2018-08-19
Mai visto nella storia dei funerali: i fischi se li prende l’opposizione
L'Italia ha conosciuto esequie drammatiche e contestate, da piazza Fontana a Giovanni Falcone. Ma per la prima volta un governo in carica viene applaudito assieme al presidente Sergio Mattarella. Mugugni e sibili, invece, per Maurizio Martina e Roberta Pinotti.La rabbia e l'orgoglio di Genova ferita che chiede giustizia per i suoi morti. Ieri l'ultimo saluto alle vittime del crollo del ponte Morandi. Presenti tutte le autorità, ovazione a pompieri e volontari.Sale a 43 la conta dei cadaveri. Ritrovato il corpo dell'ultimo disperso, un operaio Amiu schiacciato dalle macerie. Nel frattempo è deceduto anche uno dei feriti, un autista romeno di 36 anni.Lo speciale contiene tre articoliE così piovono pietre su Maurizio Martina e Roberta Pinotti. Insulti, rabbia e fischi per i politici di centrosinistra, nella città rossa, medaglia d'oro della Resistenza: ovazioni e applausi per i loro nemici ed eredi. Insulti e fischi per l'opposizione, applausi scroscianti per il governo. Tutto ribaltato. Non c'è memoria, persino nella complessa letteratura dei funerali che hanno contrappuntato la storia Italiana, di una simile geometria rovesciata. Non c'è memoria, nel calvario dolente della storia italiana, di un tale spaesamento: sempre in questo Paese è accaduto il contrario. Fischiato il governo (qualsiasi governo) per un calcolo, magari grossolano, di responsabilità oggettiva, applaudito chi inseguiva, chi denunciava, chi da fuori puntava il dito. Avevamo conosciuto il silenzio algido, civile e compito, la grandezza della borghesia liberale Italiana a piazza Fontana, nel 1969. Gli ombrelli sotto la pioggia avevano sconvolto (lo rivelarono gli interrogatori) persino gli imputati: la forza della democrazia contro il terrore. E poi la rabbia incandescente dei funerali politici nella stagione del piombo. I cori al funerale dell'anarchico Franco Serantini a Pisa. O lo sconcerto metafisico del funerale falsificato di Stato di Aldo Moro, nel 1978, con la bara senza cadavere, e i magnifici dinosauri democristiani a piangere lacrime di coccodrillo in prima fila, in una sequenza che Marco Bellocchio trasformò magicamente in cinematografia nel suo Buongiorno notte. Avevano memoria delle grida potenti di Sandro Pertini, che proprio a Genova risuonarono in memoria di Guido Rossa, crivellato di pallottole nella sua macchina dalle Br («Assassini! Assassini! Assassini!») davanti a una piazza impavesata di bandiere rosse: correva l'anno 1980. Avevamo conosciuto la rabbia dei neri, a Roma, dopo la strage di Acca Larenzia (1978), con i giovani missini che si spinsero fino a chiedere l'incriminazione di un ufficiale dei carabinieri. Abbiamo imparato cosa fosse lo sdegno e la ferita di Bologna in 38 anni di commemorazioni che finivano con salve di fischi nei confronti di qualsiasi governo e di qualsiasi ministro all'ombra delle due torri: immancabili, come un rito e come un'abitudine. E nessuno potrà dimenticare l'ira funesta che iniziò ad ardere, come benzina infiammata, ai funerali di Giovanni Falcone, a Palermo. Le lacrime strazianti della vedova in diretta, che malgrado le raccomandazioni del sacerdote gridava piangendo: «Non cambieranno... no... non vogliono cambiare!». Quel giorno i poliziotti sfiorarono l'abiura, contestando i ministri e persino il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. E quella stessa rabbia, il rifiuto per il pennacchio postumo di Stato, la toccai con mano anche a San Giuliano, dove capitò a un inconsapevole Carlo Azeglio Ciampi di entrare in una palestra piombata di dolore e costellata di piccole bare bianche da bambino.Pensavamo di aver visto tutto, in questa variegata zoologia fantastica, nel Paese dove mai nessun governo è riuscito a incarnare il senso dello Stato. Ecco perché ieri, questa passerella in campo largo della Fiera di Genova, questa sequenza da parata che si vira in Vandea è diventata il grandangolo di una fotografia dell'Italia sottosopra. La panoramica