2021-11-16
Lady Gaga e Maneskin in coro pro ddl Zan
I Maneskin e a destra Lady Gaga (Getty Images)
La cantante piagnucola a «Che tempo che fa» per l'affossamento della legge bavaglio. Agli Mtv a Budapest la band romana denigra l'Italia dove «gli unici a non vincere sono i diritti civili». Da Fedez a Elodie fino a Mahmood è sempre la solita musica.Uscito dalla porta è rientrato dalla finestra, anzi dal palco. É lo spettacolare riscatto del ddl Zan che, silurato in Senato con la «tagliola» lo scorso 27 ottobre, è improvvisamente tornato al centro del dibattito grazie alle star della musica. Il colpo di scena è avvenuto nelle scorse ore con l'intervento di due pezzi da novanta, Lady Gaga e i Maneskin, che per la legge contro l'omofobia hanno speso parole appassionate, dando prova d'un trasporto da provetti militanti Arcigay.Lady Germanotta ha spezzato la sua lancia a favore della ddl Zan a Che tempo che fa, su Rai3, in replica all'assist di Fabio Fazio: «Sai che in Italia, qualche settimana fa, hanno purtroppo fermato una legge importante contro l'omotransfobia, e hanno usato le tue canzoni nelle piazze?». A seguire, son state mostrate le immagini della manifestazione arcobaleno, avvenuta a Milano il 28 ottobre, con la folla che intonava «Born this way», l'inno Lgbt della camaleontica cantante di origini italiane.A quel punto, Lady Gaga, asciugata una lacrima di commozione, ha idealmente abbracciato tutta la comunità arcobaleno. «Volevo dire alla comunità Lgbtq+ qui in Italia che siete i più coraggiosi, siete i più gentili, i più generosi», sono state le parole della star, che ha pure aggiunto: «Dovete essere protetti a tutti i costi, come tutti gli esseri umani sulla Terra, e continuerò a scrivere musica per voi e a combattere per voi». Parole a dir poco enfatiche, che lasciano intendere che le persone con tendenze omosessuali o trans, in Italia, siano un po' com'erano gli ebrei sotto la Germania hitleriana. Eppure Fazio, perfettamente a suo agio nei panni di gran cerimoniere dello spot al ddl Zan, si è ben guardato dall'effettuare la minima puntualizzazione. Allo stesso modo, nessuno ha battuto ciglio quando quasi in contemporanea, a Budapest per gli Mtv Ema, i Maneskin hanno commentato il premio ricevuto nella categoria Best Rock con questa lamentela: «Quest'anno il nostro Paese ha vinto tutto, tranne che nei diritti civili». L'omaggio della band romana alla legge contro l'omotransfobia, hanno notato alcuni, è stato ancora più pesante di quello andato in onda sulla Rai, in quanto partito dall'Ungheria del vituperato Orbán. Sta di fatto che la sostanza del messaggio di Budapest è identica a quella di Lady Gaga ed alimenta la sensazione che l'affondamento della legge arcobaleno sia stato un caso; di più, un incidente di percorso al quale urge, a breve, porre rimedio. Questo, almeno, intimano lo show business e le sue punte di diamante e, beninteso, non è certo una novità. Già lo scorso aprile, infatti, Chiara Ferragni, Fedez, Elodie, Mahmood - personalità che su Instagram totalizzano 40 milioni di follower in quattro - avevano tirato la volata alla legge contro l'omotransfobia. Un appoggio considerevole che però, come sappiamo, non è bastato, anche se ciò non ha evidentemente scoraggiato i vip ora orfani del ddl Zan; il che, se da un lato lascia presagire che, come quella affondata era una riedizione (peggiorativa) della legge Scalfarotto, a breve un'altra proposta simile tornerà in pista, dall'altro alimenta una curiosità: come mai? Per quale ragione Lady Gaga e i Maneskin, alla pari di Fedez e compagnia, hanno così tanto a cuore l'agenda Lgbt? Una spiegazione interessante al fenomeno l'ha data, intervistato da Marina Terragni sul sito Feministpost.it, Alberto Contri, docente di Comunicazione Sociale allo Iulm di Milano, già consigliere della Rai. In breve, secondo Contri la minoranza Lgbt «non è più così minoranza nelle stanze dei bottoni dei media, così come nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e delle multinazionali, negli organismi politici internazionali e ovunque si prendano decisioni significative».Se a questo si aggiunge che, nella galassia luccicante dello show biz, quelli che Lgbt non sono comunque simpatizzano per la comunità arcobaleno, il cerchio si chiude e, come dire, i conti tornano. Ciò significa che la struggente nostalgia per la legge contro l'omotransfobia, cantata da Lady Gaga e dai Maneskin, tutto è stata fuorché un caso. Si è trattato delle prove generali del tormentone che il mainstream si accinge a lanciare. E che continuerà sino a quando il Parlamento non varerà una norma che, beninteso, non aggiunge diritti ad alcuno ma, in compenso, ne toglie uno fondamentale - quello di parola - a chi ritiene che la famiglia sia quella tra uomo e donna, che i figli abbiano bisogno di un padre e una madre e si nasca maschi o femmine. Tutte verità elementari, codificate nella biologia molto prima che nell'etica, ma che la grancassa mediatica e i suoi protagonisti avversano da tempo. Per questo si è facili profeti nell'annunciare, per rimediare alla sconfitta incassata da Alessandro Zan e Monica Cirinnà, un martellamento pro Lgbt di cantanti e beniamini dei giovani, artisti dai look trasgressivi ma dal pensiero perfettamente omologato. Voci diverse eppure formidabili nell'intonare, fondendosi una all'altra, la stessa canzone.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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