2025-03-04
Un Macron a fine corsa fa di tutto per sabotare l’asse tra Meloni e Trump
«Le président» chiede all’Italia di seguirlo «come ai tempi di Draghi» (quello che firmò il Trattato del Quirinale). Ma sulla politica estera noi abbiamo interessi opposti ai suoi.«Deve smetterla di fare campagna elettorale». Siamo rimasti lì, alla frase di Giorgia Meloni accompagnata da sguardo gelido e due pugnali immaginari diretti alle pupille di Emmanuel Macron fra gli ulivi di Borgo Egnazia durante il G7 italiano. Siamo rimasti alla campagna elettorale permanente del presidente francese, unica arma del grande assediato dentro l’Eliseo con la clessidra sulla scrivania e la sabbia che comincia a scorrere. Immagine da leader al tramonto. Sono trascorsi quasi nove mesi da quel flash e Micron ci riprova, trasferendo l’accidia anti-italiana sul dossier Ucraina non senza perfidia: «È necessario che l’Italia sia al nostro fianco, che si impegni in questo percorso, e che lo faccia da grande Paese europeo sulla scia di quanto ha fatto Mario Draghi». Evocando Draghi in un’intervista al Foglio, monsieur le président richiama palazzo Chigi all’ordine, chiede al premier di mettersi in fila da junior partner dietro chi comanda o pretende di farlo con piglio velleitario. Lo fa dopo il vertice di Londra che ha ufficializzato la debolezza e le divisioni dell’Europa; lo fa per provare ad avvelenare la liaison fra Donald Trump e Meloni, individuata dalla Casa Bianca come interlocutrice privilegiata nel vecchio continente.Lo fa anche per innervosire una donna che non lo ama dai tempi del braccio di ferro sui migranti, con la Ocean Viking spedita a Tolone e la crisi diplomatica che ne conseguì. Meloni è certamente poco lusingata dal paragone con colui che guidava l’Italia nell’ora delle scelte internazionali contraddittorie e perdenti: nessuno si è dimenticato la patetica foto (Macron, Scholz, Draghi) su quel treno per Yuma scambiato con il treno per Yalta da un sistema mediatico allineato e compiacente.«Se vogliamo essere credibili come europei nel nostro sostegno a lungo termine all’Ucraina, dobbiamo essere in grado di fornire delle garanzie di sicurezza solide», continua Macron nell’intervista. «Stiamo cercando di muovere le cose. E abbiamo bisogno dell’Italia, di un’Italia forte che agisca a fianco della Francia, della Germania, nel concerto delle grandi nazioni». Macron somiglia a un nuotatore al limite dell’annegamento, che si aggrappa a Meloni non per salvarsi ma per trascinarla con sé. Il suo «deve fare come Draghi» sa di furbata cattiva e conferma che l’inquilino dell’Eliseo è solo un Matteo Renzi che ce l’ha fatta; gente che in assenza di strategie usa i tatticismi. La risposta è in una frase di Paolo Zampolli, l’imprenditore inviato speciale di The Donald in Italia, che in varie interviste ha detto: «Meloni ha già incontrato tre volte Trump e questo è un unicum. Sono convinto che grazie ai suoi sforzi inizierà lei i negoziati per la pace. Meloni non dovrebbe accodarsi a Macron ma dovrebbe stare nel solco atlantico e seguire Trump, non i francesi. E puntare tutto sulla ricostruzione. Meloni può suggerire ai suoi partner europei che bisogna pensare a dare un tetto sulla testa agli ucraini. Basta morti, è ora di ricostruire».Ci sarebbero parecchi motivi per non accodarsi alla Francia, che sui dossier più scottanti come l’energia (loro hanno le centrali atomiche, noi no), la Difesa (interessi strategici divergenti negli armamenti), l’espansione industriale e bancaria, l’influenza in Africa, è una feroce concorrente dell’Italia. Ma la protervia di Macron un po’ ce la meritiamo per via del peccato originale: il Trattato del Quirinale. Firmato nell’era Draghi, fortemente voluto dal presidente Sergio Mattarella (che ha un debole per la socialdemocrazia francese) e arrivato in Parlamento ex post a buoi scappati, è un accordo che di fatto sancisce il primato della Francia nelle scelte strategiche fra Parigi e Roma. L’unico partito a votare contro il protocollo fu Fratelli d’Italia, ma ora Meloni se lo ritrova come un paracarro sul cammino. Più volte La Verità aveva messo in guardia sulla sudditanza fantozziana contenuta nel trattato, a cominciare dal sistema politico differente che lascia sempre al presidente francese l’ultima parola dopo i bilaterali. Sulle forze armate, un articolo dell’accordo prevede che in caso di difficoltà di un contingente francese, per esempio, in Ucraina (Paese extra Ue ed extra Nato), l’Italia dovrebbe correre in soccorso dei cugini d’Oltralpe. Non è un caso che, ogniqualvolta il Napoleone dell’Eliseo delira di invio di truppe francesi a Kiev («Non escludiamo questa opzione»), Mattarella è costretto a intervenire con leggiadre parole di smentita: «La nostra Costituzione ci chiede di costruire ponti di dialogo».Chiedendo a Meloni di «fare come Draghi», il presidente francese dimentica un passaggio fondamentale. Qualche giorno dopo l’insediamento di Trump fu proprio Draghi il primo a cogliere il cambio degli armadi in atto nell’amministrazione americana e ad annunciare: «Questa Europa è vulnerabile, serve un cambiamento radicale». Lui, a differenza di Macron al tramonto, i numeri di telefono che contano a Washington li ha sempre avuti.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?