2024-05-28
Ma l’Alleanza adesso è spaccata. Soldi al Nord e potere a Erdogan
L’aggressione di Vladimir Putin ha spostato il baricentro della Nato lasciando libertà al Sultano a Sud. E a rimetterci siamo noi.In molti sostengono che la Nato senza gli Usa non abbiano le gambe. Altri sostengono che l’Alleanza atlantica dovrebbe avere una testa diversa da quella americana. E che dopo troverebbe gambe e strada da percorrere. Nel 2019 la Francia, per bocca di Emmanuel Macron, aveva definito l’organizzazione «in stato di morte celebrale». Cioè prima del Covid, della guerra in Ucraina e delle tensioni in Medioriente. Poi sono arrivati i tentativi di Parigi di trainare il carro fin dentro l’Ucraina. In più occasioni Macron ha fatto sapere si essere pronto a mandare propri soldati nel territorio di Kiev. Ieri, infine, si è consumata una spaccatura che lascerà il segno. Spaccatura tutta interna, provocata dalle dichiarazioni dell’attuale segretario Jens Stoltenberg. Il politico norvegese ha aperto all’utilizzo di armi Nato direttamente contro le truppe di Mosca in territorio russo. Così, prima alcuni leader Ue, tra cui il nostro ministro Guido Crosetto, hanno precisato che Stoltenberg ha parlato per sé, poi è arrivata la smentita della stessa struttura. «La presa di posizione del segretario generale sulla possibilità che gli ucraini usino le armi alleate per colpire il territorio russo è inusuale», ha diffuso una velina una fonte interna, precisando che si tratta «di un importante contributo alla discussione, che è in corso, ma il suo ruolo non è quello di dare le linee guida agli alleati», ha notato la fonte. Un modo chiaro di prendere le distanze e ribadire che l’impegno iniziale della Nato sarebbe stato quello di assistere dalle retrovie ed evitare un ruolo pro attivo. La domanda di fondo resta una. Per conto di chi Stoltenberg ha alzato il polverone? Quale era l’obiettivo? Non è da escludere che ci sia stata una condivisione con un pezzo di deep state Usa, i quali premono per un ruolo più operativo della Nato. D’altro canto non si può non notare che l’attuale segretario risponda a logiche nordiche. Con ciò intendiamo relazioni e legami che si riconducono ai Paesi Scandinavi, baltici e alla fascia tedesca e polacca. Rafforzare quell’area della Nato significa darle più potere economico e agevolarla nelle commesse militari oltre che nelle scelte strategiche. La Nato deve fare però i conti con risorse limitate e se si spendono più soldi a Nord per tutelare il fianco Est, ci saranno meno fondi per garantire il fianco Sud. Non ci meravigliano dunque le polemiche e le reazioni. Purtroppo, invece, ci meraviglia il fatto che travolti dall’emozione bellica non ci sia stata una approfondita analisi degli effetti dell’allargamento Nato ai due nuovi Paesi: Svezia e Finlandia. L’unico politico che si è messo di traverso è stato nel 2023 Recepp Erdogan. Criticato dai più perché faceva i propri interessi, è però stato il solo a ottenere dei benefici. Invece di criticarlo avremmo dovuto osservarlo ed evitare che giocasse la partita da solo con Stoltenberg e gli Usa. Riguardo le concessioni da parte dell’Occidente, «Erdogan sa di poter ottenere molto, soprattutto da Washington, che anche per la competizione con Cina e Russia non può mantenere la sua politica di distanziamento sociale nei confronti di Erdogan: per questo poche ore dopo il via libera alla Svezia nella Nato, l’amministrazione Biden», scriveva correttamente Il Foglio a luglio 2023, «ha annunciato che procederà con il trasferimento degli aerei da combattimento F-16 alla Turchia». Era infatti una condizione fondamentale per Ankara per dire sì all’allargamento, pure se i due Paesi hanno sempre detto che le due questioni non erano legate. Parlando in tv, prima di partire per il vertice della Nato, il presidente turco aveva inoltre collegato l’adesione della Svezia all’Alleanza con la candidatura della Turchia all’Unione europea, in stallo dal 2018. Forse un modo per placare la crisi inflattiva. Non sappiamo se questo fronte avanzerà, ma di certo Ankara ha ottenuto lo sbilanciamento a Nordest della Nato e di conseguenza il depotenziamento del fianco Sud. Che è quello più importante per noi. Ankara continua a mostrarsi come una medaglia con facce opposte. Da un lato dialoga con la Nato e l’Ue, dall’altro fa affari e business con la Russia, la Cina e l’Iran. Basta guardare quante navi iraniana sono «occultate» da vettori turchi o quante aziende miste consentono la triangolazione di tecnologia duale, che significa militare, verso l’Asia e Mosca. Ciò significa che la Nato ha dato un’ulteriore spinta al progetto blu di Erdogan, colore che sta a indicare il luogo verso cui l’impero ex ataturkiano vuole proiettarsi. Tradotto: il Mediterraneo. L’Italia è in mezzo. Se la Nato si occupa solo del Nordest Europa ci lascia soli e il Piano Mattei avrà ben poche risorse per camminare. Non bastano i soldi per combattere l’avanzata russa nel Sahel. Ci vuole diplomazia ma soprattutto deterrenza militare. Altrimenti i colpi di Stato per favorire regimi militari pro Mosca aumenteranno. In sei anni ce ne sono stati già cinque. Il Niger resta a metà del guado e al momento gli unici militari occidentali presenti sono i nostri. Sono costretti a convivere con i mercenari di Africa Korps, gli ex Wagner. A questo punto o facciamo in modo che la Nato si rimetta mani e piedi sotto il controllo Usa ma con delle garanzie per un nostro ruolo nel Magreb. Altrimenti le spaccature proseguiranno fino a creare un’Europa a due velocità difficilmente conciliabile con fondi comuni per la Difesa e il nuovo patto di Stabilità.
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