
Per Gilberto Benetton, sullo yacht dopo la strage, non fare le condoglianze per giorni «è stato un segno di rispetto». Intanto, però, la famiglia prende le distanze dal management. E ricorda i miliardi investiti (ripagati da noi).Rientrato dalle vacanze che ha trascorso sul suo yacht (un panfilo di quasi 50 metri battente bandiera inglese, of course), Gilberto Benetton ha deciso di occuparsi in prima persona del crollo del ponte Morandi costato la vita a 43 persone. Lo ha fatto il giorno in cui sono arrivati 20 avvisi di garanzia, con un'intervista al Corriere della Sera, il cui succo si riassume in una riga: la strage dev'essere un monito per i prossimi anni. Sì, avete letto bene. Nessuna scusa, nessuna ammissione che qualcosa non abbia funzionato al meglio, anche solo nelle ore immediatamente successive alla disgrazia, quando Autostrade, ossia la concessionaria del viadotto, diramava comunicati in cui la preoccupazione era rivolta non tanto ai morti, ma a precostituire una linea difensiva. No, tutto giusto, anche il ruolo del management oltre che quello degli azionisti. Dopo di che il disastro che ha sepolto intere famiglie è un avvertimento da tenere presente per il futuro. Un ammonimento da trasmettere a chi si occupa di sicurezza autostradale: occhio, vedete di non ricascarci.E il silenzio? L'assenza di dichiarazioni durata giorni, mentre tutta l'Italia vibrava di indignazione per quello che era successo? Un segno di rispetto. Siamo stati zitti, non abbiamo fatto neppure le condoglianze ai parenti delle vittime, ma solo perché siamo rispettosi. Dalle nostre parti si usa così. Eh, già. In Veneto, a Ponzano, quando manca una persona, invece di far visita al defunto si fa finta di niente. È morto tizio? Zitto, porta rispetto. Se vedi un familiare dello scomparso, scantona: si sa mai che trovandotelo davanti ti scappi di farfugliare «condoglianze». No, meglio il silenzio (del resto di non parlare lo consiglia anche papa Francesco, a proposito del memoriale Viganò sui vescovi pedofili). Gilberto, che è considerato il più furbo della famiglia, o per lo meno quello che ha fatto fruttare meglio i miliardi guadagnati con i maglioni, al Corriere ha spiegato che la loro holding alla fine ha parlato, ma lo ha fatto a voce bassa, «perché la discrezione fa parte della nostra cultura». I Benetton, il cui fratello Luciano, essendo discreto, all'alba dei sessant'anni si fece ritrarre come mamma l'ha fatto per la copertina di Panorama, sono così riservati che il giorno della tragedia e anche il giorno dopo hanno fatto festa. Alla prima, cioè quando a Genova si scavava per tirar fuori i corpi, a Cortina «qualcuno ballava sui tavoli e la musica a tutto volume è andata avanti fino a tardi», come ha testimoniato chi c'era, la seconda invece ha riunito una settantina di persone a cui sono stati offerti un menu di pesce e un po' di vino. Insomma, festa sì, ma riservata, in ricordo di un fratello scomparso, mica degli scomparsi sotto il ponte Morandi.Nell'intervista, Gilberto Benetton però rivendica di aver fatto diramare 48 ore dopo un comunicato della holding con parole inequivocabili: «Forse non siamo stati sentiti». Eh già, forse c'era la musica a tutto volume che ha coperto tutto. Il resto, come i commenti sull'insensibilità manifestata nelle ore successive al crollo, sono solo «insinuazioni». «Ero in vacanza, come credo la maggior parte degli italiani». Sì, ma la maggior parte degli italiani non ha a disposizione un aereo o un elicottero per rientrare dalle vacanze in caso di disgrazia, e soprattutto, al contrario di un signore che le vacanze le ha proseguite tra Cortina e il suo yacht, con la società Autostrade non ha guadagnato miliardi.Il meglio del colloquio con il Corriere arriva però quando si arriva alle responsabilità. E lì si capisce bene che le tre settimane di silenzio sono servite soprattutto a parlare con gli avvocati. Già, perché se da un lato elogia la competenza e l'eccellenza dei vertici di Autostrade, dall'altro Gilberto Benetton ci tiene a separare il destino degli azionisti da quello dei dirigenti, segnalando che i soci, cioè lui e i fratelli, «non si sono mai sostituiti ai management». Se sono stati commessi degli errori, la colpa non può dunque essere attribuita alla famiglia di Ponzano. Chiaro il concetto?Insomma, nulla da rimproverarsi, anche perché loro, i Benetton, hanno investito un sacco di soldi in sicurezza. Fa niente che quel sacco di soldi non sia uscito dalle loro tasche, ma da quelle di chi ha pagato il pedaggio, mentre nelle loro tasche di quattrini ne siano entrati a palate, prova ne sia che Autostrade è una delle società che ha distribuito dividendi a pioggia. Fa niente neppure che quando fu privatizzata, l'azienda sia stata comprata a debito, cioè con i soldi delle banche, e poi questo debito sia stato scaricato tutto sui conti di Autostrade, liberando gli azionisti da qualsiasi peso, se non quello di incassare ogni anno la remunerazione dell'investimento. No, questo è secondario. Perché come Gilberto ha spiegato a più riprese nell'intervista, il compito di un imprenditore è la creazione di valore. E i Benetton di valore ne hanno creato. «Avreste potuto fermarvi prima?», gli chiede Daniele Manca, il giornalista. Risposta: «Sì, avremmo potuto fermarci molto tempo fa, goderci la vita con quello che avevamo creato. Invece siamo ancora qui». Abbiamo capito: altro che metterli sul banco degli imputati, i Benetton li dobbiamo ringraziare. Perché non se la godono.
