
Giornali adoranti davanti all’ex presidente e consorte: «Come tace lui nessuno, altro che Alain Delon». E il tailleur «decostruito» dell’ex first lady diventa una divisa.«Nessuno sa far silenzio come Obama». Lo abbiamo imparato leggendo Repubblica di ieri. E noi, ingenui, che pensavamo che il silenzio fosse silenzio. Macché: c’è il silenzio di Obama («nel senso di lui», come specifica devotamente Concita De Gregorio), e c’è il silenzio di tutti gli altri, cioè nel senso di noi. E il silenzio di Obama, ah signori miei, dovreste sentirlo il silenzio di Obama, non c’è silenzio più dolce e musicale di quello. Più che un silenzio, un coro celestiale. Ma soprattutto, come spiega Concita, un silenzio che è «un fatto di sicurezza, di padronanza della scena» perché normalmente si dice che se uno sta zitto non sa che cosa dire, invece no: «Se sei Obama allora puoi stare zitto» e passi per uno che ha detto cose intelligenti. Anche perché, siamo sinceri, chi altro, quando resta muto, sa «restare elastico sulle caviglie» come Obama, chi altro sa «sguainare un sorriso» «tacere ancora», e soprattutto «fare così con la testa»? Nessuno. A me, per dire, quando facevo così con la testa mia mamma diceva sempre «stai fermo». Invece a Obama dicono che è un genio. Perché, ovvio, nessuno sa «far così con la testa» come lui. Scusate, ma è scoppiato l’obamismo senza limitismo, nuova passione che travolge da una parte all’altro dell’Atlantico il mondo dem. Poveretti, bisogna capirli: qualche settimana fa erano caduti nel più nero sconforto. Biden rincitrullito, le sue patetiche apparizioni in tv, l’attentato a Trump, i sondaggi tutti a favore di Donald: pensavano di essere destinati alla sconfitta elettorale, senza nemmeno la possibilità di combattere. Poi Biden si è ritirato, e si è riaperto uno spiraglio di speranza. Ma siccome Kamala Harris, nonostante gli sforzi, non è mai riuscita a emozionare nessuno, per cercare di sollevare un po’ gli animi dalla depressione, non resta loro che attaccarsi all’usato sicuro: la coppia Obama, per l’appunto, Barack e la moglie Michelle, che compaiono sul palco della convention di Chicago in una nuvola di melassa e lanciano lo slogan «yes she can». Come originalità, non un granché. Ma di questi tempi bisogna accontentarsi. Per cui, come spiega Concita, «andate a riprendere quel momento in cui (Obama) aspetta prima di dire “yes she can” e aspetta di nuovo dopo averlo detto». Non è fantastico? «Nessuno sa far silenzio come Obama». Lo slogan fa acqua da tutte le parti, ma il silenzio che lo circonda, ah, quello è straordinario. Perché è il silenzio di Obama. Nessuno come lui. «Anche Alain Delon», ci spiega Concita, «taceva benissimo, ma con un certo disprezzo dell’umanità e con intenzioni seduttive omicide». Capito? Il silenzio di Alain Delon era potenzialmente assassino. Quello di Obama è la salvezza. E anche quando l’ex presidente degli Stati Uniti, fra un silenzio e l’altro, con gesto non proprio elegante, simula le dimensioni del membro genitale maschile per prendere in giro l’ossessione di Trump per le dimensioni, beh, non si tratta di un volgare atto machista, come se l’avesse fatto chiunque altro. Macché: si tratta di una cosa spiritosa, molto simpatica, ovviamente subito virale. Del resto, che ci volete fare? Nessuno sa far silenzio come Obama. Ma, soprattutto, nessuno sa fare i gestacci come lui.E Michelle? Il Corriere della Sera ci fa sapere che l’ex first lady «si è presentata con un tailleur decostruito con doppia chiusura sul petto e soprattutto braccia scoperte, tipico dello stile Michelle». Lo stile Michelle, si capisce. A firmare la mise Fernando Garcia dell’etichetta Monse, che «ripropone tagli sartoriali stravolgendoli». Gianni Riotta su Repubblica lo definisce «una divisa da combattimento» così come le «trecce afro» sono «una dichiarazione militante» perché «il voto sarà guerra». Roba da far eccitare l’esercito dei militanti dem, pronti a correre in battaglia, anche se non sarà facile dotarsi della stessa divisa, dal momento che il vestito in stile Michelle costa come minimo 1.700 euro. Ma, ovviamente, il vestito è un dettaglio. Quel che conta, come ci spiega ancora Concita, è la sostanza: l’ex first lady, infatti, «arriva e dice ok ragazzi, però diamoci da fare, facciamo qualcosa». Mica le solite frasi di circostanza, macché: «Diamoci da fare». Proprio così. E anche: «facciamo qualcosa». Non è un proposito geniale? Chi altro l’ha mai detto? O anche solo pensato? Quasi meglio del silenzio di suo marito. E come se non bastasse lei lo dice «a braccio, senza un foglio, un appunto, niente». Capito? Non ha bisogno di appunti per dire «facciamo qualcosa». Stile Michelle, anche questo. E pure più economico del vestito.Di fronte a uscite di tale profondità non può non scatenarsi l’entusiasmo che ovviamente tracima dalle pagine dei giornali. Qui tutto viene dimenticato. Viene dimenticato il povero Biden ormai imbalsamato, le incertezze di Kamala, i dubbi avanzati su di lei, la sua politica economica che fa venire i brividi anche ai fan più accaniti. Che importa? Ci sono gli Obama: tanto basta per far festa. E pazienza se l’ex presidente aveva lasciato la Casa Bianca fra il flop della politica estera (do you remember primavere arabe?) e gli americani inferociti per le promesse non mantenute, tanto che lui stesso a fine mandato aveva parlato di «scontento aumentato» e «scetticismo diffuso». Pazienza, sono tutti euforici. «Michelle detta la linea», s’entusiasma il Corriere, «Parla da leader indiscussa», chiosa il direttore di Repubblica nel suo ampio reportage da Chicago. «C’è qualcosa di magico nell’aria», s’accodano tutti i quotidiani riportando le parole di Barack. Lui e Michelle insieme sono «l’atto di coscienza dei progressisti» (Riotta), lanciano «messaggi subliminali», fanno a gara per «eloquenza e incisività», riaccendono le emozioni e la speranza. Persino Il Manifesto s’entusiasma: «Barack e Michelle contro l’arida stagione bianca», titola il quotidiano comunista. Poi, fra una citazione di Martin Luther King e una delle pantere nere, scrive che i due «hanno regalato un master class in comunicazione politica». Un master class pieno di silenzi, ovviamente. Perché, parola di Concita, «gli Obama lo fanno meglio». Che cosa non si sa. Ma se quella cosa fosse lo star zitti, non sarebbe meglio se qualcuno dei loro tanti devoti, li imitasse?
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La celebre psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi: «È mancata la gradualità nell’allontanamento, invece è necessaria Il loro stile di vita non era così contestabile da determinare quanto accaduto. E c’era tanto amore per i figli».
Maria Rita Parsi, celebre psicologa e psicoterapeuta, è stata tra le prime esperte a prendere la parola sulla vicenda della famiglia del bosco.






