2020-04-25
Maria Antonietta, regina solo nella morte
Maria Antonietta (Wikimedia Commons)
Frivola e intrigante, insofferente all'etichetta di Versailles, la figlia di Maria Teresa venne sempre considerata «l'austriaca». Non capì il mutare dei tempi e condusse una vita dissipata, dando però prova di temperamento all'approssimarsi del patibolo.Après moi, le dèluge. «Dopo di me, il diluvio». Secondo la tradizione, questa frase venne pronunciata dal re di Francia Luigi XV, per sintetizzare l'atmosfera che si respirava verso la fine del suo regno ed esprimere i cupi presentimenti che avvolgevano il futuro. Non che lui stesso fosse esente da responsabilità. Chiamato all'inizio le Bien-Aimé, il Beneamato, Luigi XV aveva finito per rendersi insopportabile ai francesi per il suo immobilismo, l'incapacità di decidere e modernizzare il Paese, l'inidoneità ad affrontare i nodi, il sostanziale disinteresse per la difficile situazione economica e la crisi sociale. Era stato lui, però, ad acconsentire all'alleanza con l'Austria di Maria Teresa, suggellata dal matrimonio fra la penultima figlia dell'imperatrice, Maria Antonia, e il delfino di Francia Luigi Augusto.E così, il 21 aprile 1770, la carovana che deve condurre la quindicenne delfina nella sua nuova patria si muove da Vienna. Il viaggio è un susseguirsi di feste, cerimonie, ricevimenti, incontri, archi di trionfo. Forse, la fanciulla pensa che la vita sarà sempre così, un avvicendarsi di doni non meritati e non guadagnati, una serie di regalie elargite dal destino senza chiedere nulla in cambio, se non di rappresentare con grazia il proprio ruolo. Non sa e non immagina che a un certo punto le verrà presentato il conto.Arrivata in Francia, sposato il timido, economo e impacciato delfino - che non sarà in grado di consumare il matrimonio per anni, suscitando un vespaio di chiacchiere e intrighi -l'affascinante Maria Antonietta (come la chiamano ora) è insofferente all'etichetta di Versailles, si annoia con quella nobiltà troppo ligia al cerimoniale. Non prova neppure interesse per la classe più innovatrice, la borghesia, non si sofferma ad approfondire i fermenti intellettuali del Secolo dei Lumi; tanto meno si occupa delle condizioni del popolo. Non ha intenzione di visitare la Francia, come aveva fatto a metà Cinquecento Caterina de' Medici con i figli e la corte: per tutto il periodo in cui regnerà, la discendente degli Asburgo non farà altro che «girare in tondo» e a vuoto, limitandosi al nevrotico tour dei castelli intorno a Parigi. Irrequieta, incapace di disciplina e concentrazione, incolta, alla ricerca di perenne divertimento, la delfina non è tuttavia cattiva, anzi ha un animo gentile, uno spirito vivace e pronto, una certa intelligenza e rapidità di comprensione. Avrebbe bisogno di una mano ferma a formarla e guidarla, ma non sono suo marito, né Luigi XV, a poterlo fare. Il primo è debole, anche se coscienzioso e perbene; non avrà mai la capacità di comprendere gli avvenimenti, guidare il cambiamento e affrontare le tempeste. Il secondo è ormai un uomo indifferente e cinico, dedito solo alle amanti e alla caccia. E così, colei che verrà chiamata con astio l'Austriaca, si mette a condurre una vita dissipata e inutile. Le uniche cose che sembrano interessarla sono la moda, i vestiti costosi e le crinoline gigantesche inventate per lei da Rose Bertin, le pettinature stravaganti create dal parrucchiere Léonard, i gioielli, i balli, le recite, le mascherate. La futura sovrana è il simbolo di quel mondo ristretto e apparentemente leggiadro, che si ritrova nei dipinti di Jean-Honoré Fragonard, François Boucher e Antoine Watteau; nelle rose e conchiglie a profusione, nei colori pastello, nei «capricci», nelle statuine, nelle damine e i pastorelli, le nuvole rosa e gli angioletti con volti da putti. In una parola, nel Rococò, stile sfarzoso e lieve, tutto ondulazioni e arabeschi. La «dolce vita» del Settecento, certo, le si confà. Scrive Stefan Zweig nella biografia omonima: «Vivere per i sensi, non vivere sensatamente; ecco la morale di tutta una generazione, la morale del Dixuitième. Il destino l'ha posta simbolica regina di questo secolo, perché con esso viva la sua vita e muoia la sua morte». A ben guardare, però, il Settecento è un periodo denso di novità e contraddizioni: da una parte emergono i philosophes, gli intellettuali, si forma l'opinione pubblica, si condensano