
Gli appaltatori della Difesa, subissati di richieste, pretendono impegni per allargare la produzione. L’Ue corre ai ripari stanziando 500 milioni per lo sviluppo delle imprese.A 18 mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, gli appaltatori europei della Difesa, che sono subissati da richieste di ogni tipo (come munizioni, missili e veicoli da combattimento), si trovano a un bivio. Investire nella produzione scommettendo sul fatto che la guerra durerà anni come in Cecenia, Afghanistan e Iraq? O navigare a vista in attesa di sottoscrivere contratti di fornitura pluriennali? È evidente che la seconda ipotesi è quella ideale, tuttavia i clienti sono proprio quei governi che negli ultimi 20 anni hanno tagliato i fondi alla Difesa. A Bloomberg Tommy Gustafsson Rask, capo di Bae Systems Hägglunds Ab, azienda che produce sistemi industriali per l’aeronautica e il settore aerospaziale afferma: «Prima avevamo tempo, ma non soldi». Non è certo una battuta perché il tema agita i sonni di tutti coloro che forniscono la Difesa europea e parliamo di un mercato che vale almeno 357 miliardi di euro l’anno (dato del 2022). Non è un segreto che l’esercito di Kiev, impegnato nella controffensiva, necessiti di armi, munizioni, sistemi di difesa aerea per abbattere i droni iraniani utilizzati dai russi e di veicoli blindati ed è fatto noto anche ai russi che i magazzini dell’esercito ucraino si stiano svuotando. Per tentare di parare il colpo, come ricorda Bloomberg, la settimana scorsa l’Ue ha concordato una serie di misure volte a incrementare la produzione di munizioni e missili del blocco, inclusi 500 milioni di euro per aiutare le aziende ad aumentare le loro capacità produttive. Fin qui la fotografia, ma il tema è politico-strategico e investe tutte le cancellerie europee, Usa e Nato. Facciamo un passo indietro e uno avanti; da tempo i governi europei provano a rimediare agli errori del passato e stanno provando già da prima dell’invasione dell’Ucraina a rilanciare le proprie industrie belliche per rafforzare la propria sicurezza. E qui torniamo alle forniture, ad esempio di aziende Usa come Raytheon technologies corp o Lockheed Martin corp, giganti del settore che nonostante le dimensioni non riescono a coprire la domanda globale di armi e munizioni. Al tempo stesso il presidente Usa, Joe Biden, da tempo chiede all’Europa (come aveva fatto Donald Trump) di assumersi maggiori responsabilità e costi per la propria difesa. Per questo Germania, Francia e Italia vogliono ridurre la loro dipendenza dalle armi made in Usa e far da soli. Una soluzione potrebbe arrivare se i leader Nato decideranno, magari già a Vilnius, di far partire un progetto sull’industria della Difesa europea che in primo luogo tenga conto che armi e munizioni siano compatibili con tutti i sistemi utilizzati dai diversi Paesi. Un tema non certo secondario, visto che l’Ucraina ha pagato agli appaltatori centinaia di milioni di dollari per armi che non le sono state consegnate, e alcune delle tanto pubblicizzate armi donate dai suoi alleati erano così decrepite da essere ritenute idonee solo per i pezzi di ricambio. Come detto, il tema è politico e ruota attorno al fatto che le aziende europee non si fidano fino in fondo dei ministeri della Difesa loro clienti e servirebbe che qualcuno prendesse l’iniziativa in modo da delineare un percorso. Ma cosa fareste se foste voi a dirigere una di queste imprese, sommerse dagli ordini, ben sapendo che per aumentare la produzione e costruire le strutture necessarie ci vorranno tre o cinque anni, quando magari la guerra sarà finita da un pezzo? Le aziende, che hanno buona memoria, si ricordano anche dei ripensamenti del passato e anche del fatto che la maggior parte dei governi dell’Ue non è mai riuscita ad adempiere agli obiettivi della Nato, che chiede di spendere almeno il 2% del Prodotto interno lordo per la Difesa (richiesta reiterata venerdì scorso). Sempre a proposito di rapporti tesi, c’è il tema dei tempi di consegna, che i funzionari governativi vorrebbero più celeri e per questo chiedono alle aziende di fare di più, ma nessuno ha la bacchetta magica. Inoltre la burocrazia imposta dagli stessi funzionari rallenta tutto. Bloomberg cita l’esempio della Bae Systems, che confrontata con l’aumento della richiesta e le difficoltà logistiche, una su tutte il reperimento di semiconduttori e la difficoltà nel trovare manodopera qualificata, si trova al punto di consegnare un veicolo ordinato stamattina solo nel 2030, senza dimenticare che non tutte le banche sono disposte a concedere prestiti al settore, per paura del «danno reputazionale». Come se ne esce? Il rischio è che, visti i ritardi, i governi potrebbero trovare fornitori negli Stati Uniti, in Israele o nella Corea del Sud. La Polonia sta spendendo 15 miliardi di dollari in attrezzature di difesa missilistica americana Patriot ed è diventata il più grande cliente di armi della Corea del Sud dall’inizio della guerra.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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