2025-08-30
Mattarella va in visita in Slovenia e l’Italia cede la pala di Carpaccio
Sergio Mattarella (Imagoeconomica). Nel riquadro, un particolare della Pala Carpaccio
Lubiana vorrebbe 21 capolavori portati qui nel 1940. Ma gli esuli istriani insorgono: «Legalmente appartengono a Roma, così si uccide la nostra storia». I dubbi di Roberto Menia: «I sovrintendenti sapevano?».È una polemica che prosegue da ottant’anni e che ora verrà chiusa. Ancora una volta a sfavore del nostro Paese. Un’altra ferita per gli esuli istriani, costretti ad abbandonare la loro terra, italiana fino al 1947, e poi jugoslava e, infine, smembrata tra Slovenia e Croazia. Migliaia di connazionali (almeno 350.000 conteggiando anche dalmati e fiumani) che hanno dovuto lasciare case, beni e affetti, costretti a costruirsi un futuro in quella che era la loro nazione che, però, molto spesso li ha traditi. Come, purtroppo, sta accadendo anche in questi giorni.Dopo oltre ottant’anni, infatti, l’Italia cederà la pala d’altare Madonna col bambino, i santi Ambrogio, Pietro, Francesco, Antonio, Chiara, Giorgio e due angeli musicanti di Vittore Carpaccio, realizzata per la chiesa francescana di Pirano, alla Slovenia. E questo nonostante i documenti provino che quest’opera appartenga al nostro Paese.Una delusione, per gli esuli istriani, accresciuta dal fatto che avverrà proprio nei giorni in cui il presidente della Repubblica,Sergio Mattarella, si recherà a Capodistria per l’inaugurazione del restaurato Collegio dei Nobili, sede della scuola elementare e del ginnasio in lingua italiana. Le prime voci di questa cessione erano iniziate a inizio agosto quando l’Unione degli istriani, battagliera associazione con base a Trieste, aveva denunciato che, durante la visita del nostro capo dello Stato, gli sloveni sarebbero tornati a chiedere 21 opere d’arte, tutte proveniente da Capodistria e Pirano, portate in Italia nel 1940. Si tratta di capolavori di Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Alessandro Algardi, Giambattisa Tiepolo, Vittore e Benedetto Carpaccio, che vennero trasportati nei pressi di Udine, a villa Manin di Passariano. Da lì la gran parte di queste opere passò poi a Roma, nel 1948, e lì venne conservata fino al 1972 nel museo nazionale romano e poi trasferita a palazzo Venezia. Altra ombra e altra polvere fino al 2002, quando vennero riportate alla luce e restaurate per volere dell’allora segretario di Stato aggiunto ai beni culturali, Vittorio Sgarbi, il quale, nel 2005, organizzò una mostra a Trieste, città di adozione degli esuli, intitolata Histria. Opere d’arte restaurate: da Paolo Veneziano a Tiepolo. In quell’occasione, il critico d’arte disse: «Queste opere rappresentano la civiltà istriana nella loro identità italiana. I pittori e gli autori sono tutti italiani. Non vi dovrebbe essere alcuna rivendicazione da parte slovena […] Potrebbero ritornare in Istria se si trova un accordo, ma non secondo il diritto, perché il diritto dà ragione a noi». Stessa opinione anche del direttore dell’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata, Piero Delbello, che spiegò che quelle «opere d’arte non sono state trafugate dall’esercito italiano, sono state semplicemente messe in sicurezza in previsione dell’inizio della guerra».Il problema è che da parte slovena le rivendicazioni proseguono, citando l’articolo 12 del Trattato di pace sottoscritto nel 1947 tra i due Paesi che però riguarda solamente «gli oggetti di carattere artistico […] prelevati tra il 4 novembre 1918 e il 2 marzo 1924 nei territori occupati dall’Italia e quindi quelli restituiti alla Jugoslavia alla fine dei trattati sottoscritti a Rapallo nel 1920 e a Roma il 27 gennaio del 1924». Le 21 opere restaurate da Sgarbi sono quindi fuori da questo accordo. Compresa la pala d’altare di Carpaccio, attualmente custodita nel Museo Antoniano del complesso basilicale del Santo, che verrà di fatto ceduta dai francescani di Padova a Lubiana nei prossimi giorni, in concomitanza con la visita di Mattarella. Oggi, nella Basilica di Padova, la pala verrà salutata dai fedeli e riprenderà il cammino, ma questa volta al contrario, che aveva fatto nel 1940. Per il presidente dell’Unione degli istriani, Massimiliano Lacota, si tratta di un «gesto contrario ad ogni sano principio di amor patrio, innanzitutto, ma anche di moralità. Al presidente della Repubblica, che evidentemente vuole fare un dono alla Slovenia in occasione della sua prossima visita a Capodistria, chiedo di trovare qualche altro oggetto da regalare, non quelle opere che fanno parte del nostro patrimonio immateriale di esuli, e che pertanto sono un pezzo di noi e devono restare in Italia». Anche Roberto Menia , padre del Giorno del Ricordo per le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, ha detto: «Il 10 e l’11 settembre prossimi il presidente della Repubblica Mattarella si recherà in visita in Slovenia e questo di fatto sarà il grazioso omaggio italiano ai vicini del Monte Tricorno. Ovviamente, lo veniamo a sapere da loro, perché di qua del confine silenzio di tomba…». E ancora: «A quanto mi risulta, peraltro, si tratta di “bene soggetto a tutela dalla Soprintendenza” che deve dare l’approvazione per l’espatrio. La soprintendenza lo ha approvato?».Oggi è un’opera a tornare oltre confine. Ma il rischio è che accada, contro ogni logica, anche con gli altri 20 capolavori. Un danno non solo per la memoria degli esuli, ma per tutto il Paese.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)