2023-04-08
«Mascherine in ospedale inefficaci». Adesso Schillaci rinunci alla proroga
Uno studio inglese mostra che, con Omicron, indossare i bavagli in corsia non riduce i contagi. Un risultato coerente con molte analisi simili. Il ministro ne tenga conto: a fine mese dovrà decidere se rinnovare l’obbligo.Manca poco al 30 aprile, data in cui dovrebbe cessare l’obbligo di indossare la mascherina negli ospedali, nelle Rsa, negli studi medici e nelle strutture sanitarie italiane. Ancora non è noto se il ministro della Salute, Orazio Schillaci, deciderà di lasciar cadere l’obbligo come previsto o, invece, opterà per una proroga, come già fatto a ottobre, quando decise di prolungarlo dino ad aprile 2023 «per una forma di rispetto verso i pazienti più deboli». È invece noto che, al di là degli apprezzabili convenevoli, le evidenze scientifiche per l’ennesima volta confermano che l’efficacia delle mascherine in comunità e negli ospedali non è dimostrata. Lo sostiene l’ultimo studio pubblicato da alcuni ricercatori inglesi su Medscape Uk, che sarà presentato il 15 aprile a Copenhagen in occasione del prossimo congresso Eccmid (European congress of clinical microbiology & infectious diseases). Gli scienziati britannici del National health system (Nhs) hanno analizzato, in un grande ospedale del Sud Ovest di Londra, i dati raccolti sull’infezione nosocomiale da Sars Cov-2 per un periodo di 40 settimane tra il 4 dicembre 2021, quando Omicron è diventata dominante, e il 10 settembre 2022, quando è stato revocato l’obbligo di tampone molecolare al momento del ricovero. Lo studio è interessante perché diviso in due fasi: la prima (dal 4 dicembre 2021 al 1 giugno 2022) copre il periodo in cui, nel Regno Unito, personale e visitatori erano obbligati a indossare la mascherina in ospedale. La seconda fase (dal 2 giugno 2022 al 10 settembre 2022) si riferisce invece al periodo in cui l’obbligo di mascherina negli ospedali britannici non era più in vigore. La conclusione cui giunge il report è tombale: «Nessuna variazione nei tassi d’infezione da Covid». Indossare la mascherina ha avuto poco impatto sulla trasmissione di Omicron negli ospedali, gli autori parlano chiaramente di «rapporto rischio-beneficio discutibile». Nessuno stupore, considerando che tutte le evidenze scientifiche attendibili - non le aneddotiche interviste telefoniche fatte dai Cdc americani, per intenderci - dicono da sempre, e da prima della pandemia, che l’utilizzo in comunità delle mascherine non è associato a nessuna differenza dei tassi d’infezione da Sars-Cov-2 e neanche da altri virus delle vie respiratorie. Lo dice lo studio randomizzato Danmask e lo dice lo studio, un po’ meno potente, effettuato in Bangladesh. A febbraio è uscita anche una revisione Cochrane (massimo riferimento scientifico) che include 11 nuovi studi randomizzati (Rct) e cluster-Rct; dieci studi sono stati condotti in comunità e due studi nelle strutture sanitarie. I risultati sono sempre gli stessi, ma vale la pena ribadirli: indossare una mascherina fa poca o nessuna differenza rispetto al rischio d’infezione da Sars-Cov-2, anche nei setting ospedalieri, piaccia o meno ai feticisti della mascherina à tout prix. C’è una ragione per la quale la mascherina dà un’illusione protettiva che non corrisponde a efficacia: sostanzialmente un uso corretto della mascherina è altamente improbabile se non impossibile, anche (e forse soprattutto) in ospedale. La procedura standard nelle strutture sanitarie è - sarebbe - quella del fit test: dura 45 minuti e prevede, ad esempio, che l’operatore sia perfettamente sbarbato prima di indossare la Ffp2. Siccome questo tipo di mascherina è spesso considerata poco confortevole per un utilizzo continuato, indossarle in maniera non appropriata - dicono le evidenze - può portare a una contaminazione della faccia non percepita, eliminando di conseguenza ogni potenziale beneficio. Insomma: l’efficacia è soggetta a molte condizioni che non coesistono quasi mai.È per questo che, già prima della pandemia, l’uso delle mascherine non è mai stato reso obbligatorio, neanche negli ospedali: un utilizzo appropriato nella vita reale è velleitario, il fit test andrebbe fatto ogni 4 ore, e ipotizzare che un operatore sanitario, nel trambusto del lavoro in ospedale, possa concedersi 45 minuti di tempo ogni 4 ore per indossarla correttamente è puramente illusorio. Non a caso, nei manuali pandemici l’uso della mascherina non è mai stato incluso, perché le evidenze sono sempre andate tutte nella stessa direzione: l’utilizzo della mascherina in comunità non ha alcun effetto misurabile sulla diffusione del virus.L’unico ambiente ospedaliero in cui si indossa la mascherina (chirurgica) è la sala operatoria, ma l’obiettivo non è mai stato quello di proteggere il paziente o l’operatore dalle infezioni virali, quanto quello di proteggere il campo operatorio dal chirurgo che ci parla sopra. Esistono perfino delle Cochrane metareview che hanno comparato il tasso di infezione del sito operatorio in pazienti operati da chirurghi senza mascherina con quello in pazienti operati con mascherina, e non hanno trovato differenze. È per queste evidenze che un’eventuale decisione del ministro Schillaci di prorogare la scadenza dell’obbligo oltre il 30 aprile sarebbe inutile quanto inopportuna, considerando che l’obbligo di mascherina in ospedale, all’estero, è stato revocato quasi ovunque.
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
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