2019-09-28
Lumache, il «pesce» dei digiuni penitenziali
Più facili da catturare del mammouth o del coniglio, furono considerate un'ottima preda da caccia e una carne ricca di proteine. In seguito papa Pio V le sdoganò come cibo da magro. Furono un salvavita per il popolo nelle carestie dopo le epidemie di peste.La loro è stata una presenza costante e discreta nella storia. «Gli uomini hanno sempre mangiato lumache, più facili da catturare di un mammouth o di un coniglio selvatico», parola di un senatore della storia gastronomica come Livio Cerini di Castagnate. A supporto le «montagne» di gusci trovati nelle caverne del neolitico. Gli antichi greci attribuivano loro poteri afrodisiaci. Apicio le nutriva a latte sino a che non riuscivano più a rientrare nel guscio, prelibato ingrediente di plurime ricette. Tanta la richiesta in epoca romana che tale Fulvio Lippino, a Tarquinia, avviò un proficuo allevamento nei suoi cocleari, recinti dedicati. Con la caduta di Roma le chiocciole restarono oggetto di caccia domestica per le popolazioni delle aree rurali. Seguì un lento risorgere. Papa Pio V le sdoganò come cibo di magro con il suo Estote pisces in aeternum, molluschi di terra equiparati al pesce nei digiuni penitenziali. Per l'illuminista Denis Diderot «solo i contadini mangiano lumache negli stufati e nelle minestre» anche se, nelle carestie che seguivano le epidemie di peste, furono spesso cibo salvavita. Il riscatto era prossimo. Ad esempio con la cena che, il 22 maggio del 1814, il principe Charles de Talleyrand offrì allo zar Alessandro I con una preparazione che poi divenne famosa, ovvero «alla bourguignonne». La quadratura del cerchio nel 1870 con Jean de la Porte: «La lumaca fa la felicità dei buongustai nelle stagioni d'autunno e d'inverno». Lumache ricche di proteine e vitamina A, povere di grassi. Le loro carni hanno la metà delle calorie di un pollo e un quarto del manzo. Le ritroviamo lungo una penisola che le celebra in ogni regione con piatti dedicati, sagre e, non ultimo, prodotto d'elezione nei vari trattamenti di bellezza con una chiocciola utile anche nella farmacopea rurale. In Sicilia, trita e mischiata a erbe, era impacco elettivo per le congiuntiviti. Con l'acqua dei suoi decotti si trattavano mal di gola, bronchiti, mal di stomaco considerate le sostanze battericide contenute nel suo muco. Già Ippocrate aveva notato come la bava delle chiocciole poteva essere utile, ma fu alla fine del Novecento che se ne ebbe conferma. Un allevatore cileno notò che le mani dei suoi dipendenti, addetti alla lavorazione manuale, erano sempre fresche e toniche. Dopo i fatti di Chernobyl furono le uniche specie viventi a restare immuni dagli effetti delle radiazioni. La bava contiene una serie di sostanze, dall'elicina all'acido glicolico, efficaci nel rinnovo dei tessuti collageni. Sotto forma di creme o gel, è molto utile nel trattamento di rughe, cicatrici, smagliature.La lumaca è diffusa in Italia in quasi tutte le regioni. Ecco l'helix pomatia, tra le Alpi e gli Appennini, la più conosciuta e apprezzata; come l'helix aspera, nelle zone mediterranee e al Sud, più piccola e componente principale dei vari allevamenti, in quanto molto resistente, dal facile sviluppo e riproduzione. Infine l'helix aperta, o cozza di terra, diffusa tra Puglia, Calabria e isole. Gli abitanti di Cannole, nei pressi di Otranto, vengono soprannominati cuzzari, vista la loro devozione all'umile mollusco. Qui la più grande sagra italiana con le monicedde in grande spolvero, cunzate con cipolla e peperoncino piccante (diavulicchiu). Vi sono poi infinite altre varietà (la Sardegna in pole position) e relativi soprannomi che, specialmente in Sicilia, variano da campanile a campanile. A Catania troviamo i crastuni (quelle più grosse, scure) in versione arrustuti, fritti o alla monsù. A Palermo regnano i babbaluci, venduti per i vicoli dai babbaluciari che abbainano (cioè gridano) insinuanti «accattitivi u' babbaluci». Il