2021-08-28
Il doppio richiamo della Lunigiana: testi al Bancarella ma anche nel piatto
A Pontremoli c'è il premio letterario e persino il Testarolo pride. Dove le sole trasgressioni ammesse sono i bizzarri abbinamenti.Siamo in una terra di confine tra Liguria e Toscana, tra il mare e la montagna, i colli parmensi un passo più in là, oltre le alpi Apuane e gli Appennini. La capitale storica è Luni, antico insediamento romano, un tempo il porto più importante del Mar Ligure. Da qui la Lunigiana che spostò il suo baricentro, nei secoli successivi, all'interno, cioè a Pontremoli, terra di passaggio della via Francigena lungo le nuove rotte commerciali tra la terraferma e il Mediterraneo. Un tempo di chiamava Apua, storica capitale dei Liguri che si erano opposti ai legionari mandati da Roma. Terra abitata fin dall'età del bronzo, a testimoniarlo i megaliti antropomorfi in bella vista entro il Museo, un unicum a livello nazionale. Nel Rinascimento terra contesa tra le più importanti signorie del tempo, dai Doria ai Visconti o gli Sforza. Con un patrimonio storico di tale fatta ci fu chi provò a darle un'identità precisa, la Lunezia, proponendola ai padri costituenti nel 1946, regione di mezzo tra Toscana, Liguria ed Emilia. Non se ne fece nulla, ma l'identità rimase, compreso il mix di sfumature dialettali cha variano di paese in paese. Come ha ben sottolineato Giulia Ubaldi la Lunigiana è un'area complessa con ampi riflessi anche sulla sua cultura materiale, una cucina che, per certi versi, è un mondo a sé. Pontremoli viaggia di doppia fama. Pochi lo ricordano, ma da qui sono partite generazioni di librai ambulanti. Con i proventi della vendita di castagne, formaggi o foglie di gelso per la bachicoltura, acquistavano i fondi di magazzino delle case editrici e, declamando Dante Alighieri ed Edmondo De Amicis tra le campagne e le piazze di città, sfidavano le librerie tradizionali. Alcuni nomi poi consolidatisi con profonde radici in territori altri. Dai Fogola a Torino ai Tarantola nel Veneto. Da qui il Premio Bancarella, una delle più solide tradizioni nazionali, accanto ai più paludati Strega e Campiello. Gemmazione naturale il Bancarella cucina, un ricco palmares, iniziato nel 2006, che ha visto premiati autori quali Massimo Montanari, Clara e Gigi Padovani, Andrea Grignaffini, tanto per citarne solo alcuni. I momenti conviviali celebrati con il re dei piatti locali, i testaroli. E qui comincia una antologia di storie dai mille risvolti. A cominciare dall'etimo. Per alcuni deriva da testum, termine latino con cui si definivano gli originali recipienti di terracotta su cui si preparavano da sempre, sostituiti a fine Ottocento dai testi in ghisa, più resistenti. Poi c'è la versione un po' romanzata. Nel 1647 arrivò a Pontremoli il Doge di Genova, Giovanni Battista Lomellini, che aveva appena acquistato il Ducato di Pontremoli dai Gonzaga. Di salute malfermo causa gotta, doveva seguire un'alimentazione controllata. In cucina la cabina di regia era affidata a un tabarkino, tale Chokri, il quale si era portato da Genova tutto il suo armamentario, tra cui delle strane pignatte di terracotta che incuriosirono il locale personale di servizio. Chokru era, per tutti, «teston», considerata una capoccia extra large a definirne i contorni. Quando se ne andò, al seguito del suo Doge, le donne di Pontremoli si diedero da fare per replicare alcuni degli arnesi che gli avevano visto usare, tra cui, per proprietà transitiva, i testi, e così si consolidò la tradizione dei testaroli tanto che qualcuno così li ha descritti: «sono la summa di una sapienza popolare mai perduta, la loro consistenza un po' spugnosa li rende perfetti per accogliere qualsiasi salsa» anche se, l'abbinamento principe, è con il «pesto povero», ovvero olio, parmigiano e fine trito di basilico. Già l'aggiunta dei pinoli li rende più aristocratici. La preparazione è tanto semplice quanto frutto di sapiente manualità. I testi sono formati da una base, il sottano, e un coperchio, il soprano. Entrambi vengono posti con la base di cottura