Federica Picchi (Ansa)
Il sottosegretario di Fratelli d’Italia è stato sfiduciato per aver condiviso un post della Casa Bianca sull’eccesso di vaccinazioni nei bimbi. Più che la reazione dei compagni, stupiscono i 20 voti a favore tra azzurri e leghisti.
Al Pirellone martedì pomeriggio è andata in scena una vergognosa farsa. Per aver condiviso a settembre, nelle storie di Instagram (che dopo 24 ore spariscono), un video della Casa Bianca di pochi minuti, è stata sfiduciata la sottosegretaria allo Sport Federica Picchi, in quota Fratelli d’Italia. A far sobbalzare lorsignori consiglieri non è stato il proclama terroristico di un lupo solitario o una sequela di insulti al governo della Lombardia, bensì una riflessione del presidente americano Donald Trump sull’eccessiva somministrazione di vaccini ai bambini piccoli. Nessuno, peraltro, ha visto quel video ripostato da Picchi, come hanno confermato gli stessi eletti al Pirellone, eppure è stata montata ad arte la storia grottesca di un Consiglio regionale vilipeso e infangato.
Jannik Sinner (Ansa)
Alle Atp Finals di Torino, in programma dal 9 al 16 novembre, il campione in carica Jannik Sinner trova Zverev, Shelton e uno tra Musetti e Auger-Aliassime. Nel gruppo opposto Alcaraz e Djokovic: il duello per il numero 1 mondiale passa dall'Inalpi Arena.
Il 24enne di Sesto Pusteria, campione in carica e in corsa per chiudere l’anno da numero 1 al mondo, è stato inserito nel gruppo Bjorn Borg insieme ad Alexander Zverev, Ben Shelton e uno tra Felix Auger-Aliassime e Lorenzo Musetti. Il toscano, infatti, saprà soltanto dopo l’Atp 250 di Atene - in corso in questi giorni in Grecia - se riuscirà a strappare l’ultimo pass utile per entrare nel tabellone principale o se resterà la prima riserva.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Negli anni Dieci del secolo XX il fisiologo triestino Amedeo Herlitzka sperimentò a Torino le prime apparecchiature per l'addestramento dei piloti, simulando da terra le condizioni del volo.
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Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Stadio di San Siro (Imagoeconomica)
Ieri il Meazza è diventato, per 197 milioni, ufficialmente di proprietà di Milan e Inter. Una compravendita sulla quale i pm ipotizzano una turbativa d’asta: nel mirino c’è il bando, contestato da un potenziale acquirente per le tempistiche troppo strette.
Azione-reazione, come il martelletto sul ginocchio. Il riflesso rotuleo della Procura di Milano indica un’ottima salute del sistema nervoso, sembra quello di Jannik Sinner. Erano trascorsi pochi minuti dalla firma del rogito con il quale lo stadio di San Siro è passato dal Comune ai club Inter e Milan che dal quarto piano del tribunale è ufficialmente partita un’inchiesta per turbativa d’asta. Se le Montblanc di Paolo Scaroni e Beppe Marotta fossero state scariche, il siluro giudiziario sarebbe arrivato anche prima delle firme, quindi prima dell’ipotetica fattispecie di reato. Il rito ambrosiano funziona così.











