2020-01-26
Ma quanto è fragile il castello dell’Ue se ha paura persino delle bandierine
Al Parlamento censurati i vessilli italiani e inglesi sui banchi. Per i burocrati i simboli vanno riposti sotto, «come le bottiglie».A volte tre righe dicono più di un programma di migliaia di pagine. Come quelle su cui si è accapigliato il Parlamento europeo il 16 gennaio, in una delle sue prime sedute del 2020. L'incontro era storico: l'ultimo con l'Inghilterra, che dall'Unione uscirà, festeggiando, il prossimo 31 gennaio. In esso è apparso con chiarezza perché l'Inghilterra se ne vada, e quale sarà il principale problema che dovrà affrontare chi nell'Unione europea rimane. A provocare il fatale chiarimento in tre righe è stato il capogruppo leghista a Bruxelles, Marco Zanni. Un bocconiano nato 34 anni fa in un punto nevralgico dell'anima del suo partito: Lovere sul lago d'Iseo. Lì si incontrano le province di Brescia e quella di Bergamo, considerate i due territori più laboriosi e insieme ostinati dell'intero Nord Italia. È una zona dove è impossibile (a meno di essere molto distratti o del tutto stupidi) non sentire il carattere e la personalità del territorio e dei suoi abitanti, gente che da secoli si sveglia alle 6 per lavorare, e bene, perché è così che si fa.Zanni dunque si è alzato e ha garbatamente comunicato alla «signora presidente» della seduta, subito impensieritasi, di ritenere contraria alle regole la decisione del presidente del Parlamento, David Sassoli (già giornalista Rai, eletto nel Pd), di far rimuovere nella precedente seduta le piccole bandiere italiane che i rappresentanti del gruppo leghista avevano da sempre sul proprio tavolo. La presidente della seduta, la tedesca Katarina Barley, accenna all'articolo 10 delle regole di procedura con tono di maestra pazientemente sdegnosa, visibilmente infastidita dalla tranquilla audacia di Zanni, che oltre ad essere un italiano affezionato alla sua bandiera osava anche chiedere spiegazioni. Ammette di averla sotto mano solo in tedesco ma assicura che la norma proibisce striscioni e cartelli o simboli che impediscano lo svolgimento dei lavori. Zanni replica con tranquilla fermezza: «Le nostre bandiere non sono striscioni né simboli che disturbano l'ordine dell'assemblea plenaria, quindi quell'articolo del regolamento non può essere applicato ad esse. Ribadisco che il mio gruppo orgogliosamente continuerà a portare queste bandiere in Aula». Il nervosismo della presidente sale. Intanto si alza Brian Monteith, un cordiale deputato scozzese del Brexit party, che vive in una pittoresca zona dell'Occitania, nella Francia del sud, vicino a Albi. È iscritto a parlare, ma la presidente lo informa che non potrà farlo finché i suoi colleghi inglesi lasceranno sul tavolo le bandierine del proprio Paese. Dai tavoli incriminati e zone dissidenti si alza il canto «Let him speak! Let him speak!»: lascialo parlare! I cori a bassa voce sono frequenti nel Parlamento britannico, e accompagnano i lavori con toni bassi - e a volte sordi muggiti - di approvazione o dissenso. John Bercow, l'ex speaker anti Johnson della camera, che Fabio Fazio ha invitato alla tv italiana presentandolo come un paladino della libertà di opinione, quando era ancora in parlamento cercava di intimidire i coristi sbracciandosi e gridando «order». Un modo autoritario e presuntuoso che ha fatto aumentare di un bel po' la popolarità di Bojo e i suoi voti.La situazione si ripete adesso, a Strasburgo: «Fino a quando tutti non avranno ubbidito all'ordine del presidente», ripete sempre più seccata la Barley, «la discussione non continuerà». E intima a Monteith di sedersi. «Lei non può alzarsi fino a quando i suoi colleghi non avranno tolto dai tavoli quelle bandiere». Il coro «Let him speak! Let him speak!» riprende così forza, divertito e appena vagamente minaccioso, guadagnando intanto nuovi banchi ai canti. La presidente disgustata distoglie lo sguardo dagli inglesi e dà la parola a una deputata rumena. È una giovane donna bruna, con un vestito rosso fiammante, Ramona Strugariu, che getta uno sguardo di disprezzo ai brexiters e alzando la voce e un sopracciglio grida storcendo il naso: «Se leggete bene le regole di questa casa, vedrete che noi sul tavolo non possiamo neppure tenere un bicchiere d'acqua. Però possiamo metterlo educatamente sotto il tavolo. Così voi potete mettere le vostre bandierine sotto il banco«». (Grandi applausi del Parlamento europeo). Insomma: mettetevi sotto il banco la vostra bandiera; versione Ue del nostro volgare: mettetevela nel c... (il senso è quello).La proposta non è però così decente come la presenta Ramona. Una voce dall'altra parte della sala esclama infatti: «La mia bandiera non è un bicchiere d'acqua!», con applausi per niente apprezzati dalla presidenza. «La bandiera non è acqua» è ora ripresa da Monteith. A questo punto i deputati del Brexit Party si alzano in piedi per una standing ovation a Montheit e alla loro bandiera. Tra poco lasceranno per sempre il Parlamento europeo.I molti illuminati che scambiano simboli come la bandiera e la nazione per robivecchi potranno sempre rivedersi questa seduta (quando e se l'Ue metterà il video online). Chissà se la ripresa mostrerà mai gli oggetti proibiti dal democratico Sassoli: le bandierine inglesi alte 15 centimetri che sfidavano impavide la rabbia gelida della maestra-presidente. Quando il grande potere perde aplomb e lucidità per la presenza del piccolo, (l'elefante che fugge il topolino) è sempre un momento interessante, un rivelatore di debolezza. Come mai, però, il gigante Unione europea, che vorrebbe gareggiare con le grandi potenze, perde goffamente la calma per l'esposizione di una bandierina di pochi centimetri? Il fatto è che ognuna di quelle piccole bandiere è nata da secoli di lotte anche sanguinose, combattute metro per metro dai cittadini anche per lei, la bandiera, simbolo della nazione e dell'unità tra i cittadini. Lotte in senso ampio combattute anche per un'idea di Europa meno meschina e cinica di questa, già presente fin dal Medioevo. Non per un mega trattato fatto trovare sulla sedia dei ministri che dovevano firmarlo senza neppure il tempo di leggerlo a Lisbona il 13 dicembre 2015, come ha raccontato lo storico Marc Ferro. Quelle lotte non sono ricordi passati, sono l'impasto umano, culturale e affettivo che tiene insieme la nazione, senza la quale i trattati firmati dai ministri valgono poco, anche quando letti. Figuriamoci quelli che neppure sono stati letti, scritti com'erano per le burocrazie Ue e il loro amore per le regole assurde, come quella di Sassoli di espellere le bandierine. La bandiera è una delle figure costitutive dell'identità personale e della sovranità, cui Massimo Mezzanzanica ha appena dedicato il suo Corpo, Potere e Rappresentazione (appena uscito da Mimesis). I giovani italiani e europei rivogliono le bandiere e le speranze che i loro padri hanno nascosto sotto il banco. Senza bandiera non c'è neppure lo Stato. Alla burocrazia non basta fingere o desiderare di essere Stato per diventare sovrana. Si convinca il presidente Sassoli: lasci lì le bandiere. La storia punisce chi non ascolta le sue lezioni.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».