2019-12-27
L’ultimo capolavoro di Hemingway è l’esercito di gatti che abita casa sua
Storia (e leggende) della colonia di felini polidattili amatissimi dallo scrittore e tuttora «padroni» della villa museo a Key West. Le loro zampe anomale portavano fortuna ai marinai e ispirazione al grande «Papa». «Un gatto tira l'altro», nell'ineluttabile certezza che la natura, con il suo teatro del calore, assicura alla specie. Ernest Hemingway, capitato a Key West su consiglio di John Dos Passos e insistenza della moglie, la seconda, Pauline Pfeiffer, avrebbe descritto così, con poche e semplici parole, l'esigenza di riempire il proprio cortile di gatti. Gatti speciali, polidattili li chiamano, per via di quelle loro zampette a sei dita o più. Il primo, Hemingway lo ha avuto in dono dal capitano di una nave militare, Stanley Dexter. Questi, com'era abitudine del tempo, portava sulle proprie imbarcazioni diversi esemplari di polidattili. Si credeva che per via delle dita in eccesso godessero di un equilibrio migliore, funzionale alla caccia e ai moti del mare. Dexter ne aveva diversi, di gatti polidattili. Ma il più bello, bianco, con il pelo folto, lo aveva chiamato Snow Ball, Palla di neve. Era una femmina, e quando Hemingway le posò gli occhi addosso, incuriosito dalle sue zampe strane e dagli occhi vispi, Snow Ball era incinta. Dexter decise quel giorno di regalare uno dei cuccioli allo scrittore che, nel pieno degli anni Trenta, con i romanzi da scrivere e la casa di Key West da riempire, se lo portò appresso, per non separarsene più.Snow White, Biancaneve, è stato il primo polidattile di Hemingway e la sua foto ancora troneggia sul muro della villa. Biancaneve, con il pelo candido della madre e gli occhi color del mare, è stata capostipite di una discendenza immensa. Prima mamma, poi nonna, infine ava, la cui memoria è serbata con cura, ha dato i natali a centinaia di gatti. Polidattili, tutti, perché Hemingway non ha voluto disperderne l'anomalia genetica. Nei periodi più prolifici, lo scrittore è arrivato a contarne 72. C'era Roosevelt e c'era Churchill. C'erano gli amici di Hemingway, Salvador Dalì e Pablo Picasso. C'era la sua prima moglie, la seconda e pure Dos Passos. Hemingway aveva deciso che ogni gatto avrebbe avuto il nome di un grande dei suoi tempi, per scherzo. E magari per risolvere nell'universo felino quei contrasti che per gli uomini sono insuperabili. Alla morte dello scrittore, avvenuta nel 1961, gli eredi non se la sono sentita di contravvenirne gli affetti. Così hanno venduto la casa di Key West a una signora del posto. E questa, una volta capito che non avrebbe mai potuto viverla in pace, con i turisti affollati al cancello e i gatti a scorrazzare liberi nel cortile, ha deciso di farne un museo. La casa, una meraviglia coloniale, posta sul punto più alto dell'isola, ai margini della Florida e degli Usa, è stata aperta al pubblico. Ma i gatti, quelle bestioline cui Hemingway ha dato tanto amore, sono rimasti. Oggi, portano ancora i nomi roboanti dei grandi. C'è Marilyn Monroe e c'è Joe Di Maggio. Ci sono Frank Sinatra e Sophia Loren. E sotto le foglie di banano, piccole lapidi raccontano chi c'era e non c'è più. Hemingway, racconta chi lavora nella casa, avrebbe voluto così. Perciò, con i ricavi della vendita di un biglietto modesto, 14 dollari per varcare il grande cancello in ferro battuto e aggirarsi, soli o accompagnati, tra le stanze della villa, sono pagati i professionisti del mondo animale. Un veterinario è impiegato a tempo pieno, mentre tre dipendenti si turnano, giorno e notte, perché le bestioline abbiano sempre acqua e buon cibo. I gatti, della villa, sono i padroni, oggi. Si aggirano tra stanze interdette ai turisti, graffiando i mobili d'epoca e il parquet in legno. Nel salone al piano terra, qualcuno fa pipì. Nella stanza matrimoniale, qualcun altro dorme ancora, acciambellato su un letto senza padrone né calore. Accarezzare i gatti di Hemingway non è vietato. I cuccioli, che lo scrittore diceva essere necessari al suo genio artistico, tanto da aver costruito una passerella che dalla casa portava i gatti dritti fino al suo studio, sono socievoli. Si strusciano, si prodigano in fusa. Saltano sulle gambe di chiunque si dia la pena di sedersi in giardino. Gli isolani raccontano che i polidattili portano fortuna. Ma il mare, e le navi da guerra, non c'entrano più.I gatti di Hemingway, a Key West, hanno alimentato un'altra leggenda. Quando, nel 2017, l'uragano Irma si è abbattuto sulla Florida, i 54 gatti che abitavano la casa e le dieci persone che vi lavoravano hanno rifiutato di lasciare il posto. Si pensava sarebbero morti, la villa crollata e il giardino distrutto. Invece, quando il cielo è tornato sereno e la vita ha ripreso a fluire, Key West ha scoperto che nulla era successo ai gatti e agli esseri umani. Tanta fortuna deve avere avuto una ragione geologica e una architettonica, ma la gente alla scienza ha preferito la leggenda. Così, è nato il mito dei gatti fortunati, amuleti e amori di un uomo il cui eclettismo è ancora là, ben visibile nella casa e nel giardino, dove campeggia un vecchio orinatoio. Hemingway lo portò con sé nel 1937. Sloppy Joe's, il bar che più amava frequentare, doveva trasferirsi. Lo scrittore chiese al proprietario un ricordo, un cimelio. Si caricò l'orinatoio in spalla e, sporco di piscio com'era, lo depose in giardino, accanto alla piscina che la moglie aveva fatto costruire sulle ceneri del suo ring da boxe, senza chiedergli alcunché. «Ecco qui. Anch'io, adesso, ho la mia piscina», le avrebbe detto lo scrittore. Pauline, rassegnata, avrebbe speso gli anni a venire a decorare con vasi e piccole ceramiche l'orinatoio di Sloppy Joe's, oggi utilizzato come abbeveratoio dei gatti.
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