2020-03-04
Ma quale conto del Papeete. Ci toccherà pagare gli sfondoni di Gualtieri
Il capo del Mef, smentito sulle spese gialloblù, si è pure «perso» 10 miliardi di extra gettito. Con i quali, ora, avrebbe potuto dare ossigeno alle aziende.Il 29 settembre del 2019 il neo ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri va in televisione e con fare rassicurante (questo voleva essere il messaggio destinato ai suoi elettori) spiega che i giallorossi guidati da Giuseppe Conte bis sono pronti «ad affrontare i nodi strutturali del Paese e tutte le sfide» necessarie per ammodernarlo. Prima però «abbiamo questo grande conto del Papeete che ci è stato lasciato da pagare e dobbiamo farlo in modo equilibrato, senza danneggiare la crescita, trovando le soluzioni e anche la giusta mediazione tra le posizioni in campo». Il riferimento è al tour estivo di Matteo Salvini culminato a Milano Marittima sul bagnasciuga del celebre club. L'allusione era alla propensione della Lega a puntare a maggior deficit in contrasto con i diktat Ue e l'austerity. Due giorni dopo la tirata televisiva con l'uniforme in bella vista da competente, il ministro licenzia il documento di aggiornamento di finanza pubblica, il cosiddetto Nadef. Dentro c'è il previsionale del bilancio 2019 e le prospettive per l'anno in corso. Il testo redatto dal capo del Mef conferma il deficit al 2,04% e promette per il 2020 di arrivare al 2,2. Da lì parte la finta battaglia con Bruxelles. A fine di ottobre la commissione scrive a Conte per tirare le orecchie, chiedere di tagliare il debito e avviare le riforme strutturali. Ma, visto l'impegno dei giallorossi - si comprendeva dalla lettera, non sarebbe partita alcuna procedura d'infrazione. Definiti i parametri di bilancio il governo va avanti e fa approvare forzando le norme parlamentari una delle peggiori leggi Finanziarie dell'ultimo decennio, facendo rimpiangere a molti italiani le clausole di salvaguardia. Il testo della manovra si basa su 3,5 miliardi di gettito dal contrasto all'evasione (obiettivo irrealizzabile), su una dozzina di miliardi di tasse per giunta frammentate e sparse tra una filiera produttiva all'altra. Si va dalla plastica alla bevande. In più per distribuire un bonus aggiuntivo a quello Renzi, il ministro Gualtieri è riuscito a storpiare la progressività Irpef per 6 milioni di contribuenti. Senza contare che ha raddoppiato le tasse a 300.000 partite Iva (espulse dalla flat tax) e ha alzato il prelievo di almeno il 25% (rispetto al 2019) ad altri 700.000 autonomi. Un bel disastro che a posteriori fa dire che sarebbe stato meglio alzare l'Iva e soffrire per qualche mese. Il dramma però è un altro. I dati diffusi dall'Istat lunedì ci dicono tre cose. La prima è che il deficit reale del 2019 si è attestato all'1,6%. Cioè, per capirsi, la manovra 2019 che avrebbe dovuto far saltare l'euro a detta di Bruxelles è stata la più austera dai tempi di Tomaso Padoa- Schioppa. La seconda che il ministro Giovanni Tria deve essersi mosso, con l'aiuto dei tecnici del ministero, nella direzione opposta a quanto dichiaravano i partiti di maggioranza. Ma soprattutto, i dati Istat ci dicono che Gualtieri e il suo team hanno preso una topica mai vista nella storia della Repubblica. Dopo aver pianto come le prefiche sul presunto conto del Papeete, ha licenziato un Nadef che ha omesso di indicare ben 11,7 miliardi di gettito da tasse dirette e indirette. A fine settembre, la macchina del Fisco è in grado di fare previsioni quasi perfette sull'ultimo trimestre. Tenendo conto che le poste straordinarie (vedi i contenziosi con Gucci e Fca) non superano il miliardo e 700 milioni, è praticamente impossibile sbagliare nell'ordine della grandezza dei 10 miliardi. Il risultato è stato però deleterio. La trattativa con Bruxelles per la manovra 2020 sarebbe potuto essere completamente diversa. Avremmo avuto margini di trattativa ampi e e quindi non sarebbe stato necessario licenziare un testo depressivo e recessivo. Non sarebbe stato necessario massacrare le piccole imprese, le partite Iva e rinviare la tanto sbandierata riforma dell'Irpef. «Da ex vice ministro presenterò una interrogazione parlamentare», spiega alla Verità Massimo Garavaglia, «perché ogni mese vengano forniti i dati del gettito. Non è possibile che a novembre e dicembre 2019 siano spuntati dal nulla 10 miliardi. Questi numeri ci lasciano basiti». Per Garavaglia, Salvini dovrebbe denunciare Gualtieri e chiedere a lui i danni politici di una campagna battente contro la Lega con il leit motiv dello sfascio dei conti e della distruzione dell'ecosistema europeo. «Nulla di più falso», conclude Garavaglia, «un danno per il Paese che si somma a quello subito durante la trattativa della manovra precedente. Non si sarebbe nemmeno dovuto fare cenno al termine “procedura d'infrazione"». Purtroppo i conti presentati agli italiani sono stati quelli certificati dal Pd. Una corretta valutazione avrebbe consentito una gestione diversa del secondo acconto di novembre. L'anno scorso il governo per trovare coperture al bilancio del 2020 ha posticipato le rate fiscali a marzo per un importo di 3 miliardi. Avrebbe potuto posticiparne molti di più in modo da tagliare le tasse nel 2020. Oppure, meglio ancora avrebbe potuto ridurre drasticamente i versamenti fiscali di novembre e lasciare liquidità alle imprese tricolori. Che oggi si sarebbero trovate molto più forti di fronte alla sberla montante del coronavirus. Invece, il Pd ha scelto di far quadrare i conti ben oltre gli accordi con Bruxelles. In cambio moriranno molte imprese.