loro trionfo alla festa di Santa Rosalia, la notte del 14 luglio. Spadellate con olio, aglio e prezzemolo, richiedono un rito ben preciso, come ha sottolineato Gaetano Basile: «Mangiarle in maniera coerente è segno di riconoscimento». Con la punta del canino si perfora il guscio nel punto speculare all'opercolo. Poi vengono risucchiate, possibilmente con i decibel a mille. Tale procedura è denominata sucata. Il suo effetto è degno del neorealismo alla Vittorio De Sica: «Tale alimento conduce a uno stato estatico dell'individuo mangiante, ma un danno permanente all'organo visivo e olfattivo dell'umanità che lo circonda, costretta a subire la visione di migliaia di palermitani soddisfatti, con il prezzemolo tra i denti e olezzanti di aglio». All'epoca del Gattopardo, per le fanciulle in fiore, era stata inventata un'apposita forchettina, naturalmente d'argento. Il tutto riassunto in uno storico detto in uso tra Vucciria e dintorni babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun punnu mai saziari (babbaluci da succhiare e donne da baciare non ci si stanca mai). Al lettore trarne la conclusione. A Napoli troviamo le maruzze, i cui ambasciatori ambulanti sono i maruzzari, armati di ceste e pentoloni. Altro contesto a Roma, con la festa di san Giovanni. Qui, le innocenti lumachelle, erano demonizzate per le loro corna, viste a simbolo di discordie e preoccupazioni. Era conseguente, per esorcizzarle, «seppellirle nello stomaco e schiacciare i loro gusci per non essere utilizzati nelle pratiche esoteriche». A Venezia troviamo l'equivalente serenissimo dei babbaluci, qui chiamati bovoetti, star della festa del Redentore il terzo sabato di luglio. «con ogio e agio» (olio e aglio) stuzzicadenti in resta e fiasco consolatore a condire la serata sul Canal Grande. Bepo Maffioli ricorda come, nelle terre trevisane, «il guscio della chiocciola venisse usato come lumini in fantasiose composizioni» a decorare le varie feste patronali. In Emilia ecco le chiocciole alla bobbiese (nell'appennino piacentino) o alla casumarese (nei dintorni di dì Ferrara), con preparazioni di origine rinascimentale, tradizione della vigilia di Natale. Piatto di magro a sostituire i più costosi pesci, tanto che vale ancora il detto »far nozze con le lumache», ovvero cercare di far bella figura con poco. A Molini di Triora, nell'entroterra ligure, troviamo il lumacodromo, con relative olimpiadi chiocciolanti. Si narra di una certa Vanessa che ha «scalato» un palo di 1 metro nientemeno che in 13 minuti e 17 secondi. È il Piemonte la patria eletta di questa umile figlia della terra. A Cherasco si tiene a fine settembre un'importante manifestazione che, oramai, ha superato i confini nazionali. Qui ha sede l'Istituto nazionale di elicicoltura, autentico punto di riferimento per i sempre più numerosi elicicoltori. Ogni anno vengono assegnate le Chiocciole d'oro, riconoscimento al merito nelle varie discipline che tendono a valorizzare questo dono della natura. Non poteva mancare l'ultima tentazione golosa, ovvero le perle di Afrodite, dette anche caviale di lumache, ossia le loro uova. Una proposta nata in Francia e poi in ripresa da piccoli e giovani produttori siciliani. Chi le ha assaggiate ne narra meraviglie. Grazie a una particolare lavorazione regalano sentori di funghi, erica e bosco. Carlo Cracco le ha proposte con paccheri di montagna, lingua di vitello e chips di foglie di cipolla. Non mancano i gemellaggi di pignatta. Ovvero con le lumache di mare, come proposto da Marco Sacco, sulle rive del piccolo lago di Verbania o del marchigiano Mario Uliassi che, nel suo «fosso», le propone con le rane. Ecco allora che c'aveva azzeccato Trilussa con la sua ode: «La lumachella de la vanagloria/ch'era strisciata sopra un'obelisco/guardò la bava e disse: già capisco/che lascerò un'impronta nella storia» e pure Giuseppe Giusti, all'onore della staffa: «Viva la chiocciola, bestia esemplare. Non fa l'audace, ma frigge e tace».