2019-06-01
Manicomio Pd: prima vota i minibot poi insorge perché sono «l’anti euro»
I gialloblù sbloccano i debiti dello Stato verso le imprese. E l'ex ministro Pier Carlo Padoan fa approvare il documento ai dem. Dopo 36 ore la sinistra è nel panico e attacca sé stessa: «Chi li sostiene porta il Paese verso l'Italexit».Le anticipazioni della riposta di Giovanni Tria alla Commissione creano un caso. Il vicepremier grillino: «Giù le mani da quota 100 e reddito». Il Mef e Giuseppe Conte smentiscono: «È un fake».Lo speciale contiene due articoliMinibot(te) da orbi. Dove gli orbi, con rispetto parlando, sono quei parlamentari di opposizione che da 36 ore ululano selvaggiamente contro ciò che loro stessi - senza leggere o senza capire - hanno contribuito ad approvare. Facciamo un passo indietro. Martedì scorso, con mozione trasversale, la Camera dei deputati ha votato un documento che impegna il governo «a sbloccare i pagamenti delle pubbliche amministrazioni verso professionisti e imprese», agevolando «il meccanismo di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari» tramite «la cartolarizzazione di crediti fiscali anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio». Con prontezza, La Verità (l'altro ieri, con un articolo di Fabio Dragoni dal titolo «Mozione di tutto il Parlamento per introdurre i minibot») aveva segnalato la circostanza, offrendo due spiegazioni alternative. La prima: «L'esito delle elezioni del 26 maggio potrebbe aver indotto anche il Pd a sposare questa iniziativa». La seconda: «Oppure, più semplicemente, i deputati del Nazareno non capiscono ciò che approvano». Da un giorno e mezzo sappiamo che la spiegazione più sconfortante, cioè la seconda, è quella vera. Scorrendo i voti favorevoli nei tabulati della Camera, ci sarebbe da sganasciarsi dal ridere, se non parlassimo di cose serie: compaiono infatti l'ex ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, i parlamentari del Pd tra cui lo stentoreo oppositore dei gialloblù Luigi Marattin, fino agli eurolirici di +Europa Riccardo Magi e Alessandro Fusacchia, i quali si sono poi affannati a scusarsi su Twitter (il primo appellandosi al fatto che nella prima versione della mozione il punto non c'era, il secondo dicendo che gli era «sfuggita» la cosa). Fantastico. Proviamo a ricostruire in modo razionale - e non isterico - i termini della questione. Siamo in presenza di una grande vergogna: e cioè quella della mano pubblica che non paga i suoi fornitori privati, tema su cui almeno quattro governi di diverso colore hanno fatto fallimento. Alcune cifre (tratte dalla relazione annuale presentata un anno fa dalla Banca d'Italia) danno la dimensione del problema: un anno fa, il totale dei debiti della Pa verso le imprese risultava essere di 57 miliardi (3 punti e mezzo di Pil), solo 7 miliardi in meno rispetto all'anno precedente. Dinanzi a questa spiacevolissima realtà, questo giornale aveva ripetutamente caldeggiato una soluzione semplice, un vero uovo di Colombo: la compensazione tra i crediti vantati dalle imprese verso la Pa e le tasse dovute. Se un'impresa o un professionista hanno - da una parte - un credito che vantano e - dall'altra - una scadenza fiscale da onorare, ragionevolezza vorrebbe che fosse loro consentito di «incrociarli», di arrivare a un salomonico «zero a zero» tra Stato e cittadino, calcisticamente parlando. Significativamente, la mozione votata questa settimana andava nella direzione auspicata. E va anche detto che non si trattava di una cosa nata sulla Luna. Nella delega fiscale approvata dalle Camere nella scorsa legislatura (quella che il governo Renzi non fu capace di attuare nella sua interezza), c'era il principio della compensazione. E quanto a minibot e a titoli di piccolo taglio, questa soluzione compariva esplicitamente nel programma elettorale della Lega e del centrodestra per le elezioni del 4 marzo 2018. Nulla di inedito, quindi. In modo diverso, perfino l'ex ministro montiano Corrado Passera, a suo tempo, aveva evocato l'uso di Btp per ripagare i debiti. Pure le preoccupazioni europee - a ben vedere - erano state da tempo ridimensionate, anche in sede di Bce. Un conto è infatti l'emissione di banconote in euro, compito esclusivo di Francoforte; altro conto sono dei titoli di Stato, sia pure di piccolo taglio. L'essenziale è non chiamarli «moneta parallela». Ma, tornando alla via maestra della compensazione, se lo Stato - a pagamento di un proprio debito - offre a un'impresa un titolo, a sua volta utilizzabile per pagare un'imposta, dov'è lo scandalo? Semmai, si tratterebbe di un'evenienza positiva e auspicabile. E invece, con 36 ore di ritardo rispetto alla loro stessa votazione alla Camera, i parlamentari del Pd sono insorti, chiaramente agitati dalla lettura allarmista che alcuni osservatori hanno dato della mozione, presentandola come la prefigurazione di un'uscita dall'euro. Tragicomicamente, dunque, ieri il Pd ha fatto sapere che presenterà «un ordine del