2023-10-12
Mauro Repetto: «Ero ricco e famoso, ma ho lasciato tutto per inseguire i sogni»
Max Pezzali e Mauro Repetto (Getty images)
L’ex socio di Max Pezzali negli «883» ha pubblicato la biografia della sua vita avventurosa: «Il successo? Merito di un salmone...».La vita di Mauro Repetto è una storia perfetta da raccontare ai nipotini: un’avventura epica a metà tra l’Odissea e I viaggi di Gulliver, con sottofondo musicale di My way, brano che Frank Sinatra incise a 54 anni, neanche a farlo apposta la stessa età del cantautore nato a Genova ma notoriamente pavese di adozione.«I’ve lived a life that’s full, I travelled each and every highway», cantava il crooner di Hoboken, ed è più o meno il sentimento con cui l’ex 883 ha appena dato alle stampe Non ho ucciso l’Uomo ragno, suo primo e unico libro. Un punto e a capo messo dopo 30 anni di oblio seguiti all’abbandono del gruppo all’apice del successo. Una moglie e due figli, oggi Repetto vive a Parigi, dove lavora come dirigente a Disneyland.Il titolo del libro è un modo per dire «Non ho sfasciato gli 883»? «No, quello lo davo per assodato. Vuol dire: non ho ucciso l’energia dei sogni che è dentro di me».Quale messaggio si augura che passi? «Che è giusto fare attenzione a non esagerare, ma bisogna sempre leggere la linea scritta sul palmo della nostra mano. Assecondare il destino senza paura di considerare il successo o l’insuccesso come due impostori, come diceva Kipling».Successo: quale fu il primo sfizio che si tolse quando arrivò? «Un abito grigio di Kenzo. Costava 4 milioni di lire, oggi sarebbero 2.000 euro, forse anche di più. Lo pagai in contanti».Niente case, niente automobili… «Perché? Io volevo andarmene via».Pensava già all’America dopo Hanno ucciso l’Uomo ragno? «No, ma dentro di me sono sempre stato irrisolto. Lo sono ancora. Non ho mai avuto tanto delle radici, quanto delle ali».Il primo ricordo degli 883 che le viene in mente? «Periodo Nord sud ovest est. Per darle un’idea di quanto io e Max venerassimo Claudio Cecchetto, una sera ci invitò a cena da lui a Milano, zona Porta Genova. Eravamo a tavola e, senza essercelo detto, sentivamo entrambi un bisogno incredibile di pisciare. Ma eravamo troppo in soggezione per chiedere a Claudio dove fosse il bagno, quindi ci tenemmo lo stimolo per tutta la sera. Appena usciti da casa sua, tra le risate ci buttammo sul primo muro disponibile per svuotare la vescica».Soggezione perché, alla fine, eravate dei vip di provincia. «Assolutamente! La vita degli 883 era a metà tra James Dean e Fantozzi. Al liceo ero un paninaro, ricordo che quando andavo a Milano con gli amici, tutto bardato (Timberland, Americanino), non facevo a tempo a mettere piede in città che partivano i commenti: “Cazzo, sono arrivati i truzzi di Pavia”. Eravamo vestiti come loro, ma ci sgamavano subito».Mi racconti un incontro che la impressionò. «Mariah Carey. La conoscemmo che era un idolo assoluto, 1993. Molto educata, ci sorrise e noi balbettammo un “Nice to meet you” con accento lombardo. Stranamente la ricordo più alta di me, non so se era per via dei tacchi o perché noi eravamo prostrati tipo Fantozzi».Nel 1994, dopo due dischi da 2 milioni di copie, lascia la band. La versione di Max Pezzali è che lei sparì all’improvviso a Pasqua. La sua? «Uguale. Gli dissi: “Io vado a Miami, forse non torno”. E sparii. Ripensandoci, non è banale che l’ultimo pezzo scritto insieme reciti “Stessa storia, stesso posto, stesso bar”. Volevo un’altra storia, un altro posto, un altro bar».Nessuno provò a dissuaderla? Stava mollando un progetto miliardario per andare, così si narra, alla ricerca di una modella vista a una sfilata che non sapeva della sua esistenza. «Tutto vero. Cecchetto mi telefonava ogni giorno: “Molla tutto e torna a Milano!”. Ma io sentivo solo il sogno che gridava forte dentro di me».Nemmeno una minaccia dall’etichetta discografica? «Nulla. All’epoca stavano preparando il film Jolly blu, in cui io dovevo essere il protagonista. Mandarono a Los Angeles Stefano Salvati, il regista, per cercare di recuperarmi: non sentivo ragioni. Ma non ci fu alcun braccio di ferro legale, avevano capito che non volevo incularli, intravedevano una purezza di spirito che non meritava delle bastonate».Max quante volte le chiese di tornare? «Neanche una. A volte si passa dalla simbiosi totale al non parlarsi più. Max e io eravamo talmente una cosa sola che non avremmo mai potuto ragionare da colleghi».È stato spesso dipinto come il biondino che ballava attorno al cantante. Questo ritratto le pesava? «No. All’epoca la chitarra non si suonava, la disciplina del rapper era campionarla, quindi io mi ritrovai a ballare. E mi piaceva».A cosa pensava mentre saltellava sul palco? «A Janet Jackson. Ero preso a ricordare le coreografie che le avevo visto fare nei videoclip. Il risultato era strampalato: riguardandomi, a volte ero scosso, altre sorridevo, ma non ho mai rinnegato nulla».