dell'Italia che tributa l'ovazione ai due vicepremier (Matteo Salvini e Luigi Di Maio) e sommerge di ingiurie la Pinotti e Martina. Bisognerebbe persino aggiungere che i fischi non erano dedicati soltanto a due persone fisiche, l'ex ministro e il segretario (che ci hanno messo la faccia) ma a tutti i grandi assenti. Ai grandi statisti latitanti - cioè - che quando avvertono la malaparata in favore di telecamera si dissolvono come nebbia al sole. Conosco il coro delle obiezioni che ieri è risuonato nei fortini dell'establishment e nelle redazioni degli scettici: le giustificazioni, gli anatemi, i distinguo. Si dice oggi che quello di Genova è stato un funerale di claque, una manifestazione politica, una Pontida camuffata, un Vaffa day in incognito. Come se le grandi piazze in Italia si potessero taroccare. Una spiegazione razionale all'invettiva irrazionale. Vero è il contrario: anche quando contengono l'intenzione di una claque, i ruggiti dei funerali diventano fotografie di uno stato d'animo che non si può predeterminare. Anche in questa piazza si è riversato un sentimento profondo dell'Italia battezzata il 4 marzo dalle elezioni politiche.Rabbia e di identità tradita in cui convergono diverse storie, e mille identità, ma che a Genova è - prima di tutto - il ripudio di una classe dirigente, la fotografia del disincanto di un popolo verso i suoi (ex) rappresentanti, la rabbia per ferite antiche e recentissime. A Genova lo sdegno colpisce chi ha governato per quello che (non) ha fatto, e risparmia chi sta governando per quello che ha fatto o che dà l'impressione di fare. C'è lo stupore per la sinistra che difende i monopoli mentre la destra propone le nazionalizzazioni. Lo sconcerto per i regali ai concessionari e per gli allarmi ignorati, per le perizie dimenticate, per la scarsa vigilanza dei governi, il fastidio per i festini ferragostani dei Benetton, per le manutenzioni non fatte, per le concessioni rinnovate a cuor leggero, per le clausole secretate, per i silenzi di Graziano Delrio di ieri, per 20 anni di discorsi di Claudio Burlando. A Genova ci sono un turbine di cose giuste, o sbagliate, razionali ed irrazionali, che si sovrappongono, ma come sempre accade, sono o diventano vere. Idee, volti e storie catalizzatesi in un'invettiva collettiva. A Genova piovono pietre sul Pd e sul centrosinistra. Saranno utili, questi fischi, solo se i bersagli di questa rabbia non cercheranno la spiegazione facile della trappola, ma quella difficilissima dell'autocritica. Quella che nessuno a sinistra è riuscito ancora a fare.Luca Telese<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mai-visto-nella-storia-dei-funerali-i-fischi-se-li-prende-lopposizione-2596970076.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rabbia-e-lorgoglio-di-genova-ferita-che-chiede-giustizia-per-i-suoi-morti" data-post-id="2596970076" data-published-at="1757666145" data-use-pagination="False"> La rabbia e l’orgoglio di Genova ferita che chiede giustizia per i suoi morti Genova. Saranno pure riservati, nascosti e schivi come dice l'arcivescovo Angelo Bagnasco. Però i genovesi che ieri riempivano il grande padiglione della Fiera, con il cuore squarciato dal crollo del ponte sul Polcevera, erano anche arrabbiati. Non è da loro, ma lo erano. Per qualche istante avevano perso, pur nella compostezza del dolore, la proverbiale sobrietà di una città anche troppo abituata ai lutti. Che alle polemiche e alle lacrime preferisce reagire, rimboccarsi le maniche: si tratti di spalare fango o scavare tra le macerie di un viadotto che non poteva, non doveva, crollare. Difficile dare loro torto se pretendono giustizia. Sarà stata la vista di quelle diciannove bare in mogano ricoperte da cuscini di rose bianche a innescare la contestazione. Più di tutte, entrava profonda e bruciava nel petto, quella bianca e sormontata da due peluche di Samuele Robbiano, 9 anni, precipitato con mamma e papà nello sgretolarsi del Morandi il giorno prima di Ferragosto. Accanto al feretro, con il viso cereo, la