È un viaggio attraverso la luce e i colori del Mediterraneo la mostra in corso al Centro Culturale Candiani di Mestre (sino al 4 marzo 2025) dedicata a un grande maestro delle avanguardie del Novecento, Henri Matisse. Tra disegni e dipinti, esposte oltre 50 opere, fra cui importanti prestiti di collezioni internazionali.
È un viaggio attraverso la luce e i colori del Mediterraneo la mostra in corso al Centro Culturale Candiani di Mestre (sino al 4 marzo 2025) dedicata a un grande maestro delle avanguardie del Novecento, Henri Matisse. Tra disegni e dipinti, esposte oltre 50 opere, fra cui importanti prestiti di collezioni internazionali.Artista nonostante la disapprovazione del padre, Emile Hippolyte, commerciante di sementi che lo avrebbe voluto avvocato, Henri Matisse (1869-1954) seguì il proprio estro, che lo portò lontano, molto lontano, sino a diventare una delle figure più significative e geniali della storia dell’arte del XX secolo. Influenzato dai postimpressionisti e dall’arte giapponese, abbagliato dalle tinte calde del Mediterraneo e del Magreb (nonostante fosse nato a Cateau-Cambrésis, nel Nord della Francia), stregato dalla luce e dai colori della Corsica , proprio la luce intensa e i colori vibranti divennero gli elementi cruciali dei suoi dipinti. Nelle sue tele, il colore domina. Il rosso e il blu soprattutto. Ma anche il verde. A volte il nero. Un colore saturo e assoluto, che riempie la tela e che fa sparire i contorni: il disegno, che pure esiste, esiste in quanto «confine fra due colori», libero dalla prospettiva classica e rinascimentale. Tinte violente, spesso dissonanti, usate per esprimere emozioni: queste le caratteristiche primarie di uno stile che fece di Matisse uno dei massimi esponenti del Fauvismo (da fauves, belve), un movimento che ebbe vita breve ma un’identità ben precisa, e, soprattutto, la forza di rivoluzionare per sempre il modo di intendere il colore. E anche se, con l’andar degli anni, il suo stile divenne più «pacato» e sereno, Henri Matisse rimarrà per sempre «il pittore del colore e della luce ». Di quella del Mediterraneo soprattutto, come racconta il titolo della bella mostra (a ingresso gratuito con registrazione) in corso al centro culturale Candiani di Mestre.La MostraCurato da Elisabetta Barisoni (dal 2016 Responsabile di Ca' Pesaro – Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Venezia), il percorso espositivo si snoda attraverso sette sezioni, che spaziano da La Luce del Mediterraneo alle riflessioni sul decorativo e l’ornamento, il fascino delle linee moresche e le languide figure femminili in veste di odalische (bellissima, in mostra, Odalisca gialla, un’opera del 1937 in cui il soggetto non è esotico ma una moderna donna europea), opere di un Matisse più maturo e raccolte, a Mestre, nella suggestiva parte dedicata all’ Arabesco e decorazione. A dialogare con i capolavori del Maestro, in un armonico racconto corale, le opere di autori di epoche diverse, ispirati da Matisse nello stile e nella poetica: Raoul Dufy (in mostra con Studio con fruttiera,1942) per esempio o André Derain (sua la La pineta a Trets,1932), che dopo la fase fauvista - e con le debite differenze - si avvicinarono all’ astrattismo e al cubismo. Chiude il percorso Dal colore alla forma, la sezione dedicata all’ultima, rivoluzionaria fase creativa di Matisse che prende avvio dalla produzione dei papiers découpés, fogli di carta colorata ritagliati e incollati, nei quali il Maestro francese porta al massimo la sintesi dell’espressione: opera summa dei papiers il famosissimo stencil su carta Icaro, la stilizzata figura nera protesa ad abbracciare il cielo blu e a toccare le stelle con la punta delle dita. «Icaro, icona di una sintesi di passato e presente, simbolo di una caduta che per certi versi è anche recupero di identità, in un cielo di stelle che paiono esplosioni, il suo cuore è una sfera pulsante, trafitta nella notte della vita» - Giorgio Agnisola, Gioia di vivere. Lettere e scritti sull’arte, p. 68
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
L'articolo contiene una gallery fotografica.
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci












