2022-11-20
L’ultimo regalo di Speranza. Il governo rischia un buco da due miliardi
Ricorso contro la patrimoniale sulle aziende sanitarie varata con Daniele Franco: uno stop dei giudici sarebbe un guaio in più per Giancarlo Giorgetti.Non è bastato allontanare Roberto Speranza dal ministero della Salute con chiare indicazioni di voto per scordarci l’eco delle sue scelte. L’eredità, al contrario, è pronta a farsi viva e bussare al nostro portafogli. L’ex titolare della Salute assieme al collega dell’Economia, Daniele Franco, ai primi di agosto hanno deciso di tappare gli extra costi della pandemia o semplicemente le altre spese sanitarie in carico alle Regioni scaricando a posteriori gli oneri sulle aziende che forniscono le Asl o gli ospedali di tutti i dispositivi sanitari.Da lì, la scelta incostituzionale di applicare un «payback» alle imprese non solo è stata infilata nel decreto Aiuti bis in totale scontro con le norme civilistiche che tengono in piedi i bilanci, ma ha anche dimostrato che il sopruso subito durante la pandemia non era destinato a fermarsi con il Covid. Il giorno in cui Mario Draghi si è dimesso ha diramato una circolare per chiedere ai ministeri di affrontare e risolvere le pendenze lasciate nel cassetto. Formalmente una di queste era il «payback» per i dispositivi sanitari. Dal 2015 il comparto, formato da circa 4.000 aziende, attendeva la definizione di una particolare e molto discutibile tassa. In pratica si era più volte pensato di imporre ai fornitori della Pa di concorrere a ritroso a eventuali inefficienze dello Stato o delle Regioni. Idea molto discutibile. E non stupisce che sia rimasta nel cassetto così a lungo. Almeno fino a quando Speranza, sollecitato da Draghi, non ha pensato di intervenire con l’accetta. Risultato, con la diramazione del decreto il ministero ha decretato oltre 2 miliardi di extra budget per gli anni tra il 2015 e il 2018 e un altro miliardo e 600 milioni per i due anni successi. Ad agosto la prima tranche è stata messa a copertura del decreto Aiuti bis. Detto, fatto. Il 15 settembre è stata pubblicata in Gazzetta la certificazione dei tetti di spesa e avviati gli altri step che si completeranno il prossimo 14 dicembre, quando le aziende saranno chiamate a versare il dovuto, o almeno la prima rata. Quando, ai primi di settembre, su queste colonne abbiamo denunciato lo scippo di Speranza ci siamo soffermati sull’assurdità e sui pericoli a cascata del prelievo forzoso. A queste aziende, celebrate ai tempi del Covid, non viene data la possibilità di organizzarsi, viene imposta una tassa retroattiva sul fatturato e sarà negata la possibilità si sfilarsi da contratti diventati un mero costo. Il tutto mentre i valori delle bollette sono raddoppiati e si apprestano a triplicare. E sul fronte delle materie prime importate va se possibile ancora peggio. In parte su tali linee guida è stato presentato il primo ricorso al Tar. Lo studio legale Vaiano Cataldo, per conto di Pirinoli Enrico srl, si è opposto alla tassa chiedendo l’annullamento. Gli avvocati dell’azienda torinese specializzata in strumenti chirurgici e in generale in dispositivi monouso sottolineano il lato incostituzionale dell’imposta. Non solo nella retroattività, ma anche nel fatto che costituisce un prelievo patrimoniale che non è in alcun modo graduato né rispetto agli utili né alle perdite. In pratica le aziende si troveranno a contribuire a un buco non creato da loro restituendo fino al 50% dell’extra budget in base ai propri volumi e alle quote di mercato ma senza alcuna correlazione al proprio business. Le Regioni non sono nemmeno tenute a rendicontare le voci di spesa che hanno fatto sforare il budget. Magari la colpa è per una serie di investimenti nelle apparecchiature o nel costo del personale eppure pagherà anche chi produce aghi. Non solo. Un’azienda che opera in Lombardia pagherà meno di una omologa che opera in Toscana. Per il semplice fatto che la prima Regione è più virtuosa. I legali di Pirinoli fanno emergere anche un altro aspetto. Lo scippo non può nemmeno essere definito un esproprio. Paradosso insegna che a ogni esproprio corrisponde un indennizzo. Lo Stato avrebbe così potuto decidere di prelevare dalle imprese gli importi e successivamente prolungare i contratti in essere per un lasso di tempo necessario a compensare l’esproprio. Invece la norma è studiata così male che siamo a un livello successivo. O meglio più basso dell’esproprio. Il documento dimostra numeri alla mano che il progressivo aumento delle spese dei dispositivi medici si basa su esigenze molto precise e ben più alte da quelle che il ministero si ostina a valutare nel calcolo dei tetti di spesa. In pratica, se gli uomini di Speranza avessero fatto riferimento ai costi storici sarebbe uscito un calcolo quasi doppio e in ogni caso nulla a che vedere con il valore teorico del 4,4% imposto a posteriori dai tecnici della Salute. Al di là dei dettagli, appare chiaro che questo ricorso sarà l’apripista di una serie di altri ricorsi che nel complesso porteranno verosimilmente ad azzerare la norma. Un motivo per festeggiare in un Paese che ha dimostrato di non aver alcun rispetto per chi rischia i propri soldi, per chi investe e per chi ha la sfortuna di operare con il pubblico. Dall’altro lato, anche semplicemente con il pallottoliere alla mano, quando le aziende del comparto otterranno l’annullamento della patrimoniale, Speranza non pagherà alcunché. Sarà il prossimo governo ad avere un problema e noi a dover cacciare i soldi. I due miliardi a copertura dell’Aiuti bis andranno in qualche modo attinti dalla fiscalità generale. Tradotto, dalle nostre tasse. Poi bisognerà occuparsi dell’altro miliardo e 600 milioni che certamente non potrà essere usato per sostenere le prossime manovre.