nonna accarezzava il legno ma non piangeva. Probabilmente non ci riusciva. Non ha pianto neppure quando il presidente, Sergio Mattarella, l'ha abbracciata. Sembravano fratello e sorella. Le bare erano diciannove perché per le altre vittime, le famiglie hanno preferito funerali in forma privata nelle città di residenza. Qualcuno ha anche polemizzato sul fatto che lo Stato li ha uccisi e poi li vuole commemorare. C'è stata anche rabbia, ieri. Fischi e urla diretti tanto alle persone, ma piuttosto al sistema che rappresentavano, alla vecchia politica che doveva vigilare sulla sicurezza del ponte di Brooklyn, come lo chiamavano qui, e non lo ha fatto. In disparte, quasi in incognito forse per non essere riconosciuti, erano presenti anche Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l'Italia e il presidente Fabio Cerchiai. Negli occhi di tutti, anche dei presidenti della Camera, Roberto Fico, e di quello del Senato, Maria Elisabetta Casellati, erano impressi i due monconi di quello che fu un prodigio dell'ingegneria e quel vuoto in mezzo che ha inghiottito auto e camion, che ha anche schiacciato due operai stagionali della nettezza urbana che stavano lavorando in un deposito lì sotto. Che ha lasciato la gente di via Fillak, via Porro e via Della Pietra senza un tetto, almeno 11 caseggiati dovranno essere demoliti. La folla, oltre 5.000 persone stipate sotto il tetto azzurro del padiglione progettato da Jean Nouvel, ha applaudito l'arrivo del premier, Giuseppe Conte, e dei ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Che dopo la tragedia sono stati a lungo a Genova, per cercare di trovare una risposta in tempi rapidi, per tentare, con il sindaco Marco Bucci e il governatore Giovanni Toti, di ridare speranza a una città sgomenta. C'è bisogno di strade, di scavalcare il torrente Polcevera, di sbloccare il porto che è il più grande d'Italia e dà impiego a 50.000 persone, di trovare riparo ai 700 sfollati, di individuare i responsabili di un crollo che si poteva evitare. Di Maio, rispondendo a un familiare di una delle vittime che gli chiedeva severità verso la società Autostrade, ha detto: «Stai tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non li gestiranno mai più». Un lungo applauso ha anche salutato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che si è intrattenuto con i parenti, sostando davanti a ciascuna bara visibilmente commosso. Ieri aveva il complicato compito di resuscitare la fiducia, più che compromessa, tra lo Stato e i suoi cittadini. Queste le sue parole: «Genova è stata colpita e tutti i genovesi. È una tragedia inaccettabile». Dolore e compostezza hanno ripreso il posto loro, quando è iniziata la messa del cardinale Bagnasco: «Il crollo del ponte Morandi sul torrente Polcevera ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova. La ferita è profonda, è fatta innanzitutto dallo sconfinato dolore per coloro che hanno perso la vita e per i dispersi, per i loro familiari, i feriti, i molti sfollati. Innumerevoli sono i segni di sgomento e di vicinanza giunti non solo dall'Italia, ma anche da molte parti del mondo». Un applauso, il più forte di tutti, ha interrotto l'omelia quando Bagnasco ha citato i vigili del fuoco e la loro «professionalità generosa». E con loro anche gli uomini della protezione civile, i volontari, i carabinieri, i poliziotti e i vigili urbani. Intanto negli interstizi tra le bare allineate crescevano di minuto in minuto i fiori portati dalla gente, anche semplici fiori di campo. Mazzi deposti dai calciatori di Genoa e Sampdoria che ieri, assieme ai presidenti Enrico Preziosi e Massimo Ferrero, sedevano assieme in panchina. Genova, però, diceva il cardinale Bagnasco nonostante la ferita «non si arrende: l'anima del suo popolo in questi giorni è attraversata da mille pensieri e sentimenti, ma continuerà a lottare. Come altre volte, noi genovesi sapremo trarre dal nostro cuore il meglio, sapremo spremere quanto di buono e generoso vive in noi e che spesso resta riservato, quasi nascosto, schivo. Potremo