i fermenti libertari e ugualitari che porteranno agli eventi successivi, si rafforzano i salotti e prende ancor più piede la conversazione; dall'altra «l'arte di vivere» di una ristretta élite arriva allo zenit (sempre che si sia nati dalla parte giusta). Non a caso, Charles-Maurice de Talleyrand sospirerà, molti anni dopo: «Chi non ha vissuto gli anni vicini al 1789 non sa cosa sia la dolcezza di vivere». Pur tuttavia, esiste il rovescio della medaglia: dietro il lusso e la raffinatezza del «sistema della corte», c'è un mondo stantio e pieno di parassiti, troppi sono gli inetti e gli incapaci che godono di ingiuste rendite di posizione, il numero di cariche concesse per non far nulla amplia il deficit già colossale. Il fatto di essere diventata regina alla morte di Luigi XV, nel maggio 1774, non cambia il train-de-vie di Maria Antonietta: inutilmente da Vienna Maria Teresa la subissa di lettere. «Dovete assolutamente occuparvi di cose serie… Non fate spese straordinarie… la vostra sorte felice potrebbe mutare, e voi potreste cadere, solo per colpa vostra, nelle più gravi sventure». Anche il fratello Giuseppe la mette in guardia con parole dal sapore profetico: «La rivoluzione sarà spietata, se non la preparerete». Noncurante, lei spende somme enormi per il palazzo del Trianon, che la isola dalla corte e dai nobili; si diletta con una artefatta vita bucolica; interviene a sproposito nelle scelte politiche e finanziarie. Non si è resa conto che la situazione economica è drammatica e le carestie si susseguono. Se la regina non ha mai pronunciato la sciocca frase «Il popolo non ha pane? Dategli le brioches», ha agito comunque con leggerezza e superficialità, tanto da essere additata come la responsabile di ogni male e essere soprannominata Madame Deficit. Un evento epocale, la proclamazione dell'indipendenza delle colonie inglesi del Nord America dalla madrepatria, avvenuta il 4 luglio 1776, non scuote i sovrani di Francia, ancorché la corona abbia provveduto a mandare appoggi ai ribelli. Solo la nascita della loro prima figlia alla fine del 1778, e poi l'arrivo del delfino, sembra portare un po' di riflessività, ristabilire una certa armonia. Ma il tempo è contato: per ragioni diverse, né Luigi né Maria Antonietta hanno la forza, la pazienza, il fiuto per riguadagnare l'appoggio dei sudditi. Lo «scandalo della collana» del 1785 - la regina è innocente, ma finirà per essere considerata colpevole dall'opinione pubblica, «un'Istituzione più sovrana del sovrano», come dicono alcuni storici - i libelli infamanti, la «macchina del fango», le invidie di cui sono oggetto i reali anche nella loro famiglia, si sommano a una serie di errori e mancate assunzioni di responsabilità. Finché si giunge alla convocazione degli Stati Generali per il maggio 1789. Sulle prime, certo, non si sa se la monarchia sarà in grado o meno «di domare il mostro che ha imprudentemente liberato dalle catene», come dice Louis Madelin. È presto evidente, tuttavia, che Luigi XVI non è in grado di dominare gli eventi né di ristabilire la propria autorità. Dopo la presa della Bastiglia, le cose degenerano a velocità impressionante, la monarchia millenaria si accartoccia su stessa, l'Ancien Régime - parola inventata dopo - finisce, i sovrani sono costretti a lasciare Versailles e tornare a Parigi. In quel drammatico crepuscolo, Maria Antonietta dà prova di temperamento e forza. Vuole raddrizzare la situazione, si allea con il tribuno della Rivoluzione Honoré Riqueti de Mirabeau (che però muore), cerca aiuti all'estero, tenta la fuga con la famiglia, culminata tragicamente a Varenne. Nessuno dei suoi parenti austriaci la aiuta, e ancor meno i fratelli del marito, che già sperano di salire al trono. Dalla bocca della figlia di Maria Teresa escono allora parole inaspettate: «è nelle disgrazie che si scopre veramente ciò che ciascuno è». Purtroppo per lei, è troppo tardi. Maximilien de Robespierre, quell'Incorruttibile innamorato solo della propria dogmatica virtù, chiede che la Convenzione dichiari l'ex sovrano «colpevole di tradimento verso la Nazione francese». Il 21 gennaio 1793 «Luigi Capeto» viene ghigliottinato; in ottobre è la moglie a salire al patibolo. Solo nella fine, Maria Antonietta si è dimostrata all'altezza del ruolo che la vita le ha riservato.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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