
Mentre le bande di giovani nordafricani scorrazzano nelle città, artisti e media ne parlano come se fossero una innocua sottocultura. Dimenticano che anche all’estero si è iniziato con il teppismo di strada e si è arrivati a vere enclavi etniche.«In passato c’erano i paninari, gli hipster, i truzzi, gli emo; oggi, invece, è il tempo dei maranza». Prima di Fabio Rovazzi e della sua hit omonima pubblicizzata con la discutibile trovata del finto furto del cellulare, ci aveva pensato la ben più autorevole rivista dell’Accademia della Crusca a bagatellizzare i predoni da movida. Se non puoi semplicemente negare i problemi sociali, mascherali dietro una patina di simpatia pop. Parliamo delle gang etniche di giovanissimi nordafricani che spadroneggiano nelle città, soprattutto del Centro Nord. Sull’origine del termine c’è dibattito. C’è chi dice che sia la fusione tra marocchino e zanza, piccolo ladruncolo in milanese. La Crusca ipotizza invece una probabile radice nel meridionale maranza, «melanzana», con possibile sovrapposizione di voci come marakesch o marocco. Se la storia dell’etichetta tradisce una certa diffidenza, oggi pare invece palese il tentativo di voler fare dei maranza una sottocultura, una moda, un fenomeno di costume, una pittoresca espressione dell’esuberanza giovanile. Una cosa magari pacchiana, chiassosa, volgare, come i coatti immortalati da Carlo Verdone, ma come questi ultimi alla fin fine simpatici, guasconi, autentici. Si riconduce tutto al già noto e all’inoffensivo, al conflitto tra rampolli di buona famiglia e arrabbiati delle borgate, come in un cinepanettone. Ma il salto di qualità in termini di violenza e le esplicite rivendicazioni etniche ci portano ben lontano dalle schermaglie in vernacolo alla Vacanze di Natale.Eppure la strategia della banalizzazione va avanti a ritmo di panzer. In un articolo dell’anno scorso, il Corriere della Sera ne faceva addirittura una questione di stile: «Gli ultimi arrivati, moda dell’estate 2023, sono gli occhialoni da ciclista. Lenti a specchio dai colori cangianti. D’inverno si passa al “balaclava”, passamontagna leggero. L’abbinata però è sempre la stessa, con marsupio (rigorosamente a tracolla sul petto) o meglio ancora la sacoche, il borsello. E poi scarpe Nike Tn squalo e in versione seral/estiva ciabattoni con rigoroso calzino a contrasto. La moda nasce dalla strada e oggi - dopo che anche Vogue s’è occupata del fenomeno “maranza” - molte griffe del lusso sfoggiano capi ispirati allo street style di questi ragazzi di prima e seconda generazione arrivati dal Nordafrica». Bontà sua, il Corriere riconosceva che «sono spesso l’incubo di negozianti, baristi e, soprattutto, ragazzini» e che «sono stati protagonisti di assalti, pestaggi e rapine a coetanei». Ma riconduceva tutto a «storie di integrazione difficile».Stupisce che l’epoca che ha dichiarato guerra alla mascolinità tossica e che glorifica la fluidità dei generi finisca per legittimare queste sacche di machismo clanico, queste gang innervate di etologie premoderne, territoriali, aggressive, gerarchiche. Come è possibile che i vendicatori del maschile sovraesteso, i guerriglieri degli asterischi, finiscano per stendere il tappeto rosso di fronte a questi caid con il marsupio? La spiegazione sta probabilmente nella vera malattia morale della casta intellettuale italiana: il pasolinismo. Ovvero quella indulgenza morbosa per un qualsiasi proletariato, che cela in realtà uno sguardo coloniale e paternalistico, quando non torbido. La virilità e l’aggressività che nell’autoctono sono presagio della Bestia bruna eternamente ritornante, nella gioventù immigrata diventano segno di autenticità sociale, di spontaneità da subalterni. Nella sua «Amaca» post 25 aprile, deprecando il «sequestro della piazza», parole sue, da parte dei militanti filo palestinesi, Michele Serra non ha potuto fare a meno di assolvere i fedayyin da McDonald’s che hanno preso a sberle la componente filo israeliana: «Del 25 aprile non fregava nulla (manco sanno cos’è) ai ragazzini arabi che si sono lanciati contro la Brigata Ebraica al suo ingresso in piazza. Con quello che accade a Gaza, la loro radicalizzazione è quasi inevitabile, ancorché tragica. Cresciuti nella segregazione, vivranno di odio e di vendetta». Ma come? Improvvisamente, i «nuovi italiani di fatto» cresciuti qui e «amici dei nostri figli», ma privati dei documenti da uno Stato torturatore, ora vengono raccontati come alieni: non sanno cos’è il 25 aprile e vengono dipinti come appena usciti da una bidonville di Rafah, quando al massimo vengono da Tor Pignattara, da Porta Palazzo, da Baggio. E se ti rubano il cellulare fracassandoti di botte, ci vuole fantasia per dare la colpa a Netanyahu. Il dispositivo vittimario serve per anestetizzare l’elemento perturbante, per irregimentarlo in uno schema di comodo, in una narrazione redentrice. E se poi questo non avvenisse? E se i nuovi «dannati della terra» in quello schema e in quella narrazione che fanno fare sogni bagnati nei dipartimenti di studi post coloniali non ci volessero stare?In Francia, per esempio, è andata proprio così, ma il dibattito nostrano avviene in un vuoto storico, come se nessuno avesse mai sperimentato prima quello che ci accade adesso. Eppure, Oltralpe ci sono passati per davvero e sarebbe istruttivo studiarlo. Dalle aggressioni in metro per un cellulare si è passati alle coltellate. Dai piccoli giri di spaccio nelle banlieue si è passati alle postazioni da difendere con i kalashnikov. Dalla violenza per noia si è passati alla violenza politica e religiosa. Molti dei terroristi che hanno insanguinato le strade d’Europa negli ultimi anni hanno iniziato come perdigiorno di periferia: giornate intere passate tra hashish e Playstation, tute di marca e qualche furtarello. Fino a che qualcuno non ti fa vedere sul cellulare un video di bombardamenti in Siria (o a Gaza?) e allora nella testa scatta qualcosa. Cominci a sviluppare solidarietà alternative in base alla fede, alla lingua, alla razza, con buona pace dei cosmopoliti bianchi che ti dedicano gli editoriali. Tutto già visto, un copione già letto. Ma vuoi mettere l’eleganza del balaclava sulla tuta acetata?
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