2018-11-20
«Maniero si è intortato Saviano. Non si può credere alle sue balle»
L'ex sodale della mala del Brenta: «Felicetto che dà lezioni di legalità, ma siamo impazziti? La realtà è che lui era un confidente delle forze dell'ordine. Faceva il doppio gioco e ha ancora un tesoro nascosto».«Felice Maniero non è più nessuno, è un piccolo imprenditore. E questo lo fa soffrire. Quale miglior modo, allora, per tornare alla ribalta di una intervista con Roberto Saviano? Una intervista che nessuno, con un cervello sano, può minimamente ritenere sincera e prendere in considerazione».Giampaolo Manca ha trascorso in carcere 37 dei suoi 64 anni, condannato per droga e associazione mafiosa e per triplice omicidio (quello dei fratelli Massimo e Maurizio Rizzi e di Franco Padovan). È stato uno dei protagonisti della «batteria dei veneziani» della mala del Brenta. Figlio di una ricca famiglia, commette il primo colpo a 13 anni quando ruba il motoscafo del panfilo di Onassis, diventando per tutti il «Doge». Manca, che oggi è in affidamento ai servizi sociali, conosce da una vita «Faccia d'angelo». Lo ha ascoltato, l'altra sera, nel corso della trasmissione Kings of crime su Nove, mentre spiegava all'autore di Gomorra la sua «ricetta per salvare l'Italia e l'economia. Dico io: lui che dà lezioni di legalità, ma siamo impazziti?».Perché però la sua parola dovrebbe valere e quella di Maniero no?«Chiarisco: la mia parola non è dettata dal rancore verso Felice, nonostante che, per le sue accuse, io sia stato condannato all'ergastolo (pena ridotta in appello a 28 anni, ndr). Non lo odio più, oggi parlo di lui solo per amore della verità».Dunque, l'intervista a Saviano per lei non va bene?«Maniero ha parlato di legalizzazione della droga, una cosa folle. Sapete che danno sarebbe per i ragazzini? Mai e dico mai droga libera. Felice è salito sul pulpito per autocelebrarsi, invece di andare a nascondersi per i danni che noi tutti abbiamo fatto. Dovrebbe chinare la testa e servire chi ha bisogno».E lei lo fa?«Sì, certo che lo faccio. Ho scritto un libro, All'inferno e ritorno, i cui proventi saranno destinati a un progetto per aiutare i ragazzi a rischio. Io ho ancora i rimorsi per quello che ho combinato».Lei però non ha mai collaborato con la giustizia.«Ho confessato quel che c'era da confessare. Ma il concetto di tradimento degli amici e della parola data non è una cosa che mi appartiene».Che cosa avrebbe dovuto dire Maniero alle telecamere e invece ha taciuto?«A un certo punto allude a rapporti coi servizi segreti. Faccia nomi e cognomi, allora. La realtà è che lui era un confidente delle forze dell'ordine. Faceva il doppio gioco».Come fa a sostenerlo?«Ascoltai l'allora colonnello Giampaolo Ganzer (futuro comandante del Ros, ndr) che, subito dopo l'assalto al treno Venezia-Milano, in cui perse la vita la povera Cristina Pavesi, andò a cercare Felice per avere delle notizie. E Felice gli fece i nomi di chi aveva partecipato alla rapina. Dopo un'ora e mezza, venni arrestato».Lei era colpevole?«No. Avevo solo riportato al gruppo la notizia della partenza di quel treno con 4-5 miliardi nel vagone blindato, nient'altro. Felice, invece, sì che c'era».Maniero ha svelato anche di aver trattato coi boss mafiosi da pari a pari«Mi viene da ridere. Se non avesse sostenuto questo suo ruolo di “mafioso", sarebbe stato sminuito e non avrebbe avuto accesso a certi benefici che la collaborazione con la giustizia gli ha garantito. Ai magistrati, per carità, andava benissimo questa storia. Non c'è alcuna prova che noi della mala del Brenta avessimo rapporti con la mafia siciliana, con la 'ndrangheta calabrese o con la camorra napoletana. Non me ne vogliano i magistrati dell'epoca, ma hanno dovuto capitolare davanti alle richieste di Felice. Maniero è scaltro, abile, e i giudici se li è messi tutti in tasca».Lui era il capo della vostra banda?«Assolutamente no, è una leggenda metropolitana. Se mi fossi pentito, sarei stato forse io il capo per i giornali. Noi siamo stati dei rapinatori, ripeto, non dei mafiosi. Siamo criminali con una storia delinquenziale, certo, ma pur sempre una storia. Eravamo “ribelli", non eravamo controllabili. A noi ci comandava nessuno. Maniero aveva la stessa quota di un bottino che avevo io. Il mio unico capo, all'epoca, era il diavolo».Che cosa avrebbe dovuto chiedergli Saviano e non l'ha fatto?«Dove ha conservato il suo tesoro. Gli hanno portato via le briciole, mi creda. Maniero ha maneggiato centinaia di miliardi, e sono ancora nascosti da qualche parte. Lui ha fatto questo ragionamento: mi tengo i soldi, chiedo la protezione allo Stato e mando in galera la gente che ha fatto reati con me. Noi tutti sappiamo benissimo che è andata così».Maniero ha chiesto scusa per l'omicidio della studentessa Cristina Pavesi, però.«Sì, dopo trent'anni. E per di più in tv. Io sono mesi che ho contatti con la zia di quella povera ragazza, e non l'ho mai pubblicizzato. Ho parlato con lei, ho spiegato la mia verità e le ho chiesto perdono. Non c'ero in quella rapina, ma mi sento responsabile moralmente per aver portato la notizia. Se non l'avessi fatto, forse non sarebbe accaduto. Felice non può chiedere perdono così, quasi come se fosse una cosa da nulla. Doveva farlo il giorno dopo. Chinarsi, piangere, come lui e noi abbiamo fatto piangere tanta gente, e pentirsi. Lui non si è pentito di nulla. Non si è fatto la galera e continua a fare la bella vita».
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