giorno urgente al decreto Crescita per escludere l'impiego di strumenti come i cosiddetti minibot per creare nuovo debito». Toppa peggiore del buco: perché evidenzia il voto inconsapevole di inizio settimana, e perché evoca - senza alcun fondamento - la creazione di nuovo debito. Sintetizzando: il Pd smentisce Padoan e finisce per opporsi al pagamento di creditori e fornitori della Pa. Un manicomio. Molto rumore per nulla, comunque. Ieri pomeriggio, forse con zelo eccessivo, il Mef ha fatto sapere che «non c'è alcuna necessità né sono allo studio misure di finanziamento di alcun tipo, tanto meno emissioni di titoli di Stato di piccolo taglio», con riferimento ai debiti della Pa. Peccato, perché il problema esiste, per quanto il Mef rivendichi un miglioramento dei tempi di pagamento. Sul tavolo, dunque, resta solo la figuraccia del Pd e degli altri oppositori, più dediti al «trucco e parrucco» per andare in tv, che a leggere i provvedimenti in Aula. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/manicomio-pd-prima-vota-i-minibot-poi-insorge-perche-sono-lanti-euro-2638626668.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="giallo-della-lettera-di-maio-infuriato" data-post-id="2638626668" data-published-at="1758082397" data-use-pagination="False"> Giallo della lettera, Di Maio infuriato No flat tax in deficit e tagli a reddito di cittadinanza e quota 100. Anzi no, tutto falso. Più che una lettera, la missiva che il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, doveva inviare entro ieri sera alla Commissione Ue, in risposta ai chiarimenti richiesti all'Italia, si è trasformata in giallo con tanto di possibile denunce. Le anticipazioni del contenuto hanno fatto infuriare Luigi Di Maio, costretto Giovanni Tria a smentire e a far precisare a Giuseppe Conte che la bozza in suo possesso non era quella anticipata. Secondo le anticipazioni delle agenzie di stampa, infatti, il governo annunciava a Bruxelles l'avvio di una nuova revisione della spesa, compresa la riduzione della proiezione di spesa di due misure cardine del welfare nel periodo 2020-2022 e cioè il reddito di cittadinanza e quota 100. Al welfare però, Tria aggiungeva anche la revisione fiscale e una serie di misure strutturali evitando «il previsto aumento dell'Iva». Inoltre, sempre nella lettera «virtuale», si parlava di «ulteriori misure per semplificare il sistema fiscale e migliorare la fedeltà fiscale. Il Parlamento ha invitato il governo a riformare, fatti salvi gli obiettivi di riduzione del disavanzo per il periodo 2020-2022, l'imposta sul reddito delle persone fisiche, riducendo il numero degli scaglioni e la pressione fiscale gravante sulla classe media. Si effettuerà anche una revisione di detrazioni ed esenzioni fiscali». Inoltre, «siamo convinti che una volta che il programma di bilancio sarà finalizzato in accordo con la Commissione Ue, i rendimenti dei titoli di Stato italiani diminuiranno e le proiezioni relative alla spesa per interessi saranno riviste al ribasso». Ma nel tardo pomeriggio il Mef ha smentito nel modo più categorico, affermando che i contenuti anticipati «non corrispondono alla realtà. Come si potrà constatare quando si prenderà visione della lettera che sarà firmata dal ministro e inviata a Bruxelles». Questo il contenuto della nota inviata dal Mef: «Le stime presentate nel programma di Stabilità per l'Italia differiscono da quelle della Commissione. L'Italia stima che l'output gap nel 2019 sarà pari a -1,6 per cento e il tasso di crescita dell'economia sarà inferiore al potenziale. L'economia si trova dunque in una situazione di “congiuntura sfavorevole" secondo la griglia del braccio preventivo del patto di Stabilità e Crescita (Psc)». Poi Palazzo Chigi, oltre a precisare che la lettera in possesso del premier Conte era diversa da quella anticipata nel primo pomeriggio, ha annunciato che «il presidente del Consiglio ha appena sentito telefonicamente il ministro Tria e ha concordato con lui di sollecitare tutte le verifiche, anche giudiziali, affinché chi si è reso responsabile di tali fughe di notizie false sia chiamato alle conseguenti responsabilità. È bene rimarcare la gravità della diffusione di testi, peraltro in versioni non corrispondenti a quelle su cui il ministro Tria e il presidente Conte stanno lavorando». Smentite e precisazioni arrivate peraltro dopo la sfuriata del vicepremier pentastellato Di Maio, che aveva puntualizzato: «Non ho ancora letto la lettera, l'ha fatta con la Lega? Però apprendo che prevede tagli al welfare. Ma stiamo scherzando? Lo dico chiaramente: al governo Monti non si torna. Basta austerità, basta tagli, di altre politiche lacrime e sangue non se ne parla. Non esiste. Magari è utile fare un vertice di maggioranza con la Lega insieme al presidente Conte e allo stesso Tria, così sistemiamo insieme questa lettera, prima che qualcuno la mandi a Bruxelles». Un fatto è certo, stamattina la lettera deve essere nelle mani della commissione Ue.