È vero che il suo motto era «dignità zero»? «Sì, ma in realtà significava dignità a mille. Nel senso: ce ne sbattiamo i coglioni di tutti e spacchiamo».Pur non essendo il frontman, con le donne aveva più successo di Pezzali. «Non farei una classifica… Avevo tante ragazze, quello sì. Con la fama, la miscela mito-sfigato cambia: se prima il rapporto era 20 per cento Johnny Depp e 80 per cento Fantozzi, in seguito fu l’opposto. Fantozzi c’era sempre, però».A 30 anni da Nord sud ovest est, cos’hanno rappresentato gli 883? «Gli 883 erano un trasferello del nostro quotidiano, e anche se il mondo è cambiato, gli adolescenti di oggi sono irrisolti come lo eravamo noi 30 anni fa. Trovo molte analogie con il nostro essere dei provinciali che amavano la pasta in brodo e il minestrone, con lo spleen baudelairiano dei weekend a sperare di andarsene “con un deca” per la benzina».Lei è la dimostrazione vivente che si può cambiare vita in qualsiasi momento. Anche se le cose non sono andate esattamente come aveva programmato. «Facendo un paragone calcistico, l’importante è arrivare a fine giornata avendo prodotto tante occasioni da gol. Non si può segnare sempre, ma prima o poi la palla entra».Tentò anche la carriera solista. «Zucchero filato nero non doveva essere un progetto solista, stavo producendo un disco rap a New York con la Def jam, etichetta rap storica. Ma quel pirla che scriveva i pezzi pensò bene di picchiare sua moglie, una protetta di Russell Simmons, il fondatore. In una notte, passai dall’essere sull’orlo del botto a tornare a Pavia coi nastri sotto le ascelle».Eppure lo fece. «Io non volevo, mi convinse Cecchetto. Tradussi i testi in italiano, un cambio in perdita, ma con la testa ero già altrove. Per me era finita. La figata era coi rapper a New York, non in Italia».Esiste più di una leggenda che la riguarda. La più nota è che abbia impersonato Pippo a Disneyland. «Fui assunto a Disneyland, questo sì, ma impersonavo un cowboy. Un giorno, un vicepresidente italiano mi riconobbe: “Ma che cazzo ci fai qui vestito da cowboy?”. Mi trasferì nel dipartimento Business solution, dove lavoro tuttora come event executive organizzando eventi da milioni di dollari. Io mi ero presentato al colloquio perché mia madre ci teneva che trovassi il posto fisso, ma avrei potuto campare di rendita».Che patrimonio aveva in mano quando lasciò gli 883? «Vorrà dire che patrimonio “ho” in mano. Ero ricco e lo sono tuttora».Mi dica la frottola più fantasiosa circolata su di lei. «Che mi hanno visto girare con Jim Morrison tra le tombe del cimitero Père-Lachaise di Parigi (ride)».Non ebbe mai il timore di poter rompere il giocattolo a Pezzali, andandosene così su due piedi? «No, la mia missione era compiuta: gli 883 erano fortissimi. Mi sentivo uno che quel giocattolo lo aveva fabbricato. E volevo fabbricarne altri».Lo stesso Cecchetto ha sostenuto più volte questa tesi. «È così. Per mesi, alla fine degli anni Ottanta, avevo rotto i coglioni a radio Deejay telefonando per far sentire la cassettina di Non me la menare. All’epoca il mio nome d’arte era Flash. “Pronto, sono il Flash di Pavia, c’è Jovanotti?”. “Pronto, sono il Flash di Pavia, c’è Linus?”. Tutti i giorni così. La risposta era sempre la stessa: “Sta cagando”».Linus ha raccontato come la conobbe: praticamente lo costrinse a cenare con lei nei pressi di una discoteca dove aveva una serata. Conferma? «Secondo lei chi mi diede il numero di telefono?».Come ci riuscì? «Agganciai Linus chiedendogli di mettere i dischi in una discoteca di Pavia. Poi lo invitai a cena: svogliatissimo, accettò. Lui era una star di Deejay television, io un diciassettenne brufoloso che aveva fatto 4 mesi di economia per portarlo in un ristorante figo. Parlammo di musica e del salmone che stavamo mangiando, mi costò un occhio della testa. Come premio, ebbi il numero del corridoio della radio».Del corridoio… alla faccia della generosità. «Però mi bastò».Senta, che percezione ha di sé? Perché sono in tanti a vederla come una specie di matto per avere piantato gli 883. «Lo so. Mio padre, quando me ne andai, disse: “Mauro, ti sei tolto la voglia di fare cazzate per tutta la vita”. Rispetto la loro visione, ma io dovevo assecondare i miei sogni, non quelli di un altro. La mia vita è stata un’autostrada che scorre verso la normalità, nonostante qualche uscita particolare».Insomma, si considera più un sognatore che un matto. «Ma neanche un sognatore. Io ho vissuto».E si sente realizzato oggi? «Ci sono troppe cose che desidero fare perché possa sentirmi realizzato».Che ruolo ha giocato la provincia? «Ha costituito una perenne dicotomia tra lo star bene e l’avere voglia di andarsene. Pavia è stata un tappo che volevo stappare».Se in un futuro lontano il sindaco dovesse intitolarle una strada, preferirebbe che sulla targa fosse scritto «musicista» o «imprenditore»? «Meglio “visionario”».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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