2024-07-10
Macron va al vertice Nato con un Paese in crisi di nervi. Nuova indagine per Le Pen
Ministri in pressing: «Non lasci la Francia ora». L’Eliseo tira dritto, mentre la sinistra si spacca. Il leader socialista Faure sfida Mélenchon: «Pronto a fare il premier». Dopo l’avvertimento di Standard & Poor’s, l’agenzia di rating Usa mette in guardia sull’abrogazione della riforma delle pensioni e sulla nuova legge di Bilancio francese. Lo speciale contiene due articoli.Quando la Nato, improvvisamente, serve a qualcosa. Emmanuel Macron da anni gioca a svalutare l’Alleanza militare atlantica, ma ora non intende minimamente rinunciare al vertice di Washington, nonostante i suoi consiglieri stiano cercando di trattenerlo a Parigi. In patria l’attenzione è tutta sull’elezione del presidente della nuova Assemblea nazionale del 18 luglio e i centristi fedeli al presidente temono colpi di mano della sinistra sulla formazione del nuovo governo. Però la melina di Macron, che da domenica sera spera di far passare il tempo per far esplodere contrasti e contraddizioni a destra come a sinistra, per ora sembra dare qualche frutto. Ieri il leader socialista Olivier Faure si è candidato come premier, ammiccando decisamente al centro e mettendo in fuorigioco il duro e puro Jean Luc Mélenchon. Mentre a destra si è aperto l’ennesimo fronte giudiziario sui presunti fondi neri del partito di Marine Le Pen, che ha anche perso il suo direttore generale, Gilles Pennelle, criticato per una serie di errori nella scelta delle candidature.Nell’ultimo anno Macron ha fatto di tutto per mettere in difficoltà la Nato, sulla gestione delle operazioni in Ucraina, scavalcandola addirittura con proposte unilaterali, come mandare soldati francesi a combattere contro la Russia. Un fastidio non nuovo, se si pensa che nel novembre 2019 il presidente francese rilasciò una memorabile intervista all’Economist, nella quale sanciva che «la Nato è in stato di morte cerebrale». Tuttavia non ha mai saltato un vertice Nato e non lo farà neppure questa volta, nonostante le pressioni dei suoi. La Francia è l’unica potenza nucleare d’Europa, dopo la Brexit, e Macron ama farlo pesare. Dopo il gigantesco pasticcio scaturito dalle elezioni anticipate, secondo Le Figaro alcuni collaboratori dello staff presidenziale avrebbero chiesto al presidente di annullare il viaggio a Washington. «La casa brucia», questo il senso del messaggio, e la gauche si metterà d’accordo per indicare un premier, con il presidente dall’altra parte dell’Atlantico. Ma nel giro di poche ore è arrivata la smentita informale dell’Eliseo. Macron partirà regolarmente anche perché, come dice da domenica sera, i giochi si faranno quando si sarà insediato il nuovo Parlamento, non prima. Non a caso ha deciso, con una certa forzatura, di respingere le dimissioni del governo Attal, che in realtà, sconfitto così evidentemente dalle urne, avrebbe benissimo potuto restare in carica solo per l’ordinaria amministrazione. D’altra parte resta tutto da dimostrare che si sia prossimi a un accordo nel Front populaire, il cartello delle sinistre che domenica ha preso più seggi. Mélenchon, il capo di France Insoumise, domenica già batteva i pugni sul tavolo, chiedendo di fare il premier e dettando un programma economico da fuga di massa dei capitali, tra assistenzialismo e una spesa pubblica alle stelle. Ieri il suo partito ha cominciato a perdere pezzi, con una mezza dozzina di deputati ribelli che avrebbero proposto agli alleati dei comunisti e degli ecologisti di fare un gruppo parlamentare in comune. Tra loro ci sono figure di primo piano del partito come Clémentine Autain, Francois Ruffin e Alexis Corbier. Il segnale è chiaro: non tutti la pensano come il granitico leader rosso e sperano di riuscire a trovare alleati guardando al centro dello schieramento. Esattamente lo schema che sta dietro all’altra grande notizia di giornata, ovvero la «disponibilità» a fare il premier di Olivier Faure. Il segretario dei socialisti ha fatto un passo avanti, ben sapendo di essere percepito come un politico dialogante e che non spaventa i mercati. Cinquantacinque anni, deputato dal 2012, Faure non ha il diktat nel sangue e dopo il voto ha sottolineato che bisogna riunificare la Repubblica.L’unica cosa che al momento sembra unire centristi e sinistre è l’idea di fare un nuovo patto per impedire che figure del Rassemblement national possano ottenere presidenze e incarichi di prestigio nel prossimo Parlamento. Un’ipotesi che ovviamente dal partito di Marine Le Pen bollano come clamorosamente «antidemocratica». Anche ieri, però, sono emersi problemi interni. Il direttore generale del partito Gilles Pennelle si è dimesso dall’incarico. Nonostante i suoi sforzi, non sarebbe riuscito a fare quello che il giovane leader Jordan Bardella aveva chiesto, ovvero di controllare che nelle liste di Rn ci fossero personaggi attaccabili per passate posizioni antisemite o complottiste. Lo ha fatto la stampa francese, causando ritiri e imbarazzi, e questo ha convinto Bardella che sia stato l’unico vero errore di una campagna elettorale comunque trionfale. Va detto che alcuni dei cosiddetti «impresentabili» erano persone di fiducia della Le Pen e quindi non sarebbe stato facile andare di candeggina sulle liste. In ogni caso, Pennelle, nel partito dal 1987, è stato eletto al Parlamento europeo e quindi era in qualche modo atteso che se ne andasse. Quella che non era attesa, invece, è l’ennesima tegola giudiziaria sul partito che ha preso più voti (circa 8,5 milioni) e che in Italia avrebbe facilmente conquistato Palazzo Chigi. Si tratta di un’inchiesta partita da una segnalazione arrivata dalla commissione nazionale dei conti delle campagne elettorali e dei partiti politici, sulla base di alcune presunte incongruenze tra entrate e uscite, oltre che di possibili sforamenti dei tetti massimi di spesa. La Procura di Parigi indaga per finanziamento illecito e ha fatto una cosa che non sempre accade, specie in Italia: ha tenuto l’indagine riservata fino alle elezioni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-va-al-vertice-nato-2668713117.