2019-09-12
L’Unione europea ne dice una giusta. Letta e la sinistra perdono la testa
Il nuovo commissario alle migrazioni Margaritis Schinas ha la delega alla «protezione del nostro stile di vita». Le Ong: «Fascista». La concezione neutra dell'Ue va in cortocircuito con un giudizio di valore: qual è, oggi, la civiltà da proteggere?Esiste uno «stile di vita europeo»? E se sì, esso merita di essere difeso? E da chi? Sono bastate poche parole appiccicate alla delega del neo commissario Ue alle migrazioni, il greco Margaritis Schinas, per illuminare un problema ben più profondo di quanto appaia. L'ex portavoce di Jean-Claude Juncker è infatti stato incaricato, come vicepresidente della Commissione von der Leyen, di gestire le pratiche migratorie e di «proteggere il nostro stile di vita europeo» («VP for Protecting our Way of Life», come recita il suo stesso tweet).È successo un macello. Amnesty international, i siti dei principali giornali online, Human rights watch, pure Enrico Letta (che per una poltrona Ue è stato in ballo, stando a molte ricostruzioni giornalistiche) hanno sollevato obiezioni anche molto scandalizzate. L'ex presidente del Consiglio ha scritto ieri: «Con franchezza. La competenza della nuova Commissione Ue sulle migrazioni ridenominata #proteggereilnostromododivivere, anche no. Semplicemente no. Ma proprio NO!». Addirittura per Andrew Stroehlein, di Hrw, la von der Leyen cede alla cornice ideologica («framing») della «estrema destra». Un'altra sigla ecologista, Friends of the Earth, è andata giù più piatta: «L'idea per cui gli europei debbano essere protetti da culture esterne è un pensiero fascista che non dovrebbe neppure sfiorare le politiche dell'immigrazione».La matrice di questa critica affonda comodamente nella temperie liberale: le culture sono ugualmente degne, il perimetro del vivere civile garantisce assoluta libertà di autodeterminazione purché non leda quella altrui. È difficile trovare una sintesi migliore di quella formulata da Jean-Claude Michéa: da un lato c'è «lo Stato di diritto, ufficialmente neutro sul piano dei valori morali e “ideologici", la cui unica funzione è badare che la libertà degli uni non nuoccia a quella degli altri (una Costituzione liberale ha la stessa struttura metafisica del codice della strada). Dall'altro, il mercato autoregolatore, che si presume permetta a ciascuno di accordarsi pacificamente con i suoi simili sull'unica base dell'interesse ben compreso delle parti coinvolte».Qui inizia il cortocircuito esplosivo che fa sobbalzare Letta e tanti altri: la tecnocrazia liberale non può che concepirsi neutra e inevitabile. Non può, letteralmente, esprimere un giudizio di valore su uno «stile di vita» da tutelare a scapito di un altro, men che meno se ciò vìola la mistica del migrante-risorsa. L'ex premier margheritino in un certo senso ha dunque ragione a denunciare questa aporia, che la lettera di incarico a Schinas non scioglie: «Proteggere il nostro stile di vita europeo richiede di assicurarsi che i lavoratori siano attrezzati per prosperare in un mercato del lavoro in evoluzione», si legge in un terrificante «europeese» condito di skills, integrazioni, coesioni, tools, peace of mind e molti, molti valori.Già, ma quali? L'Erasmus? Involontariamente, l'etichetta appiccicata al commissario apre una questione drammatica: esiste uno stile di vita europeo oggi? Una cultura e una storia europee come vengono espresse, testimoniate, vissute nel presente, e dunque chi e come possono tutelarle? Solo iniziare a parlare di un patrimonio da difendere fa scattare, come si è visto, accuse di fascismo. Del resto, la battaglia - perduta - sul riconoscimento anche solo formale delle radici cristiane dice molto della considerazione che le istituzioni comunitarie hanno dell'Europa. Ammettere una cosa vera, e cioè che l'Occidente ha una peculiarità e una identità irriducibili ad altre culture, corrode il pilastro del relativismo su cui si fonda l'assetto contemporaneo. Il quale presuppone una concezione che si vuole neutra e data dell'uomo (dunque della famiglia, del lavoro, della società, del mondo), e perciò incapace di fondare qualunque valore: culturale, nazionale, antropologico. Ma un'antropologia neutra non esiste, malgrado i tentativi della modernità di fondarla. Per questo la querelle sullo stile di vita farebbe ridacchiare, fosse ancora al mondo, Ernst-Wolfgang Böckenförde, filosofo e giudice della Corte costituzionale tedesca un po' più problematico dei nostri quanto ai dogmi dello stato liberale. Il suo celebre dilemma recitava così: «Lo stato liberale secolarizzato si fonda su presupposti che esso stesso non è in grado di garantire. Da una parte, esso può esistere solo se la libertà che garantisce è disciplinata a partire dalla sostanza morale del singolo individuo e dall'omogeneità della società. D'altro canto, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne esso ricade - su un piano secolarizzato - in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali».Lo scontro su Schinas non finirà qui, al netto dei tentativi che la Commissione farà per disinnescare la polemica sulla «protezione». Mentre in un Vaticano in pieno «nuovo umanesimo» si insedia il «Comitato superiore per raggiungere gli obiettivi contenuti nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale», dal seno dei burocrati europei fugge una voce meno onusiana e più realista. Un confuso e forse involontario accenno all'identità che smentisce i presupposti di tutto ciò su cui si fonda «filosoficamente» l'Unione europea: lotta alle discriminazioni come unico orizzonte sociale, libertà di circolazione di merci, capitali e persone come solo scopo ideale, assorbimento delle sovranità nazionali come fine politico. Deve trattarsi di un errore, ma è un errore interessante.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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