sopra le braci ardenti, preferibilmente di faggio e castagno. Una volta entrati in temperatura il sottano viene girato e, alla sua base, si dispone una pastella fluida composta da acqua tiepida, sale e farina. Ne risulta un disco di circa quaranta centimetri di diametro. Si copre il tutto con il soprano a sua volta rivestito da un vello di cenere, formando così una campana di calore. Dopo di che il testarolo può essere riposto nella dispensa per il secondo tempo. Una lavorazione semplice, ma dagli effetti che lasciano il segno, le pareti annerite in breve tempo dal fumo esuberante. Pertanto si usavano locali appositi, i gradili, ovvero gli essicatoi dove si lavoravano le castagne. Locali fuori dall'ambito domestico chiamati anche cucina nera. Multiuso. Oltre all'essicazione delle castagne e alla preparazione dei testi erano luoghi di aggregazione familiare dove si passava un po' del tempo libero che rimaneva, i nonni a raccontare l'ampio arsenale di storie e leggende di cui erano ricche le valli. Sembra che il mito del lupo mannaro sia nato proprio da queste parti. Si passa alla seconda fase, nella cucina accogliente dalle pareti linde. I dischi di pasta vengono tagliati a piccoli rombi. Li si sbollenta nell'acqua calda a fuoco spento, giusto per evitare che si spappolino e poi… voilà, il piatto è servito. I testaroli sono stati una piccola Cenerentola locale sino al secondo dopoguerra poi si sono accese le luci della ribalta con la produzione industriale, ma sono due prodotti diversi. Quello artigianale presenta la superficie bucherellata, a seguito dell'evaporazione dell'acqua. Di spessore sottile, morbido, una «spugna assorbente» degli umori che lo circondano. Quello industriale è più compatto, di maggiore spessore e quindi peso.La valorizzazione di questa antica tradizione frutto dei testi calienti si è abbinata ad una ulteriore attenzione verso i prodotti del territorio, come ha fatto ad esempio Giuseppe Tognarelli, capofila del recupero di una antica varietale agraria di Zeri, il grano 23, molto resistente alla coltivazione in ambiente montano, ideale per la produzione di prodotti poco lievitati come appunto i testaroli. Testaroli che la modernità ha reso eclettici tanto che, da alcuni anni, a Pontremoli si svolge il Testarolo Pride. Niente di trasgressivo, per carità, ma dagli abbinamenti spesso inconsueti e imprevedibili. Si va dai testaroli del pellegrino, omaggio agli antichi percorsi penitenziali della via Francigena, con prosciutto di Parma e stracchino, a degli inediti spaghetti di testaroli alla carbonara. Testaroli talmente duttili che ve li potete ritrovare a spiedino con lardo e caciotta, ma anche goloso fine pasto. Gratinati, ripieni di ricotta, castagna glassata e miele della Lunigiana, come all'alchermes, con fragole e cioccolato. Eppure, un tempo neppure troppo lontano, erano consolazione al lavoro e alla fatica fuori casa, tra i boschi. I testi, infatti, erano considerati sorta di piccoli forni portatili, facili da portare appresso a seconda di dove conduceva il lavoro e molto duttili nel preparare pietanze diverse. Cibo da viaggio. In questa fruizione ambulante ecco la variante di Fosdinovo, diffusa anche in altri centri della bassa Val di Magra. I testi sono più piccoli, giusto per dischi di circa venti centimetri di diametro. Vengono umettati con una mezza patata unta nell'olio e poi si procede come classica liturgia comanda. La pastella meno densa, così da non aver necessità di una seconda cottura. A questo punto li si metteva in saccoccia, arrotolati assieme a salumi, formaggio, funghi, il pesto d'ordinanza. Poteva anche capitare, per quei lavoranti che si addentravano nel bosco verso le cave di Colonnata, che si provvedesse in motion, raccogliendo un po' di erbe spontanee e dando il tocco finale con qualche fettina di lardo. Pontremoli riferimento quindi di testi a doppia lettura. Quelli da Bancarella libraria e quelli, altrettanto golosi, da papparsi in giro per il territorio. Una storia, quindi, da approfondire, con altre sorprese.
Jose Mourinho (Getty Images)