2024-11-11
Mattarella green abbraccia la Cina rossa
Per il presidente «servono tanti Marco Polo» per superare «le sfide globali», come quella sul clima. Così a pagare sarà la nostra industria. E sull’arte: «Rispetto reciproco per un comune arricchimento. Cultura veicolo di pace». Ma sugli artisti russi censurati...A una quarantina di giorni abbondante dall’arrivo di Santa Klaus, Sergio Mattarella indossa i panni di nonno Natale e sparge dosi di melassa politicamente corretta, atteso che ai cinesi l’agrodolce piace. Peace and green è il suo motto con una spruzzatina di cultura, ma solo quella che sta dalla parte giusta. Si ricorda però che negli Usa ha vinto Donald Trump -l’uomo dei dazi - e a lui non deve aver fatto particolare piacere se, alla televisione cinese Cgtn intervistato da He Yanke per il programma Leaders Talk, scandisce: «Mercati aperti, collaborazione commerciale significano interessi comuni che vengono coltivati. E questo è l’antidoto alle contrapposizioni e alla guerra. Ed è paradossale che stia avvenendo il contrario in questo periodo, che si sviluppino le guerre e che si alimentino contrasti». E chissà se geloso di Giorgia Meloni, la presidente del Consiglio che pure lo ha preceduto in visita in Cina, dopo che lei ha lanciato il piano Mattei, lui rilancia il modello Marco Polo. Spiega Mattarella: «Il futuro richiede tanti Marco Polo, in alternativa a chi invece predica contrapposizione e pratica guerra. Perché lo stile Marco Polo, il significato, è quello della curiosità per mondi che non si conoscono, l’ammirazione per quello che si vede e si apprende, è il rispetto reciproco per un comune arricchimento culturale. Questo è ciò che ha fatto crescere il mondo nel corso dei millenni e dei secoli. Ed è ciò che invece viene contrastato da chi alimenta contrapposizioni e coltiva incompatibilità». Se ne deduce che se dalla Casa Bianca qualcuno pensasse di mettere dazi o di mettere in crisi il globalismo che ha aperto nel 2001 le porte del Wto senza condizioni alla Cina sarebbe un nemico di Marco Polo perché: «I rapporti tra la Cina e l’Italia sono straordinari, saldamente eccellenti». Il presidente della Repubblica nell’afflato politicamente corretto si spinge anche un po’ più in là: «Vi sono, davanti all’umanità» nota l’inquilino del Quirinale «tante sfide globali che nessun Paese da solo può affrontare. Riguardano il clima che sta cambiando, per cercare di controllarne i mutamenti; riguardano la salute globale nel mondo; riguardano l’economia, in cui sovente grandi soggetti, che agiscono sul piano globale, sono svincolati dalla regola di qualunque Stato e non hanno regole». Ora va bene tutto, ma la Cina ci ha, con ogni probabilità, regalato il Covid e parlare con loro delle sfide per la salute mondiale pare concedere un po’ troppo, così come si sa che con il green Pechino fa un sacco di soldi. Forse a Mattarella sfugge che la Cina – che a casa sua dell’inquinamento non si preoccupa – ci ha colonizzato col monopolio delle batterie che si costruiscono col cobalto estratto in Congo pagando due dollari al giorno a bambini sotto i 12 anni che fanno i minatori fin quando non muoiono. La sfida verde che piace tanto al Quirinale è quella che ha consegnato nelle mani dei cinesi l’Europa, è quella che – complice la cieca ideologia green di Ursula von der Leyen – ha distrutto l’industria dell’automobile creando in Germania così come in Italia centinaia di migliaia di potenziali disoccupati. Ma Sergio Mattarella – ed è difficile credere che non pensi a Elon Musk che pure ha un rapporto di particolare amicizia con l’Italia per il tramite di Giorgia Meloni – se la prende anche con le «tumultuose innovazione della scienza» e «bisogna fare in modo che non vengano usate in maniera perversa, ma vengano usate a beneficio delle persone. Questo richiede regole comuni nel mondo che richiederebbero una convergenza, una concordia che in questo momento non abbiamo, ma che dobbiamo assolutamente recuperare». Come si costruisce questo accordo mondiale? Seguendo l’esempio di Marco Polo e l’incombenza è affidata alla cultura che, illustra Mattarella, «è il rispetto reciproco per un comune arricchimento culturale. La cultura è il veicolo per la pace più forte». Tutto giusto e però il Quirinale nel 2022 non ha detto un fiato quando è stato impedito a Paolo Nori di tenere all’università Bicocca un corso di lezione su Fedor Dostoevskij, quando a Lonigo è stato vietato ai concertisti ucraini di eseguire il Lago dei Cigni di Pëtr Il'ič Čajkovskij, quando la Scala ha sostituito – col sindaco Giuseppe Sala che voleva un’ abiura anti-Putin degli artisti - Valery Gergiev, direttore d’orchestra, con Riccardo Chailly e la soprano Anna Netrebko con Maria Agresta. Per accennare solo ad alcuni casi. Altri quando quest’anno alla Sapienza è stato impedito a David Parenzo di parale in quanto ebreo, quando Klaus Davi è stato aggredito a Milano fuori da un centro islamico e Liliana Segre è stata contestata davanti alla Statale mentre riceveva la laurea honoris causa. Poco s’è detto quando la Sapienza di Roma, la Statale di Milano, l’Università di Palermo e di Pisa hanno interrotto i rapporti con le università israeliane. In questo caso però molto si spiega: il verde è il colore dell’islam. E se non è green che cultura è? Che pace è?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.