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="anche-moodys-ora-lancia-lallarme" data-post-id="2668713117" data-published-at="1720575039" data-use-pagination="False"> Anche Moody’s ora lancia l’allarme Si attendono tempi duri per il prossimo esecutivo francese. Dopo Standard & Poor’s anche Moody’s mette in guardia il prossimo governo d’Oltralpe sull’economia del Paese. Ieri l’agenzia di rating ha infatti avvertito che l’abrogazione della riforma delle pensioni e il calo della volontà di risparmio del governo potrebbero impattare negativamente sul rating della Francia evidenziando anche «difficoltà» future nell’approvazione delle leggi.Al momento il gruppo americano ha dato alla Francia un rating Aa2 con outlook stabile ricordando, però che le previsioni a medio e lungo termine (l’outlook, appunto) potrebbero essere riviste al ribasso in base all’impatto dei negoziati politici sulla traiettoria fiscale o di crescita.Come fanno sapere dall’agenzia guidata dall’amministratore delegato Raymond McDaniel, senza una maggioranza chiara, «l’approvazione delle leggi sarà certamente difficile». Inoltre, date le restrizioni con cui dovrà fare i conti il nuovo esecutivo, «un consolidamento del bilancio attraverso una riduzione delle spese nel 2025» sembra «improbabile», così come un aumento delle entrate. Per questo motivo Moody's ha espresso notevole preoccupazione per il possibile aumento dei costi degli interessi per il debito. «Una riduzione dell’impegno del governo per il consolidamento fiscale», spiega l’agenzia, «potrebbe far aumentare la pressione negativa» sul credito. D’altronde, va ricordato che il tasso d’interesse a dieci anni della Francia è rimasto praticamente invariato dopo il secondo turno delle elezioni, ma è aumentato in maniera importante dopo il primo turno. In più, continua Moody’s, l’abrogazione delle riforme «come la liberalizzazione del mercato del lavoro e la riforma delle pensioni», potrebbe pesare sulla crescita del Paese e sulla sua traiettoria fiscale, contribuendo ad abbassarne il rating.I mercati azionari e obbligazionari, insomma, non sembrano essere stati influenzati troppo dall’esito delle elezioni francesi (ieri il principale listino francese, il Cac40, ha ceduto l’1,56%), ma le principali agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s hanno già mostrato le loro preoccupazioni.I risultati delle elezioni hanno messo la Francia «in una situazione senza precedenti», hanno scritto da Moody’s dipingendo le implicazioni fiscali future come negative per il credito. «Un indebolimento dell’impegno al consolidamento fiscale aumenterebbe le pressioni al ribasso sul credito», ha fatto notare l’analista Sarah Carlson. In particolare, l’elevato onere del debito francese espone il Paese a costi di finanziamento più elevati e questo potrebbe portare a un aumento più rapido del previsto dei pagamenti degli interessi sui titoli francesi, ha avvertito l’agenzia americana. Anche perché la sostenibilità del debito (un problema che ha anche l’Italia) ha un peso importante nel giudizio del profilo di credito della Francia.In più, ritengono sempre gli esperti di Moody’s, un’inversione delle riforme finanziarie attuate dal 2017 da Emmanuel Macron e dai suoi alleati potrebbe mettere in crisi ulteriormente il rating del Paese e potrebbe significare «implicazioni materialmente negative a medio termine per il potenziale di crescita della Francia e/o la sua traiettoria fiscale». Insomma, a preoccupare è l’instabilità politica del prossimo governo francese e, in particolare, sapere come sarà composta la futura maggioranza.Giusto due giorni fa anche Standard & Poor’s aveva mostrato una certa preoccupazione per il futuro del Paese. Il risultato non decisivo delle elezioni francesi determina «incertezza sui dettagli della strategia di politica economica e fiscale» del prossimo governo transalpino, e le sue scelte in tema di accelerazione della crescita e di riduzione del deficit statale saranno «fondamentali per determinare l’affidabilità creditizia della Francia», avevano scritto da S&P Global ratings ricordando che gli attuali rating AA-/Stabile/A- del Paese «verrebbero messi sotto pressione se la crescita economica fosse materialmente al di sotto delle previsioni per un periodo prolungato, o se la Francia non riuscisse a ridurre il suo ampio deficit di bilancio».Mal comune, mezzo gaudio, insomma. Come avviene per l’Italia, anche a Parigi e dintorni il sorvegliato speciale è il debito pubblico. Peccato che a questo si aggiunga ora anche una notevole instabilità politica che di certo non aiuta nel prendere decisioni correttive adeguate.Il leader della sinistra radicale Mélenchon e il suo partito La France Insoumise (La Francia indomita), insomma, dovranno faticare non poco per governare il Paese e davanti a loro si prospetta un percorso fatto di instabilità e scelte politiche difficili da prendere a causa della mancanza di una maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, la Camera bassa del Parlamento francese.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)