2022-10-17
        Marcello Foa: «Dietro tutte le crisi degli ultimi anni si delinea l’avanzata del pensiero unico»
    
 
L’ex presidente Rai: «Tecniche di condizionamento e settarismo degli enti internazionali con Covid, Ucraina, ecologismo, gender».«Durante la pandemia abbiamo assistito all’ennesimo trionfo del pensiero unico. Dietro le grandi crisi degli ultimi anni si delinea un sistema: ma per vederlo occorre umiltà e desiderio di approfondire, senza partito preso». Dal Covid all’Ucraina, dalla sbornia ecologista agli eccessi delle teorie gender, Marcello Foa, giornalista ed ex presidente della Rai, approfondisce nel suo ultimo libro (Il sistema (in)visibile, Guerini e associati, già in ristampa) i motivi principali per cui - a suo dire - «non siamo più padroni del nostro destino, e non abbiamo occhi per vedere». Una disamina accurata e documentata dell’emergenza permanente di cui sono vestiti i nostri tempi. Dunque la crisi pandemica è stato l’ultimo palcoscenico di quello che lei chiama «sistema invisibile»? «Sicuramente sì, ci sono dei segnali ricorrenti. Da un lato il ricorso a tecniche di condizionamento già sperimentate in passato, e dall’altro la mancata obiettività degli organi di controllo sovranazionali. Mi riferisco alla favola della neutralità dell’Oms, ancora corrosa dai conflitti di interesse. Ma parlo anche dei vertici dell’Ema, presieduta dall’irlandese Emer Cooke, che prima era un importante manager della federazione europea delle industrie farmaceutiche. Questi problemi vanno affrontati non con mentalità scandalistica, ma con la consapevolezza che è nostro diritto avere a che fare con istituzioni super partes». Nel libro tira in ballo addirittura il Kgb sul Covid. Perché? «Perché l’abbinamento tra psicologia e comunicazione è da diversi decenni uno strumento per orientare le masse. Esaminando i documenti risalenti alla Guerra fredda emerge una continuità con le tecniche di condizionamento attitudinale usate dai servizi segreti sovietici durante la guerra fredda. E ne subiamo le conseguenze». Cioè? «Una dirigente di Pfizer, Janine Small, davanti ai parlamentari europei, rivela che in azienda sapevano che i vaccini non fermavano il contagio, e che nessun test è mai stato richiesto sulla prevenzione dell’infezione. Dinanzi a queste rivelazioni, ci si aspetta che l’opinione pubblica reagisca. Esiga verità. Eppure non ci sono state grandi scosse. L’opinione pubblica sembra non voler prendere atto della realtà, secondo schemi psicologici intuiti per primo dal Kgb».Come se lo spiega?«È la conseguenza dell’applicazione di tecniche diventate universali. Per mesi è stata impressa nel pubblico una convinzione intima e per questo ferrea facendo leva su antiche paure profonde, come il terrore della peste. Si agisce su una memoria collettiva radicata, trasmessa attraverso le generazioni. Così facendo, è possibile far attecchire qualsiasi messaggio allarmistico. E, come un riflesso condizionato, le persone tenderanno a respingere qualsiasi notizia che contraddice la paura dominante».Parlando di «sistema invisibile» non si rischia di danzare sul filo del complottismo? «Al contrario. Rifiuto con forza le tesi complottistiche. Chiariamo subito: non credo a una “Spectre” che lavora nell’ombra. Il sistema è basato in realtà su una coincidenza di interessi tra più mondi: politico, industriale, finanziario, militare, mediatico. Tutti ne beneficiano e hanno pertanto buon gioco ad alimentarlo». Un prodotto della globalizzazione?«Certamente sì. Io sono da sempre un liberale e un convinto paladino del libero scambio, ma il problema è che la globalizzazione non si esprime solo in termini economici. Me ne sono accorto anni fa, quando facevo l’inviato in Cina, Stati Uniti, Medio Oriente. Passavo il confine, e mi sembrava di stare nello stesso Paese. Da lì sono arrivate le prime perplessità, che mi porto dentro da anni, ho cercato delle risposte che do in questo libro». Quali perplessità?«L’obiettivo profondo della globalizzazione è esportare uno stile di vita unificato in tutto il mondo, per favorire uno sviluppo monodirezionale dei mercati e delle relative strategie commerciali. Aspetti economici, istituzionali, sociologici, digitali sono in effetti collegati. Se li prendi uno per volta non capisci il contesto, ma considerandoli in sequenza, con uno sforzo di analisi, ecco che il sistema diventa rintracciabile». Facciamo un esempio? «Il sistema in cui viviamo tende a omologare disomologando. Vale a dire che per diffondere un nuovo stile di vita deve disgregare quelli vecchi. Non parlo di eminenze grigie, ma di grandi dinamiche di lungo periodo. Quindi, se questo è l’obiettivo, tutti i fenomeni che tendono a sradicare le identità dei popoli e degli individui vengono sistematicamente incoraggiati». Si riferisce per esempio alle nuove politiche gender friendly?