse, poi chiamò don Giussani per dirgli che le cose stavano inaspettatamente andando bene. La replica del sacerdote, dopo qualche momento di silenzio, fu pacata: “Scusami, ma avevi dei dubbi?"». Sì, ne aveva molti, ma Giussani li risolse così: «Grazie per essere stato strumento di un miracolo». Perché il rischio, nel racconto di Bardazzi, non è un azzardo sbruffone, né una prova di baldanza superomistica. Piuttosto, la certezza riposante e battagliera che si può combattere sapendo che l'esito non è in mano d'uomo. Che la felicità per cui vivere non è frutto dell'assenza di sbagli, ma di un cuore semplice e inquieto da tuffare nel mondo.Doveva avere in mente uomini così Flannery O' Connor, quando, con una pugnace traduzione del Vangelo di Matteo, scrisse: «Il cielo è dei violenti».