2025-01-04
In pensione prima, calcolando quella privata
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La manovra introduce una novità rivoluzionaria per il sistema italiano. Sarà possibile l’uscita anticipata cumulando la rendita Inps con quella dei fondi complementari per raggiungere la soglia minima di 1.607 euro, pari a tre volte la minima.Per il momento è un piccolo passo. Ma potrebbe essere l’avvio di una lunga marcia per alleggerire i conti dell’Inps e rendere le pensioni più dignitose attraverso il rilancio dei fondi integrativi. Come effetto collaterale, ci sarebbero gli effetti positivi sui mercati finanziari e in particolare la Borsa che ha sempre sofferto per la scarsa presenza di investitori «pazienti» come i fondi pensione. I gestori dovrebbero impegnarsi ancora di più per alzare i rendimenti del portafoglio e garantire trattamenti più ricchi agli iscritti. Si tratta della riforma contenuta nella legge di Bilancio in vigore da tre giorni che pone al centro la flessibilità in uscita. Consente ai lavoratori con almeno 64 anni di età e 25 di contribuzione di anticipare l’uscita. Una opportunità consentita dalla combinazione tra il sistema obbligatorio e quello complementare. Una novità assoluta per l’Italia dove il secondo pilastro, da affiancare all’assegno Inps, è sempre rimasto nell’ombra. Un modo anche per adeguare il sistema italiano agli standard internazionali dove le erogazioni dei fondi rappresentano una componente essenziale dei vitalizi.Di questa proposta aveva parlato a La Verità il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, sottolineando l’importanza dell’intervento poi entrato in manovra attraverso un emendamento presentato dalla leghista Tiziana Nisini: «Per la prima volta nella previdenza italiana» aveva spiegato il sottosegretario che è anche vice segretario del Carroccio «si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni». Una soluzione che, secondo Durigon, risponde alle necessità di una fascia di lavoratori che rischiano di trovarsi con pensioni insufficienti a causa dell’adozione del sistema interamente contributivo.Questa riforma introduce una possibilità concreta per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 di utilizzare la rendita della propria pensione integrativa per raggiungere il valore minimo necessario all’uscita anticipata. Con un importo pari a tre volte l’assegno sociale, che corrisponde a circa 1.607 euro al mese, i lavoratori potranno così anticipare l’uscita, purché abbiano maturato almeno 25 anni di versamenti.Il cuore del provvedimento risiede nel dare accesso al pensionamento a un numero maggiore di persone, in particolare a chi rischia di avere una pensione «povera». Durigon ha messo in evidenza come questo emendamento affronti il problema delle pensioni basse, destinato ad aumentare con il prevalere del sistema contributivo. «Con il provvedimento si interviene concretamente sul problema delle pensioni povere», ha ribadito, facendo riferimento alla crescente disparità tra quanto versato e quanto si percepirà in futuro.Un altro aspetto fondamentale riguarda l'estensione della riforma: sebbene attualmente l’accesso a questo canale di pensionamento anticipato sia limitato a chi ha versato interamente al sistema contributivo, la Lega ha già in mente di ampliare la misura nel 2026, includendo anche i lavoratori con il regime misto. L’obiettivo è quello di allargare il bacino di utenza a circa 80.000 persone.L’emendamento firmato da Tiziana Nisini rappresenta dunque solo uno dei primi passi verso una riforma più ampia che mira a garantire un futuro più sereno alle generazioni più giovani, con un sistema pensionistico che, tra sfide e cambiamenti, si evolve per rispondere alle reali necessità della società. Ma soprattutto punta a restituire centralità al sistema dei fondi integrativi che negli anni hanno dovuto subire gli attacchi della sinistra. Rispetto al testo messo a punto vent’anni fa da Alberto Brambilla insieme a Roberto Maroni sono cambiate molte cose e tutto in peggio. E’ sparito il fondo di garanzia che permetteva alle imprese più piccole di ottenere dal sistema bancario la liquidità che veniva trasferita ai fondi e, soprattutto, è stata aumentata la tassazione. I fondi pensioni, a differenza delle polizze vita, pagano le tasse annualmente e non al momento del riscatto.Il vero problema, però, è legato ai salari. Alberto Brambilla, massimo esperto italiano in tema di pensioni, calcola che per arrivare alla soglia indicata dalla riforma è necessario un reddito medio di 55.000 euro l’anno nel periodo di contribuzione. Con le attuali buste paga si tratta di un traguardo non semplice da raggiungere.