
Dopo Volkswagen, anche l’altro gigante dell’auto vede i margini ridursi di un terzo. Male le vendite soprattutto negli Usa. Stabili i numeri della controllata Lamborghini.Nella nuova geopolitica dei dazi il primo settore a pagare pegno è l’automotive. Ma non quello americano, naturalmente. Il funerale si celebra in Europa. La prima vittima? L’auto tedesca, con Audi in prima fila: fazzoletto per asciugare le lacrime e budget rivisto al ribasso. Con le dogane al 15% tutti i conti da rifare con la calcolatrice in una mano e il listino prezzi nell’altra.La prima a lanciare l’allarme è stata Sigrid de Vries, direttore generale dell’Acea (Associazione dei costruttori europei): «I dazi avranno un impatto negativo sul settore, non solo nell’Ue, ma anche negli Stati Uniti». Peccato che dall’altra parte dell’Atlantico stiano già stappando lo spumante. Una guerra commerciale fatta con l’eleganza di una rissa di condominio, ma con le conseguenze di una crisi industriale.La Germania, un tempo locomotiva dell’automotive europeo, oggi è in un affanno. Gli Stati Uniti erano il primo mercato d’esportazione per l’industria tedesca (13,1%). Ma ora ogni container pieno di Audi, Bmw o Porsche è accompagnato da una fattura aggiuntiva a sei zeri. La presidente della potente federazione dei costruttori tedeschi, Hildegard Müller, ha fatto due conti rapidi e ha lanciato la previsione: «I dazi costeranno miliardi ogni anno». Perché una parte della tassa doganale dovrà essere assorbita dal conto economico impattando sugli utili. Se c’è un marchio che ha preso la mazzata peggiore, è Audi. Non ha stabilimenti negli Usa, vende meno in Cina (-10%) e negli Usa (-9%), e ha appena riscritto tutte le stime al ribasso. Altro che «Vorsprung durch Technik»: qui si fa «Vorsprung durch tagli» (Altro che progresso attraverso la tecnologia: qui il progresso si misura in tagli).Nel primo semestre 2025 consegne globali Audi: -5,9% (-9% in Usa); utile operativo: dimezzato, da 2 a 1,1 miliardi; utile netto ridotto di un terzo (-37%) A livello finanziario Audi ha rivisto al ribasso le stime 2025 e si aspetta ora ricavi fra 65-70 miliardi (da 67,5-72,5 miliardi), un margine operativo del 5-7% (7-9%) e un flusso di cassa netto di 2,5-3,5 miliardi di euro A livello di singoli marchi Bentley ha registrato un calo delle consegne dell’11% a 4.876 auto con un risultato operativo in calo del 70% a 81 milioni di euro. Lamborghini ha chiuso il semestre con ricavi e consegne stabili a 1,6 miliardi e 5.681 unità. Ducati ha registrato un calo dei ricavi a 558 milioni (-7,9%) e del risultato operativo a 53 milioni (-42%) A Ingolstadt si consolano con un +32% di vendite elettriche (Q4 e Q6 e-tron), ma il resto è un bollettino di guerra. Sperano che la Formula 1 nel 2026 porti gloria ora che a guidare le operazioni è Mattia Binotto, licenziato dalla Ferrari. Il capo della Bmw Oliver Zipse ha suggerito che l’Europa elimini i dazi doganali sull’importazione di veicoli europei fabbricati negli Stati Uniti. L’azienda ha infatti esportato 153.000 veicoli in Usa nel 2024, ma ha anche importato in Europa 92.000 auto assemblate nei suoi impianti americani. Mercedes si trova in una situazione simile. Anche Volkswagen risente dei dazi sulle auto prodotte in Messico e ha visto il suo risultato ridursi di 1,3 miliardi nel primo semestre. Ormai soffrono tutti: Volvo annuncia perdite pesanti nel secondo trimestre. Secondo l’esperto tedesco Ferdinand Dudenhöffer, se non si trova una soluzione, la crisi potrebbe far sparire fino a 70.000 posti di lavoro in Germania. Non solo operai delle linee di montaggio, ma anche fornitori di componenti, logistica, subappalti. Una catena di montaggio che rischia di diventare una catena alimentare, con i pesci grossi americani a mangiare i più piccoli europei.
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
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Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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