costruire ponti nuovi e camminare insieme». Dopo l'arcivescovo ha preso la parola l'imam di Genova, Salah Hussein, per commemorare due cittadini albanesi, di fede musulmana, deceduti nel crollo del viadotto: «Il crollo di un ponte», ha detto, «è la metafora di due punti che non si toccano più. Preghiamo per Genova: saprà rialzarsi con fierezza, la nostra Zena, che in arabo significa la bella, che è nei nostri cuori». Anche lui è stato applaudito dalla folla che ieri ha abbracciato Genova. Carlo Piano <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mai-visto-nella-storia-dei-funerali-i-fischi-se-li-prende-lopposizione-2596970076.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sale-a-43-la-conta-dei-cadaveri" data-post-id="2596970076" data-published-at="1757666145" data-use-pagination="False"> Sale a 43 la conta dei cadaveri La scorsa notte i soccorritori hanno trovato i resti di tre corpi all'interno di un'auto Hyundai nel greto del torrente Polcevera. Prima di essere portati all'obitorio dell'ospedale San Martino sono stati esaminati dalla Scientifica: sono i componenti della famiglia Cecala, il papà Cristian, la mamma Dawna e la piccola Kristal, di appena 9 anni. La loro auto, completamente schiacciata, era stata individuata sotto un grosso blocco di cemento che faceva parte del pilone della struttura crollata. Cristian Cecala, la moglie Dawna Munroe e la loro figlia Crystal erano partiti martedì mattina da Oleggio, in provincia di Novara, per andare in auto a Livorno, dove avrebbero dovuto prendere un traghetto per raggiungere l'isola d'Elba. Li attendeva una zia, con cui avrebbero trascorso qualche giorno di vacanza al mare. Cristian, 43 anni, lavorava insieme al fratello Antonio nell'impresa edile di famiglia. Alcuni anni fa aveva conosciuto Dawna, di origine giamaicana, e nel 2008 si erano sposati. L'anno successivo avevano avuto una bambina, che stava viaggiando in auto con loro al momento della tragedia. Ieri sotto il ponte Morandi è arrivato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, prima dei funerali di Stato: si è fermato venti minuti sul luogo del disastro e davanti all'auto della famiglia Cecala è apparso commosso. A fine mattinata, inoltre, è stato trovato anche il cadavere dell'ultimo disperso, Mirko Vicini, dipendente dell'Amiu, 30 anni. Il giovane è stato schiacciato dalla massa di blocchi di cemento armato riversatasi sulle strade sottostanti. Era riuscito a trovare un lavoro stagionale da fine luglio all'Amiu: il padre, che lavorava come operatore ecologico, lo aveva incoraggiato a entrare nell'azienda comunale. Aveva già lavorato all'Amiu altre volte con contratti a termine, ma stavolta non era in servizio in centro ma all'isola ecologica del Polcevera. Era contento del cambio perché si trovava più vicino a casa. Martedì, attorno a mezzogiorno, Mirko aveva finito il turno e si stava recando alla doccia per lavarsi: quando due colleghi si sono girati verso la zona dei bagni, quest'ultima non c'era più. Al suo posto c'erano le macerie di un pilone del viadotto. Con lui è morto anche un altro operaio stagionale, Bruno Casagrande, La madre di Mirko, Paola, aveva dormito per giorni accanto alle macerie nella speranza di riabbracciare vivo il figlio: «Non me ne vado finché non lo trovano», spiegava, «non voglio andare a casa, voglio aspettare qui, voglio esserci quando lo troveranno». Con la morte di uno dei feriti, Marian Rosca, autista romeno di 36 anni, il bilancio delle vittime sale a 43. Non era invece nel capoluogo ligure il 14 agosto, invece, il cittadino tedesco Loohuis Albert per cui si è temuto nelle ultime ore. Ha telefonato lui stesso alla Prefettura di Genova: è vivo, sta bene, ed era in giro per l'Italia in vacanza. Insieme con lui c'è anche il suo cane, anche questo dato per disperso. La lista dei dispersi è ora azzerata ma la protezione civile avverte che potrebbero esserci altre vittime di cui non è stata denunciata la scomparsa. Carlo Piano
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