«Resto convinto che ognuno debba vivere la sua vita sessuale come crede, per una questione di civiltà. E per civiltà occorre promuovere la tolleranza. Ma quando certe teorie vengono estremizzate, portate all’eccesso, in qualche caso fino a invadere le scuole, si sfocia nella strumentalizzazione. Si intimidisce la maggioranza, e si accentua il fenomeno di frammentazione dei valori e delle identità, facendo crescere nuove generazioni prive di solidi punti di riferimento valoriali. Con il risultato di favorire lo sviluppo di tante micro-comunità: piccole, fragili e dunque manipolabili». Se parliamo di estremizzazioni, nel vangelo dominante inserisce anche l’ubriacatura green, che per alcuni è alla base del disarmo energetico europeo di cui paghiamo le conseguenze? «Anche questa ideologia, come le altre, nasce fuori dai governi e dai parlamenti. E questo perché non siamo più in democrazia, ma nemmeno in dittatura: viviamo in uno stato ibrido, dove le grandi decisioni vengono prese altrove, solitamente da persone che non hanno alcuna responsabilità politica, e che non rispondono dei propri errori. Ma le cui decisioni, spesso confuse e contraddittorie, hanno ricadute su larga scala». Dunque?«E dunque,tornando alla “svolta ecologista”: com’è possibile insistere con politiche insostenibili, nel mezzo di una crisi energetica epocale, mentre anche gli esperti, tra cui un consigliere di Barack Obama, stanno smontando l’impalcatura green in cui siamo immersi?».Insiste molto sull’armamentario psicosociale, che procede per «diktat» e «parole d’ordine». Il linguaggio svolge un ruolo importantissimo, in questi fenomeni? «La comunicazione è fondamentale, e si basa sui meccanismi all’origine del conformismo. Non parlo delle veline che nei regimi dittatoriali venivano trasmesse agli organi di stampa. È molto più complicato di così. È innegabile che nel panorama mediatico degli ultimi anni sia forte la tendenza al pensiero unico. Si possono toccare certi argomenti solo se la pensi in un certo modo: e il dibattito conseguente si sviluppa solo all’interno di paletti strettissimi. Sono condizionamenti implacabili, e spesso gli operatori dell’informazione finiscono per esserne vittime inconsapevoli, perché mancano dell’umiltà per comprendere le tecniche di condizionamento dei media. Sono propagatori di pensiero unico, e neanche se ne accorgono». Un sistema le cui ombre s’intravedono anche nella guerra in Ucraina?«Putin ha commesso un errore colossale a invadere. D’altro canto, come dice Henry Kissinger, risulta strategicamente incomprensibile un Occidente che isola la Russia consegnandola alla Cina. Eppure l’allontanamento dura da 15 anni, e questo in termini storici e di prospettiva lo considero un errore che può portare a conseguenze estreme».Parla dell’escalation nucleare? I vertici Nato continuano a evocare «conseguenze senza precedenti» nel caso estremo di un ricorso russo ad armi proibite.«È sconcertante come il rischio nucleare in questi giorni sia quasi banalizzato, e questa credo sia una conseguenza di politiche perentorie e impulsive. Si è smarrita la saggezza. Anche nei periodi più bui della guerra fredda, come la crisi dei missili di Cuba, i leader sapevano fermarsi 10 metri prima dell’ultima linea rossa. Oggi l’impressione è che nessuno voglia davvero fermarsi, speculando che all’ultimo minuto sarà l’altro a cedere. E il rischio che la crisi si avviti verso conseguenze impensabili che nessuno vuole diventa ogni giorno più realistico». Scrive che in tutti i Paesi occidentali è in atto uno scollamento tra la volontà popolare espressa con il voto e la reale capacità di agire dei governi. Come se ne esce? «In realtà, alla fine, sono comunque fiducioso. Le crisi che abbiamo vissuto negli ultimi anni hanno permesso un primo risveglio della coscienza democratica. È forse l’unico lato positivo delle sofferenze patite negli ultimi tempi: sempre più cittadini, al di là delle barriere politiche, stanno rompendo l’incantesimo del “sistema”. Lo stesso dato dell’astensione alle ultime politiche, se da un lato è certamente drammatico, dall’altro è significativo perché esiste una corrente, forse addirittura già maggioritaria, che esige un cambiamento. Mi piace pensare che possa essere una base per battersi, in maniera intelligente, affinché la democrazia torni a essere vibrante e, soprattutto, autentica».