2020-02-18
L’uomo che fa volare la Lazio con due soldi
Igli Tare (Marco Rosi,Getty Images)
Igli Tare, ex attaccante albanese di Brescia e Bologna, dal 2009 è direttore sportivo della Lazio. Ha messo in piedi con grande fiuto la squadra che può soffiare il titolo alla Juventus. Senza mai tradire la filosofia del risparmio del patron Claudio Lotito.Breve tuffo nell'epica cortese cavalleresca. Ci sono due cavalieri di provata fama, bardati di tutto punto. Uno maneggia Excalibur, l'altro Durlindana. Se le danno di santa ragione per accaparrarsi i favori di una dama così ricca da far passare in secondo piano le fatiche da compiersi per concupirla. Nella baruffa si insinua un terzo individuo: ha l'occhio sveglio, la sua armatura non appare lucida quanto quella dei due litiganti, però è veloce, scaltro, agilissimo. Si carica a cavallo la pulzella anelata e se la svigna galoppando di gran carriera, in barba agli altri pretendenti. Ecco. I due sfarzosi guerrieri, ringalluzziti da mecenati facoltosi, potrebbero incarnare la Juventus e l'Inter. Il terzo, la Lazio. La dama, manco a dirlo, è lo Scudetto. Non è poi così peregrino immaginare un finale del genere, nel duello in corso per la supremazia nel campionato di Serie A. Soprattutto alla luce del recente successo biancoceleste all'Olimpico contro i nerazzurri di Antonio Conte, che ha spinto il direttore sportivo dei laziali, Igli Tare, a dichiarare: «Vincere il campionato? Servirebbe una stagione perfetta. Siamo secondi in classifica. Restiamo con i piedi per terra. Ma quando ho iniziato a costruire questa squadra, lo ammetto, non ho escluso la possibilità di arrivare primi».Igli Tare appartiene a quella specie sorniona di cui fanno parte le volpi, qualità a cui aggiunge uno stakanovismo maniacale e il pragmatismo terrigno della sua terra d'origine, l'Albania. È lui, questo ex attaccante di Serie A dal capello color pel di carota, 47 anni, 192 cm di statura, 89 kg di peso, una laurea in Economia, sei lingue parlate con disinvoltura (albanese, italiano, inglese, tedesco, spagnolo, greco), il deus ex machina capace di conquistare un presidente dal carattere spigoloso come Claudio Lotito a suon di risultati, dopo qualche litigio iniziale. Spesso facendo le nozze con i fichi secchi, trasformandole in un banchetto luculliano per appetiti voraci. Se la Juventus ha alle spalle un'azienda di nome Fiat ed è incline ad aprire il portafoglio per finanziare campagne acquisti ambiziose, e l'Inter è nelle mani del colosso cinese Suning, gli aquilotti di Roma prediligono, per direttive societarie, mantenere i conti al sicuro, smorzare i voli pindarici di mercato, allestire una rosa di qualità scovando talenti da valorizzare a prezzi contenuti. Quando, durante la stagione 2008/09, Lotito, incuriosito dalla sua mentalità, diede le chiavi del mercato a Tare, allora centravanti della Lazio in odore di ritiro, gli chiese proprio questo. Lusingandolo con poche parole: «Da tempo penso a questo ruolo per te, hai due giorni per decidere». La risposta fu affermativa. Il resto è storia di oggi, ammantata di quelle tinte che contraddistinguono le azioni destinate a diventar leggenda. Tre Coppe Italia conquistate, tre Supercoppe italiane, l'ultima delle quali quest'anno, suonando come un tamburo la Juventus di Maurizio Sarri. Un terzo posto in campionato, tanti piazzamenti in zona Europa. Nessun acquisto nel mercato di riparazione del gennaio scorso.Soprattutto, un carniere di calciatori scritturati qua e là per pochi danari con minuziosa attenzione ai dettagli e un metodo di lavoro consolidato. «Non amo essere circondato da troppe persone, per questo motivo non ho osservatori. Ho un collaboratore per i dati tecnici, uno che mi prepara i video dei giocatori da visionare, uno per l'analisi degli avversari. E poi i report di tanti amici in giro per il mondo. Ma ciò che rende davvero bravo un direttore sportivo è il saper intuire prima degli altri se uno sconosciuto può diventare un giocatore importante. Vederlo non basta: bisogna parlare con lui, conoscerne la personalità», dice Tare. Sergej Milinkovic-Savic, centrocampista serbo col fisico da giannizzero e il piede da fatina, è arrivato dal Genk alla Lazio per 10 milioni di euro, dopo che Tare ha dribblato la concorrenza della Fiorentina. Ora ne vale quasi 100 ed è corteggiato da mezzo continente. Il portiere albanese Strakosha, felino tra i pali, gli è stato consigliato dall'amico fidato Fotaq, padre di Thomas, celebrità del calcio balcanico. Qualche anno prima, il prolifico attaccante Miroslav Klose (13 gol segnati nella stagione 2014) firmò dal Kaiserslautern perché convinto dal progetto «dell'amico Igli». E ancora. Fu Tare a credere nelle potenzialità di Ciro Immobile, reduce da un'annata deludente in Germania e additato come flop della nuova generazione di pedatori italiani. Non scordando il ventottenne difensore olandese Stefan de Vrij, prelevato dal Feyenoord per circa 8 milioni di euro, poi passato all'Inter. O il trequartista spagnolo Luis Alberto, faro del gioco biancazzurro: soprannominato fino al 2016 il «principe pigro», quasi a rimarcarne un talento inespresso, è arrivato a Roma per meno di dieci milioni dal Liverpool. Adesso ne vale circa 40. Merito anche dell'allenatore Simone Inzaghi, che ha insegnato ai suoi una mentalità razionale, misurata spregiudicatezza nelle ripartenze, coesa lucidità. Fu proprio Tare, consultandosi con Lotito, a investire Inzaghi del ruolo di tecnico, promuovendolo dalla panchina della Primavera. Le fondamenta di una nuova carriera sedimentano sull'immaginario delle vite precedenti. La vita di Tare prima di diventare direttore sportivo lo voleva attaccante di discreta solidità offensiva, piede destro potente. Ha giocato in Bundesliga, in Italia ha militato in Serie A nel Brescia, a fianco di Roberto Baggio, segnando 15 reti su 75 presenze, nel Bologna di Carletto Mazzone, nella Lazio, dove ha concluso l'attività agonistica. Sono in tanti, i presidenti a sognare i suoi servigi come Ds. E se Lotito ne blinda il contratto, lui pare avere le idee chiare: «Sono laziale e una cosa che non tollererei mai sarebbe vedere i miei figli giocare nella Roma. Nel mio futuro, magari un giorno, mi piacerebbe allenare la nazionale albanese».
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